Nel 1982 il Maestro John Carpenter regalava agli spettatori uno dei suoi capolavori. Ispirato al racconto La cosa da un altro mondo di John W. Campbell che a sua volta è stato adattato da Howard Hawks nell’omonimo film del 1951, l’opera carpenteriana è un connubio di orrore estremo e fantascienza di prima classe. Riscopriamo come La Cosa ci ha provocato quarant’anni di incubi mutaforma.
La trama: la paura viene dall’ignoto
Nel 1982 un gruppo di scienziati e tecnici di stanza nell’avamposto americano U.S. Outpost #31 ubicato in Antartide, è testimone di un inseguimento da parte di un elicottero dell’avamposto norvegese nei confronti un cane husky che, gli occupanti del velivolo, cercano di uccidere. L’elicottero precipita per via di una granata malamente lanciata e l’unico superstite, per errore, spara a uno degli americani rimanendo, a sua volta, ucciso dal fuoco di risposta. Decisi a vederci chiaro il pilota MacReady e il medico Copper decidono di perlustrare l’avamposto degli inseguitori. Qui fanno una orribile scoperta: il cadavere di un suicida, un grottesco corpo carbonizzato avente due teste e un blocco di ghiaccio che presenta un incavo di estrazione.
Per capire meglio di cosa si tratti i due portano alla loro base il cadavere bicefalo, che viene sottoposto ad autopsia, e l’husky che è così rinchiuso con gli altri cani presenti nell’avamposto. Ma il canide, presto, subisce una metamorfosi che lo trasforma in una creatura orribile e che fa a pezzi tutti i cani. Sgomenti, MacReady e compagni si rendono conto che qualcosa di mostruoso e alieno si è infiltrato tra di loro. È l’inizio di una lotta per la sopravvivenza.
Il primo capitolo de La Trilogia dell’Apocalisse
La Cosa fa parte di un’opera d’insieme ben più grande ossia quella informale Trilogia dell’Apocalisse a cui seguono Il signore del male e Il seme della follia rispettivamente usciti nel 1987 e nel 1994. Nonostante i plot completamente differenti l’uno dall’altro i tre film di Carpenter sono collegati tra loro per il cupo, annichilente pessimismo insito e in particolare per i rispettivi finali che non lasciano adito a qualsivoglia tipo di speranza semmai il male, nonostante le sue forme così variegate, riesce a vincere sul bene senza concedere salvazione alcuna o possibilità di rivalsa. La Cosa è stato l’apripista per questa visione estremista di Carpenter, un’esperienza filmica capace di scioccare lo spettatore di fronte a questa carica di deprimente messa in immagini della sconfitta dell’umanità tutta.
Molto probabilmente, a inizio anni Ottanta, gli avventori delle sale cinematografiche ricercavano sicurezza e spensieratezza, sostantivi di cui La Cosa è completamente scevra. Vuoi l’alto tasso di terrore frammisto alla carica di pessimismo, vuoi che gli spettatori stavano familiarizzando con il simpatico e dolce alieno di E.T. l’extra-terrestre uscito pochi giorni prima de La Cosa, il film carpenteriano ha avuto scarso successo di botteghino e critica. Fortunatamente nel corso degli anni tra la distribuzione dell’home video e la messa in onda in chiaro televisiva, il primo capitolo della Trilogia dell’Apocalisse ha avuto la sua rivincita proveniente dagli estimatori nonché dai critici stessi che, rivalutandolo, lo hanno eletto come cult assoluto nel panorama del fantahorror e, al tempo stesso, tra i più paurosi film della storia.
Un cult che è un insieme di metafore
Un esordio deludente e non poco travagliato di certo non hanno fermato la potenza visiva de La Cosa che, come già affermato, nel corso degli anni è diventato un fermo punto di riferimento sia per il genere horror sia per il genere di fantascienza rimanendo, ancora oggi, ineguagliabile nonostante i più che buoni risultati del prequel uscito nel 2011. Sorge spontanea la domanda di come un film totalmente stroncato e bistrattato sia diventato, nel corso del tempo, un cult per schiere di appassionati ma anche di neofiti. Detto, fatto: a un’analisi più approfondita e messe da parte le aspre critiche non solo per il pessimismo della pellicola ma – soprattutto – per l’alto tasso di violenza, terrore e splatter di cui La Cosa gronda, la seconda vita della creatura carpenteriana ha giovato della rivalutazione per via dell’interpretazione metaforica dei contenuti tematici: paranoia, diffidenza dell’altro da sé, paura dell’ignoto sono solo alcuni temi che abbondano nel lungometraggio del 1982.
In aiuto delle diverse interpretazioni analitiche viene il regista stesso che, molto tempo addietro, ha rivelato quella che è la sua visione tematica de La Cosa. Essendo più fedele al racconto di Campbell rispetto all’adattamento di Howard Hawks, non ha fatto altro che portare sul grande schermo la mancanza di fiducia che gli uomini fomentano tra loro stessi instillando timori, paranoie e autosabotamenti verso il singolo individuo e il prossimo. Infatti, così come i corpi umani infettati dall’alieno subiscono mutazioni a cascata deformandosi e assumendo tratti ripugnanti e grotteschi, parimenti questa scelta gore e disgustosa è la rappresentazione estrema del venir meno dei rapporti interpersonali, di quella frammentazione con conseguente annullamento della fiducia reciproca che mette, di fatto, gli uni contro gli altri.
