La promessa (The Pledge) è un film del 2001 diretto da Sean Penn e basato sull’omonimo romanzo del 1958 scritto da Friedrich Dürrenmatt. Il film, che si muove nel territorio del genere giallo e drammatico, non ottenne particolare successo al botteghino, ma conquistò il favore della critica, soprattutto grazie al suo cast ottimamente assemblato. Jack Nicholson ha lasciato a bocca aperta con la sua intensa interpretazione di Jerry Black, ma anche tutti i comprimari sono degni di menzione: Aaron Eckhart, Benicio Del Toro, Patricia Clarkson, Robin Wright. In questa spiegazione del finale de La promessa cercheremo di spiegare come il film di Sean Penn si disfi della risoluzione narrativa tipica delle indagini per soffermarsi sul destino già segnato di un uomo che continua imperterrito a voler esercitare la sua professione, perfino in circostanze che non glielo concedono più.
La promessa: l’indagine di Jerry
Il giorno del suo pensionamento, Jerry Black, detective della omicidi del Nevada, in occasione di una festa a sorpresa organizzata in suo onore, è lieto di accettare un generoso regalo dai suoi colleghi: un biglietto aereo per il viaggio dei suoi sogni: una battuta di pesca in Messico. Ma quando il corpo senza vita di una bambina di otto anni viene ritrovato tra le montagne, Jerry, incapace di stare lontano dal proprio lavoro, si reca sulla scena del crimine e si incarica di comunicare la terribile notizia alla famiglia della vittima. Di fronte alla sofferenza dei genitori e alla propria incertezza sul senso della vita, Jerry giura di trovare l’assassino.
L’autore dell’omicidio viene identificato rapidamente grazie alla testimonianza di un ragazzo che si trovava nelle vicinanze con la sua motoslitta e che ha osservato l’uomo in fuga. Si tratta di un indiano con problemi mentali che si suicida con un’arma d’ordinanza rubata dopo l’interrogatorio nell’ufficio dello sceriffo. Ma Black non crede che sia il vero colpevole: indaga ulteriormente e viene indirizzato verso un disegno nella scuola della ragazza, che mostra un gigante che le regala dei misteriosi porcospini giocattolo. Inoltre, su di esso è visibile una grande autovettura nera di proprietà. Il poliziotto ne deduce che il gigante non assomiglia affatto all’indiano che, tra l’altro, guidava un pick-up di colore rossiccio. Black, dopo ulteriori indagini, viene a conoscenza di un omicidio simile di una bambina che, come l’ultima vittima, era bionda e indossava un vestito rosso al momento del crimine. Scopre inoltre che una ragazza bionda della stessa età è scomparsa da tre anni nella regione in questione, dove sono state trovate le altre due vittime, ed è stata vista l’ultima volta vestita in modo simile.
La misteriosa station wagon
Dopo un po’ di tempo, Black si imbatte in un produttore di statuette di porcospini della zona, il cui figlio Gary Jackson corrisponde al profilo del colpevole: alto, guidatore di una station wagon scura, ancora non sposato a più di quarant’anni, ma di una religiosità ostentata. Inoltre, Chrissy racconta a Black di aver incontrato un mago, che le ha dato dei dolcetti a forma di porcospino dal sapore molto buono. Il mago vuole incontrarla all’area picnic il giorno dopo, ma lei non può parlare del suo incontro con lui, glielo ha promesso.
Black avverte i suoi ex colleghi, che lo attendono sul luogo del picnic con un’unità speciale. Mentre gli agenti attendono l’arrivo dell’uomo ai loro posti di lavoro nel pieno della giornata, su una strada a serpentina si verifica un incidente tra un camion e una Volvo station wagon nera, che fa andare in fiamme quest’ultima e il suo conducente. Poiché nessuno si presenta sul luogo del picnic, i poliziotti interrompono l’operazione contro la volontà di Black. Informano Lori, la madre di Chrissy, dell’intenzione di Black. Tornando al quartier generale della polizia, gli agenti concludono che Black era un ottimo poliziotto, ma ora è solo un relitto. Gli credono ancora meno di prima e passano davanti al luogo dell’incidente con la station wagon nera. Nessuno fa un collegamento con il caso. La situazione rimane invariata, ma lo spettatore capisce che il colpevole deve essere l’autista della Volvo morta: c’è la statuetta di un porcospino appesa allo specchietto retrovisore.
Chi è l’assassino?
La scena finale del film mostra Jerry in uno stato di agitazione. Il fallimento dell’indagine sull’omicidio di Ginny ha inciso profondamente sul suo stato psicologico. Lo vediamo sprofondare nell’alcolismo e disperarsi, anche perché è stato lasciato da Jerry, sua amante. Come se non bastasse, la squadra di polizia perde fiducia in lui e non ha neanche più il suo impiego da benzinaio ad occupargli le giornate. Di fronte a un finale tanto sconfortante, che è stato generalmente poco apprezzato, una domanda soltanto assilla lo spettatore: che fine ha fatto l’assassino misterioso? Era troppo furbo per essere catturato? La risposta a questa domanda è no: Jerry aveva ragione fin dall’inizio.
Precisamente al minuto 35:31 viene mostrato allo spettatore l’assassino: si tratta di Oliver, l’uomo con i capelli grigi, che lavora in un negozio di dolciumi e guida un furgoncino nero. All’inizio del film, una commessa del negozio sta servendo Black, chiama un certo Oliver e gli chiede dove ha nascosto i cioccolatini. Alla fine li trova lei stessa: sono cioccolatini a forma di porcospino, come quelli che devono essere stati dati a Chrissy. Ne possiamo dedurre che utilizzasse questi cioccolatini per adescare giovani ragazze e collegare questa svolta al fatto che un auto nera con un porcospino giocattolo appesovi dentro è stata mostrata anche nei disegni di Ginny ed è la stessa macchina che ha avuto un incidente. Piuttosto che mostrarci un emozionante faccia a faccia tra l’assassino e Jerry, il film preferisce abbattere ogni aspettativa di un climax finale quando scopriamo che il presunto killer è morto in un incidente stradale.
“Once a cop, always a cop”
Jerry Black è prima di tutto un poliziotto e poi un essere umano: un uomo la cui testa contiene più fascicoli che ricordi felici, il cui mondo non ha senso quando non è delimitato dal nastro della scena del crimine. Il ritiro dalla centrale di polizia non è solo la fine della sua carriera, ma l’annientamento della sua intera identità. Senza il suo distintivo e la sua pistola, Jerry non esiste, è un uomo legato a doppio filo alla sua professione. Questo è il senso della promessa del titolo, che il protagonista fa aggrappandosi disperatamente a ciò che resta della sua vecchia vita. La mancata risoluzione dell’indagine non distrugge soltanto la vita interiore di Jerry ma un vero e proprio metodo di lavoro, di cui il poliziotto resta l’ultimo superstite. La promessa annuncia infatti l’avvento del poliziotto moderno, arrogante e aggressivo, figlio di un’istituzione che opera in maniera completamente disinteressata e di cui sono un esempio concreto i giovani mestieranti a cui Jerry non vuole assolutamente cedere il controllo della stazione di polizia. La sua promessa è più una scusa, un atto di orgoglioso egoismo, per nulla sacro: finché ha un motivo per continuare a indagare, ha ancora un motivo per continuare a vivere e conferire dignità alla figura del poliziotto.