Copia originale, film del 2018 con Melissa McCarthy, racconta la storia vera di Lee Israel, una scrittice di biografie, in seguito reinventatasi falsaria di lettere d’autore; dopo aver venduto a lungo molti dei suoi falsi in tutto il mondo, la donna è stata scoperta e condannata a una pena di cinque anni con la condizionale, più sei mesi di arresti domiciliari. Dopo aver scritto, nel 2008, Can You Ever Forgive Me, la sua sincera autobiografia, da cui il film di Heller è tratto, Israel è morta, per le conseguenze di un mieloma, nel 2014, a 75 anni.
Lee Israel, nata a Brooklyn nel 1939, dopo la laurea al Brooklyn College nel 1961, inizia a collaborare come freelance per varie riviste, occupandosi di varie celebrità; nel 1972 dà alle stampe la sua prima biografia, dedicata all’attore Tallulah Bankhead, per poi dedicarsi a un volume su Dorothy Kilgallen, giornalista televisiva statunitense allora molto nota. Questi suoi primi sforzi attraggono l’attenzione della celebre casa editrice MacMillan, che nel 1983 le commissiona una biografia, non autorizzata e senza censure, di Estée Lauder, magnate dei cosmetici; come rivelato da lei stessa nella sua autobiografia, Israel ricevette da Lauder un’ingente somma di denaro per rinunciare al progetto, ma la giovane autrice si rifiutò; per tutta risposta, Lauder iniziò a lavorare a un’autobiografia, e il libro di Israel, uscito in fretta e furia, si rivelò un gigantesco insuccesso commerciale,
Senza più un soldo, dopo essere stata costretta a chiedere il sussidio governativo, Israel si ritrovò a un certo punto con in mano, letteralmente, l’inaspettata occasione, di far tornare la sua vita sui binari; la donna, infatti, facendo ricerche per un articolo sulla cantante e attrice di vaudeville, Fanny Brice, si imbatté in alcune sue lettere autografe, e dopo averle trafugate, le rivendette per 50 dollari a un negozio di libri antichi; da quel momento in avanti, una nuova strada di guadagno si aprì al cospetto della scrittrice; “Giusto prima dei saluti finali, in una di quelle lettere, c’era un grosso spazio bianco; allora ho comprato una vecchia macchina da scrivere, e ho aggiunto alla lettera un paio di frasette sensuali, che ne hanno migliorato la qualità ed elevato il valore”.
Quella che sembrava un’attività nata per caso, si trasformò ben presto in un’attività molto redditizia; si stima che, nel corso di tutta la sua carriera, Israel abbia contraffatto qualcosa come 400 lettere di personalità importanti; all’apice del successo, Israel potè persino permettersi di affittare un piccolo magazzino dove depositare le diverse macchine da scrivere usate per comporre le lettere, ciascuna risalente a un preciso periodo storico; la carta su cui erano scritte, anch’essa d’epoca, proveniva da volumi realmente esistenti, a cui Israel strappava le pagine bianche. Il lavoro di Israel riscuote tanto successo che addirittura alcune delle missive da lei scritte a nome Noel Coward, vengono incluse in un’antologia di lettere del drammaturgo; col tempo, però, alcuni compratori, che Israel avrebbe poi tendenzialmente definito come “gente priva di curiosità”, iniziarono a nutrire dubbi sull’autenticità dei documenti, specie in relazione a Coward e Dorothy Parker; in particolare uno di loro chiese a Israel 5000 dollari, in cambio di una mancata denuncia alle autorità.
Impossibilitata a proseguire in sicurezza con la precedente attività, Israel passò allora ai furti di lettere autentiche, già edite, fatte passare per inedite, e sostituite con dei falsi: ma anche questa impresa non avrebbe avuto sorte felice. David Lowenherz, un commerciante di autografi, infatti, si rese conto che una lettera da lui acquistata, a firma Ernest Hemingway, era già contenuta nella collezione che la Columbia University aveva in dotazione. A quel punto, Lowenherz contattò l’Università, e i suoi sospetti vennero confermati; accusata di ricettazione inter statale, Israel ricevette nel 1993 una condanna a sei mesi di arresti domiciliari, più cinque anni con la condizionale. All’interno della sua autobiografia, la falsaria del film Copia Originale non esprime particolare pentimento per quanto fatto: “Considero quelle lettere tuttora come il mio miglior lavoro”.