Mutaforma come le interpretazioni
Se da una parte Carpenter ha offerto la sua visione, dall’altra parte nell’avvicendarsi degli anni sono tante altre le interpretazioni affiorate guardando La Cosa: la paura del conflitto atomico mondiale tra i blocchi statunitensi e sovietici è qui rappresentato, metaforicamente, nella scena iniziale dell’incidente tra il ricercatore norvegese sopravvissuto e gli americani e che continua ad ampliarsi tangendo, così, la paura dell’ignoto, della minaccia non ben inquadrata e senza una vera forma propria della creatura aliena che si insinua nei corpi umani celandosi e trasmettendo, come un virus, i germi della paranoia e della sfiducia per poi mutare, a proprio piacimento, l’aspetto tendendolo iperbolicamente verso la trasfigurazione del male e della paura, disintegrando totalmente quel briciolo di unione tra esponenti della propria specie.
In tempi recenti, invece, è stata offerta un’ulteriore interpretazione mettendo il film in analogia con la malattia dell’AIDS. Pensando alla diffusione avvenuta a partire dal 1981 e all’uscita del film l’anno successivo la paura, la paranoia nei confronti dell’altro da sé nell’opera di Carpenter non sono altro che un riflesso speculare di quanto stava accadendo durante quei tempi ed è esemplificativa, a tal proposito, la scena del test del sangue voluto da MacReady per capire chi della squadra fosse stato infettato dall’ospite alieno. In tempi odierni, quasi sicuramente, La cosa si presterebbe a essere una rivisitazione della paranoia e dell’insicurezza legata alla pandemia di Covid-19 che, negli ultimi due anni, ha cambiato radicalmente i rapporti umani e sociali.
In Antartide nessuno può sentirti urlare
Parafrasando la tagline di quell’altro cult fantahorror che va sotto il titolo di Alien con cui La Cosa condivide il terrore proveniente dall’ignoto e la claustrofobia degli spazi circoscritti, il film di Carpenter è una vera e propria lectio su come creare tensione tramite le immagini. L’orrore visivo legato alle varie mutazioni corporee (e qui entra di prepotenza il sottogenere del body horror che ha avuto proprio il terreno fertile negli anni Ottanta) fa sì che la paura non abbia un volto univoco ma uno in continuo cambiamento, mai del tutto assimilabile, subdolo e capace di giocare a nascondino grazie ai corpi presi in prestito.
Merito degli effetti speciali di Rob Bottin passati alla storia come tra i più orrorifici e dell’ambientazione isolata tra i ghiacci e lontano da qualsivoglia segno di civiltà, La Cosa è un costante crescendo di suspense e angoscia serpentina, spaventosità allo stato puro e ascesa verso la follia e quest’ultima, per certi versi, è molto lovecraftiana (e nell’effettivo i punti di contatto tra la letteratura dello scrittore di Providence e il fantahorror dell’82 non sono pochi), sostenuto anche dalle musiche del compianto Ennio Morricone. Un’amalgama micidiale, questa, che colpisce senza preavviso lo spettatore rendendolo indifeso e disarmato dinnanzi all’essenza della paura degli uomini sotto forma di mostruosità inconcepibili per il raziocinio umano. La regia di Carpenter è sicura di sé, mai fallace né tantomeno vittima di svarioni e ciò rende il primo capitolo della Trilogia dell’Apocalisse, ancora oggi, un film per nulla invecchiato.
Un evergreen storico
Nonostante negli ultimi quarant’anni il cinema dell’orrore abbia sfornato altrettanti capolavori e, parimenti, rinnovato di continuo la sua stessa natura mescolandola anche con altri generi, La Cosa è stato ed è fonte di ispirazione per molti registi. Eppure, ancora oggi, nessuno è riuscito a eguagliare o addirittura surclassare questo classico dell’annata ’82 che, a ogni nuova visione, sembra rinnovarsi continuamente come lo stesso alieno che dà il titolo all’opera e del quale, pensando al disperato e aperto finale, non si sa se gli unici due sopravvissuti, ossia MacReady e Childs, siano l’uno o l’altro la cosa oppure se questa sia stata definitivamente distrutta a costo della probabile morte per assideramento dei due.
Opera dal forte contenuto tematico e che spinge post visione a più di una riflessione, La Cosa ha avuto e ha il pregio di essere il ritratto del periodo storico concomitante al suo arrivo nel buio delle sale cinematografiche ma non si limita solo a questo poiché, nonostante l’inesorabile incedere del tempo, questo spettacolare e imprescindibile lavoro di Carpenter è capace di rinnovarsi per poter offrire nuovi spunti per delle argomentazioni speculative.