Dopo il passaggio in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, DogMan di Luc Besson è arrivato nelle sale italiane il 12 ottobre. Il film racconta la vita di un martire e angelo vendicatore (interpretato con metodica convinzione da Caleb Laundry Jones), che supera i traumi di un passato di abusi e violenza grazie all’amore canino. Douglas è un’anomalia sociale con un senso della giustizia insopprimibile. Besson ha la capacità speciale di trasformare la biografia del suo antieroe, che è una summa di cliché, in una bizzarra rivendicazione della vita vista e praticata dai margini, consegnandoci un film che è molte cose insieme: una parabola religiosa, un melodramma sociale, una confessione a cielo aperto, un thriller di vigilantes urbani e una favola animale. Proprio in questa spiegazione del finale di Dogman, analizziamo le sfaccettature di Doug, tra i personaggi indimenticabili di Venezia 80.
Dogman: l’ultima esibizione di Doug
Dopo essere giunto alla fine della sua confessione alla psichiatra, Doug è pronto per il gran finale del suo one-man-show, in cui consegnerà la verità al pubblico e, forse, parlerà per la prima volta a se stesso dopo tanto tempo. Prima di andarsene, la psichiatra gli chiede come mai si sia riuscito ad aprire così tanto con lei. Doug risponde che condividono qualcosa di molto profondo: il dolore. A questo punto, mentre il suo esercito di cani orchestra la grande fuga dalla prigione, Doug si prepara per l’ultima esibizione della sua carriera. Indossa un completo blu apparentemente semplice, ma il tessuto e il dettaglio della camicia arricciata ci fanno capire che ha messo insieme un look che unisce entrambe le sue anime: quella più riflessiva e introversa, da una parte, lo spirito da performer e l’esibizionismo, dall’altra.
Dopo che uno dei suoi cani gli ha consegnato le chiavi per aprire la cella, Doug ci fa vedere che è pronto ad alzarsi dalla sedia a rotelle. Con grande fatica, inizia a camminare, dirigendosi verso la facciata di una chiesa antistante la prigione. “Sono qui, in piedi per te, sono pronto“, grida verso la croce della chiesa, il cielo terso, il Divino. Doug può lasciarsi andare: è arrivato alla fine della sua vita e della sua storia. Decide di lasciarsi andare, crollando a terra e perdendo la vita circondato dai cani, gli unici esseri che lo hanno veramente amato, non prima di aver compiuto un ultimo atto di grande altruismo. Vediamo che ha mandato uno dei suoi cani di fronte alla casa della psichiatra: capiamo che, da questo momento in poi, i suoi cani proteggeranno lei e la figlia piccola, le uniche persone in cui Doug ha scorto la purezza.
Il ritratto compiuto di Douglas, tra assoluto e terreno
La scena finale di Dogman riflette la profonda connessione di Douglas con la fede. La sua relazione intima con la religione è evidente fin da quando, da bambino, suo fratello trasforma il cartello “In God’s Name” (Nel nome di Dio), che campeggia sulla gabbia in cui è rinchiuso, in “Dogman”. Il film continua a equiparare l’importanza dei cani e della religione per il protagonista, entrambi legati profondamente allo spirito divino. Pur avendo rinunciato agli esseri umani a causa della loro crudeltà, Douglas cerca il sostegno finale da parte di Dio. Il suo cammino verso il dolore e la morte diventa una metafora della Passione di Cristo, compiuta con consapevolezza della vicinanza della fine della sua vita.
La sua morte avviene di fronte alla casa di Dio, simboleggiando l’accoglienza finale del fedele. Il cerchio si chiude con i cani che circondano Douglas, enfatizzando il tema della fedeltà. Nonostante la delusione negli esseri umani, l’uomo si aggrappa alla sua fede fino alla fine, trovando conforto nei cani che lo hanno sempre accompagnato.
Un amore salvifico
Luc Besson ha raccontato che l’ispirazione per questo film è venuta da un articolo su una famiglia francese che ha chiuso il figlio in una gabbia quando aveva cinque anni. Il regista di Léon ne ha tratto una storia di sopravvivenza, interrogandosi su come una persona possa uscire da quella sofferenza. “Solo con l’amore“, ha risposto il regista alla conferenza stampa di presentazione del film a Venezia 80. Amore, in questo caso da parte dei cani che accolgono il bambino e lo accompagnano nella sua vita. In realtà, l’intero film è una difesa di come i gruppi emarginati, che hanno subito umiliazioni, come le drag queen, le donne di colore o gli animali maltrattati, finiscano per creare spazi sicuri e proteggersi, anche se a volte violano la legge. Spazi che si muovono tra follia, tristezza, ironia, violenza e persino lo spettacolo, che ci permettono di esibire tutte le nostre facce, conoscere la nostra verità per essere pronti ad amare.