Ci sono film che ci spingono a cambiare il nostro punto di vista, a mettere in discussione il nostro sguardo. Che ci vogliono provocare, nel senso più piacevole e positivo del termine.
Ci sono voci che scardinano le convenzioni e ci offrono il brivido di ascoltare qualcosa di inaudito e quindi straniante. Quindi, nuovo.
E la novità, si sa, mette a disagio, forse proprio perché si tratta di qualcosa a cui non siamo abituati, che necessita di tempo per sedimentare. Tutti aspetti positivi, perché spesso e volentieri entriamo in sala, pagando il prezzo di un biglietto, non per metterci alla prova, ma per accomodarci.
Bassifondi, opera prima di Trash Secco, non vuole farci sentire comodi. D’altronde, come potrebbe farlo, se già gli stessi protagonisti della vicenda sono due senzatetto costretti a dormire sul duro cemento, accontentandosi di quello che riescono a recuperare, scarti tra gli scarti di una città come Roma?
Come se non bastasse, come potremmo sentirci a nostro agio, seguendo la vita quotidiana di due persone che combattono la malinconia con la volgarità, la disperazione con un carattere spigoloso?
Eppure, Bassifondi ci riesce.
Con uno sguardo, quello di Trash Secco, che ci stimola in tutta la sua schiettezza e una voce, quella dei fratelli D’Innocenzo, autori della sceneggiatura, che ancora una volta si fa sentire con un volume unico.
Perché è questo il vero talento dei due gemelli: dare vita a storie capaci di unire il bassofondo dell’animo umano e riuscire a elevarlo, creando un’empatia inaspettata tra grande schermo e spettatore.
Coerente con la filmografia da registi dei D’Innocenzo, Bassifondi trova la sua forma migliore nell’unione tra la scrittura e la regia, dando vita a una nuova favolaccia che rimane appiccicata come lo sporco. O come le storie che contano.
Sguardi abbassati, sguardi alzati
Di solito, quando si cammina, non dovremmo guardarci i piedi. Una lezione che Callisto e Romeo, i due senzatetto protagonisti del film (interpretati da Gabriele Silli e Romano Talevi), sembrano aver imparato a dovere, ma solo perché non possono guardare più in basso di così. Passano le giornate chiedendo degli spiccioli, quanto basta per fare colazione, ai passanti, a recuperare sigarette spente troppo presto, a bere i fondi di bottiglie di birra abbandonate lungo gli argini del Tevere. Di carattere opposto – Romeo più introspettivo e silenzioso, Callisto più chiacchierone e intraprendente – i due si fanno compagnia in una vita misera.
La scrittura dei D’Innocenzo, ruvida, grezza e senza filtri (essenziale per entrare davvero nel clima del racconto) viene supportata sin da subito dallo stile di regia di Trash Secco, attento non solo a seguire i personaggi, ma anche a raccontare il mondo in cui vivono. E, per farlo, ci costringe ad abbassare lo sguardo, a osservare gli invisibili che, normalmente, scegliamo di non vedere.
Senza accettare compromessi, Bassifondi non ci sconta nulla: si inizia dalla strada, dalla sporcizia e dai topi, si sofferma sui dettagli, preferisce immergerci in quella situazione anziché descriverla, cambiando di fatto la nostra prospettiva di spettatori. Solo entrando nella vita di Callisto e Romeo possiamo avere il coraggio di alzare lo sguardo.
Una “favolaccia” sull’empatia
È il potere delle storie dei fratelli D’Innocenzo, che nel corso della loro carriera hanno saputo portare sullo schermo il linguaggio dei disperati, realistico e schietto. Proprio quest’onestà di cui è intrisa la lingua che i personaggi parlano crea la fortuna e la bellezza di queste storie, “favolacce” (per citare il loro secondo film, premiato per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino 2020) dove la vita danza con la morte, dove la povertà materiale flirta con la ricchezza d’animo, dove la redenzione è possibile attraverso la tragedia.
Già nella loro opera prima, La terra dell’abbastanza, assistevamo a protagonisti alla ricerca di una loro identità, catapultati in un mondo adulto che li ha divorati e rigettati, cambiandoli irrimediabilmente. In Favolacce il punto di vista era quello di un gruppo di bambini, annoiati e non compresi da un mondo di adulti egocentrici. E, infine, in America Latina ancora una volta era un conflitto interiore del protagonista a metterlo in crisi, in una storia di ricerca di perdono e redenzione.
Perché sì, spesso e volentieri la morte ha un ruolo preponderante nelle storie dei fratelli D’Innocenzo, ma più che ergersi come condanna, l’assenza di vita diventa il momento liberatorio, epifanico, dove i ruoli vengono meno e le persone si mostrano nel loro lato più umano.
Ecco perché non si trova termine migliore di “favolaccia” per descrivere anche questo Bassifondi: nonostante il buio in cui Romeo e Callisto sono costretti a vagare, nonostante la sgradevolezza che – soprattutto nei primi minuti – stordisce e respinge, a poco a poco riusciamo a costruire un affetto nei loro confronti. Li illuminiamo con il nostro sguardo, prima che si riempia di lacrime.
Un film che rimane
Per gli amanti del cinema dei fratelli D’Innocenzo, Bassifondi è un nuovo tassello in un corpus di storie compatto e coeso. Per lo spettatore più casuale è una prova di coraggio come poche si trovano nel panorama italiano. Merito di una visione limpida, di messa in scena coraggiosa e provocatoria, di due attori che danno vita a una coppia cinematografica inedita rispetto a ciò a cui siamo abituati. Proprio questo rende Callisto e Romeo ancora più speciali: nel trovare nella loro corazza così dura e triste i barlumi di una calda tenerezza.
Non sorprende, quindi, ritrovarsi di fronte a un’opera che richiede certo qualche sforzo e una sfida personale. Ci chiede di sporcarci un po’, di toccare il fondo per poi elevarci con loro. Non sorprende riconoscere negli occhi lucidi dei protagonisti il nostro sguardo. E, alla fine, non sorprende arrivare ai titoli di coda con la sensazione di aver compiuto un viaggio capace di restare impresso, come una storia classica che appartiene al nostro DNA.
Come una favolaccia.