Full Metal Jacket non è ispirato a una storia vera perché il film di Stanley Kubrick infatti si rifà solo vagamente alle vicende narrate nel romanzo semi autobiografico The Short – Timers, di Gustav Hasford. Vicende che in parte sono state romanzate, cambiando ad esempio i nomi di tutti i personaggi, o mescolando diverse sezioni del volume; se infatti il film prende in qualche modo a prestito la struttura bipartita del romanzo, con una prima parte ambientata nel campo di addestramento di Parris Island e una seconda sezione ambientata in Vietnam, durante la guerra, è vero anche che all’interno del secondo troncone del film trovano spazio, senza soluzione di continuità, avvenimenti narrati in capitoli diversi del libro.
In un’intervista a Rolling Stone del 1987, Kubrick spiegò così la scelta di quel particolare volume: “Si tratta di un libro molto breve, scritto con molta economia che, proprio come il mio film, evita di inserire le classiche scene di sviluppo del personaggio che ormai sembrano inevitabili in un film di guerra… dove due soldati chiacchierano e parlano dei loro padri alcolisti”
Gustav Hasford, arruolatosi nei Marines a 19 anni, nel 1967, in qualità di reporter, venne inviato in Vietnam l’anno successivo, ottenendo la Medaglia al Valore, in seguito alla sua partecipazione alla battaglia di Huế. durante la famigerata Offensiva del Têt, l’attacco a sorpresa sferrato dall’esercito nordvietnamita e dalle truppe vietcong, in occasione della tregua per il Têt, il capodanno vietnamita, che quell’anno cadeva il 30 gennaio. Da questa esperienza, Hasford avrebbe tratto materiale per i capitoli del libro poi adattati nel “secondo tempo” del film.
Nel corso di un’intervista al Los Angeles Times, Hasford ricordò così la sua esperienza militare: “I Marines mi avevano preso come giornalista perché in gioventù qualche anno prima, avevo messo in piedi un semestrale che aveva riscosso un buon successo. Ma nel corso dell’addestramento, obbligatorio, mi ero lasciato un po’ andare e allora per punizione mi spedirono in Nord Carolina, a lavorare nella redazione del quotidiano militare di zona. Ci arrivavano le notizie dal Vietnam e noi le pubblicavamo. Ma dopo un po’ mi era venuta la curiosità di vedere come stavano le cose da vicino; e allora ho fatto richiesta per essere mandato in Vietnam, servendomi di un cavillo che permette il trasferimento in caso di condizioni di stress psicologico. Loro furono ben felici di mandarmi al fronte, vista la necessità di uomini.
“Per me la guerra non è stata un trauma… certo, ci sono stati momenti difficili, come quando dopo l’offensiva del , ho partecipato all’Operazione Pegaso per la liberazione di Khe San, ma quella è stata l’ultima azione importante cui ho preso parte. Poi ho terminato il mio periodo di arruolamento e sono stato congedato, nell’agosto del ’68. Dopo un breve matrimonio, mi sono trasferito a Los Angeles e lì ho cominciato a scrivere The Short – Timers; ci ho messo sette anni per finirlo, e tre per farlo pubblicare… non lo voleva nessuno. Un romanzo sul Vietnam scritto da uno sconosciuto? Poi, nel 1979, ce l’ho fatta. Poi sono venuto a sapere che Kubrick avrebbe voluto fare un film dal romanzo, e allora abbiamo iniziato a conoscerci; ci siamo visti una volta sola, ma abbiamo parlato molto per telefono.. a volte anche per sei ore di fila.”
Presto, però, sarebbero sorti i primi problemi legati alla sceneggiatura; “Ci ho lavorato per quattro anni, e le cose andavano sempre in questo modo; io passavo il mio materiale a Stanley, che poi lo faceva riscrivere a Michael (Herr, co-sceneggiatore, anch’egli ex corrispondente di guerra, ndr), poi lui a sua volta lo rifiniva. Io, di mio, non ho mai letto una riga scritta da Michael. Poi sono venuto a sapere che Stanley voleva accreditarmi nel film come “aiuto dialoghista” quando il 99% della sceneggiatura era farina del mio sacco. Così, per un anno e mezzo, io ho cercato di far valere le mie ragioni, e alla fine ho avuto la meglio. Però adesso io e Michael non ci parliamo più… cioè, io gli parlo, ma lui non mi risponde. Credo mi consideri un intruso, venuto dal nulla a rubargli il lavoro. Prima di questo screzio, eravamo diventati amiconi. Ma, in fondo, era assurdo che Stanley facesse tanto il prezioso per quei quattro spiccioli in più che avrei dovuto ricevere.”
Full Metal Jacket è ricordato dall’opinione pubblica anche per la figura vulcanica e irriverente, del sergente addestratore Hartman, interpretata da Lee Ermey, qui al debutto come attore, dopo una carriera nei Marines. E molti dei tratti dell’iconico personaggio sono tratti dalle reali esperienze di Ermey durante il suo addestramento. “Il mio principale obiettivo è stato quello di rappresentare i sergenti addestratori esattamente come erano; chiedete a chiunque sia stato a Parris Island fra il 1963 e il 1965; vi dirà che ci si comportava esattamente così. Non si usavano certo i guanti di velluto“.
Come noto, peraltro, la gran parte dei dialoghi del personaggio di Hartman è totalmente improvvisata, come ricorda anche Kubrick, sempre a Rolling Stone: “Abbiamo ricostruito la prima scena, quella con i soldati, improvvisandola, e Lee avrà tirato fuori qualcosa come 150 pagine di insulti“.