Nel 1970 David Cronenberg usciva al cinema con il suo Crimes of the Future, che non ha niente a che fare con il titolo omonimo in uscita più di cinquant’anni dopo diretto sempre dallo stesso regista e scritto secondo l’analisi corporea e visionaria dell’autore canadese. Una lontananza abissale dalle malattie cosmetiche di un’opera che vedeva il cineasta impegnato nel suo secondo lungometraggio dopo il suo esordio un anno prima con Stereo, che della pelle fa sempre un elemento “patologico” pur stavolta atrofizzandolo.
È una completa anestesia dal dolore quella che colpisce i suoi nuovi personaggi nel Crimes of the Future del 2022, opera inedita a otto anni di distanza dal suo precedente Maps to the Stars e condotta nel Pantheon della cinefilia mondiale venendo presentata in anteprima al Festival di Cannes. E di un nuovo debutto David Cronenberg ne aveva bisogno.
La pellicola del regista non segna infatti solamente un ritorno al mestiere e alla sala, ma una ripresa e un riplasmare una materia che nell’autore è sempre stata viva e carnale, tornandone perciò alla pura forma. Una pelle che, però, nella sua identità massima all’interno del cinema di Cronenberg rappresenta la rimodellazione della stessa nonché la sua possibilità di imputridirsi e marcire, di deteriorarsi e cadere a pezzi. Il corpo come esperimento di uno scienziato pazzo che lo tagliuzza e ne fa sgorgare pus e sangue. Un dottor Frankenstein che la sua creatura non vuole assemblarla e metterla insieme, ma sbranarla fin quando non si sfalda lasciando tracce di sé e dei suoi liquidi.
Cosmetici, body horror, Nuova Carne
La politica della Nuova Carne torna dunque in un Crimes of the Future che della filmografia di David Cronenberg diventa l’emblema del ritorno a delle origini che l’autore non ha mai realmente abbandonato, ma che esprimono un desiderio vivo e pulsante di voler rivolgersi ancora una volta agli espedienti del body horror. E nella mescolanza con le sperimentazioni spettacolarizzanti e spettacolarizzate della TV e del suo tubo catodico da cui uscivano le parti non più umane di Videodrome, il cineasta per i crimini che aspettano i suoi personaggi riserva un passaggio che è quello della trasformazione avvenuto in tanti dei suoi lavori, di cui quello da umano a bestia con La Mosca ne è l’esempio assoluto.
Il riacquistare le proprie tematiche ancestrali, mai davvero abbandonate durante un percorso ovviamente mutabile e mutato, porta Crimes of the Future a dimostrarsi espressione paradigmatica di quel che è stato il fulcro del cinema di questo autore, che pur essendo cambiato mille volte ha mantenuto al centro la sua ossessione più inossidabile. È per questo che l’opera non ha bisogno di troppe spiegazioni se non quelle che offre esplicitamente l’autore. È per questo che il film è talmente auto-riferito e auto-referenziale che basta semplicemente guardarlo per capire il pensiero artistico del suo ideatore.
Performance, show e body art
Più di tanti altri, essendone anzi in cima alla lista, Crimes of the Future è un film manifesto per la poetica di David Cronenberg visto che mette in bocca ai protagonisti le parole che lui stesso ha voluto tramandare per anni al pubblico generando un collegamento diretto tra quest’ultimo e i personaggi. In una maniera leggermente troppo pronunciata e priva di qualsivoglia sfumatura con cui poter far interrogare lo spettatore, Cronenberg rivela se stesso e il proprio immaginario mettendo in chiaro con i protagonisti quelli che sono stati per anni gli stilemi di enorme parte del suo cinema, volendoli come raggruppare in tomi stilati per un’unica grande enciclopedia.
È la possibilità dell’uso della pelle, la sua fragilità così erotica ed eccitante perché imprevedibile a qualsiasi tocco, che sia umano o di una fredda lama. È il body horror che è ed è stato sempre prima mostrare e lasciarsi vedere, mettersi in mostra con le proprie vulnerabilità rappresentate innanzitutto dalla mollezza delle nostre membra.
Nel racconto a più riprese del successo e dell’esposizione allo show e al pubblico, David Cronenberg trasmigra definitivamente il body horror nella body art palesando il suo credo che anche nel disgusto e nel dolore è possibile trovare qualcosa che è impossibile non ammirare. La morbosità del guardare, del provare un vergognoso piacere nel vedere corpi e budella venire prese e toccate, si fa in Crimes of the Future il più alto intrattenimento.
Lo spettacolo passa per il corpo, il corpo è una tela che può venir illuminata e martoriata, è una materia che può distruggere o essere distruttiva e che si fa a tutti gli effetti profilo dello scombussolamento che solo l’arte è capace a dare. È performance fatta di sola presenza, quella di una carne che ci avvolge e ci rende persone, ma che nel mondo di Cronenberg, e in particolare di Crimes of the Future, può renderci opera da esposizione.
Crimes of the Future: la vera bellezza interiore
Ma ciò che ancor più affascina l’autore e la sua prospettiva sulla carne – in Crimes of the Future non nuova, nuovissima, a volte fatta anche di plastica – è come spesso la pelle sia stata considerata dal regista solamente un ostacolo per rivelare la vera bellezza delle persone, quella che nel film i personaggi ritrovano nella potenza degli organi umani.
Il personaggio di Viggo Mortensen, che come tanti altri ha sviluppato una sorta di annullamento della sofferenza fisica permettendo alla sua pelle di poter venir squarciata senza provocargli tormento o morte letale, è il fiore all’occhiello di uno show in cui mette sul tavolo le proprie interiora, incredibili nella loro particolarità e nell’abilità innata di rigenerarsi.
La nascita di quelli che sarebbero primariamente tumori si tramuta nell’occasione di un intervento che nella meccanicità di braccia robotiche e letti per autopsie viene visto come la creazione sul momento della sua fautrice, il personaggio di Léa Seydoux, e di un quadro che si anima sul momento di cui Mortensen è la miccia.
Tra Inseparabili e Crimes of the Future
Arrivare a mostrare questo grado di “interiorità” da parte dell’autore significa essere in qualche maniera giunto alla sublimazione di un intero cinema che ha rincorso di film in film il proprio “Es” per renderlo finalmente “Io”. È il velo di cui era rivestito Inseparabili e che, per storia, maturità e forse tempo storico, il regista ha potuto sfilare con Crimes of the Future non mitigando più le sue intenzioni.
È da una frase e, quindi, da un’affinità che li unisce a doppio giro quella che pone in ascolto i due film di Cronenberg. Se però nel 1988 era solo un’ipotesi, un’idea, una voglia quella che faceva dire al personaggio di Elliot Mantle “Dovrebbero fare dei concorsi di bellezza per l’interno dei corpi”, come un’eco questa smania riverbera fino a diventare realtà in Crimes of the Future, dove seppur illegalmente è proprio per la migliore milza o il più bel intestino che le persone possono votare. A cui possono assistere osservando finalmente quanto può essere davvero bella una persona dentro.
I sub-umani di David Cronenberg
Gli strumenti spaventosi e quasi primitivi di Inseparabili si aggiudicano un nuovo e rielaborato design in Crimes of the Future mantenendo sempre qualcosa di semplicistico e brutale nella loro sagoma e nell’inquietudine che riescono a suscitare. Un’evoluzione che presenta la crudeltà delle azioni che sono portati a esercitare, penetrando i corpi e portando all’esterno ciò che c’è all’interno, arrivando anche loro finalmente al proprio scopo. Nell’espansione totale di un cinema che tocca il suo apice, David Cronenberg ci chiede di sederci e osservare. Solamente di osservare.
Ascoltare anche le parole di personaggi che espongono i punti cardine di quell’opera che abbiamo detto manifesto e di cui vengono elencati passaggio per passaggio tutte le direttive, ma prima di ogni altra cosa porre il nostro occhio sull’attenti e riempirlo degli ormai sub-umani di Cronenberg. Il body horror non è più terrore, è soltanto il prossimo passo dello spettacolo. E dell’umanità.