Anche gli amanti del cinema e dell’animazione orientale al giorno d’oggi rischiano di perdere ore e ore spulciando i vari palinsesti delle tante piattaforme streaming che affollano il settore, per questa ragione abbiamo deciso di riunire in un unico articolo i migliori titoli a disposizione in un catalogo fornito come quello di Prime Video.
Ecco 16 film orientali da vedere su Prime video: pellicole imperdibili, dirette da maestri assoluti della settima arte come Akira Kurosawa o Kenji Mizoguchi, fino ad arrivare a nuovi enfant prodige come Na Hong-jin.
1. Il ritratto della signora Yuki (1950)
Iniziamo la nostra particolarissima lista viaggiando dritto in Giappone, con un film aggiunto recentemente e diretto da uno dei massimi autori della settima arte: sua maestà Kenji Mizoguchi.
L’eccelso maestro tra il 1950 ed il 1951 decide di realizzare una profonda trilogia incentrata sul tema della sconfitta sentimentale di tragiche donne, vere e proprie eroine mizoguchiane. L’ormai nota trilogia è composta dal nostro Il ritratto della signora Yuki (presente su Prime con il titolo Portrait of Madame Yuki), La signora Oyū (1951) e La signora di Musashino (1951).
Il film in esame è tratto da un romanzo di Funahashi Seiichi e ci racconta delle disavventure amorose della signora Yuki, la quale sfortunatamente ha sposato un uomo dissoluto che sperpera il loro patrimonio concedendosi alle avance di un’altra donna.
Il film esplora alcuni aspetti nefasti del matrimonio e lo fa mediante la storia di una moglie dolente. Donna per certi versi eroica, ancorata al passato ma proiettata, suo malgrado, in un presente turbolento in continuo progresso; progresso che spinge il giapponese contemporaneo ad abbandonare valori tradizionali, valori fortemente pregnanti per la triste Yuki.
2. Anatomia di un rapimento (1963)
Un altro classico giapponese presente su Prime Video è l’entusiasmante Anatomia di un rapimento del grande sensei Akira Kurosawa.
Il celebre cineasta di Tokyo nel 1963 decide di deliziarci con il suo 23° lungometraggio, ritornando ad esplorare l’ambiente contemporaneo con Anatomia di un rapimento. Il film è assai particolare, l’inizio è quasi un thriller da camera ambientato in un lussuoso attico di Yokohama, del ricco industriale Kingo Gondo (un maestoso Toshirō Mifune).
Gondo vorrebbe prendere le redini dell’azienda National Shoes, presso cui presta servizio da anni in qualità di top manager. Ma neanche il tempo di organizzare un business plan che una telefonata improvvisa gli sconvolge la vita. Un rapinatore afferma di avergli rapito il figlio, in realtà il rapinatore si è sbagliato e ad essere stato rapito è il bimbo dell’autista del signor Gondo. Ad ogni modo la situazione non cambia, se Gondo non paga il riscatto il bimbo muore.
Kurosawa con estrema maestria oltre ad esporre una vera e propria anatomia del genere noir, tra indagini ed inseguimenti, esplora le criticità del miracolo economico giapponese degli anni Sessanta; arrivando addirittura ad anticipare, con incredibile lungimiranza, i primi segni del fatidico decennio perduto (esploso negli anni Novanta).
3. Shield of Straw – Proteggi l’assassino
Abbandoniamo momentaneamente i grandi maestri del passato nipponico per buttarci a capofitto su uno degli autori più innovativi e iconoclasti del nuovo cinema giapponese: Takashi Miike. Su Prime è infatti presente l’imperdibile Shield of Straw – Proteggi l’assassino.
Miike realizza una caccia all’uomo in piena regola laddove la polizia è costretta a proteggere un letale assassino: il potente Ninagawa, disperato dopo il brutale omicidio della sua piccola nipotina, decide di mettere un taglia spropositata sopra la testa del killer Kiyomaru, ora sotto la custodia delle forze dell’ordine. Miike realizza un thriller concitato, a tratti macabramente elegante con terrificanti fuori campo sonori o particolari su parti del corpo esanimi.
Approfonditi e accattivanti come sempre i suoi personaggi: un serial killer sadico, recidivo e profondamente disturbato viene contrapposto ad un poliziotto integerrimo, fedele al distintivo. Due personaggi tanto diversi, quanto mai accomunati da una condizione di totale solitudine ed emarginazione. Due outsider ai margini del sistema.
4. Madre (2009)
Dal Giappone voliamo nelle sperdute campagne sud-coreane con l’agghiacciante Madre dell’ormai famosissimo Bong Joon-ho.
Il film segue la tragica odissea di una povera madre che si vede portare via il figlio disabile, accusato frettolosamente di omicidio e costretto a confessare tra torture e giochi psicologici.
La donna, che simbolicamente non verrà mai chiamata per nome diventando quindi un simbolo universale, visto l’ottusità della polizia decide di azioanarsi in solitaria; ed ecco che il regista propone il primo grande interrogativo esistenziale-filosofico: fino a che punto si spingerebbe un’amorevole madre per il bene di suo figlio?
La nostra donna è un angelo sceso in terra ma ama il figlio incondizionatamente pertanto non avrà problemi a sporcarsi le mani se questo serve a salvare la sua amata prole.
Cinematograficamente parlando, siamo di fronte a un capolavoro laddove il nostro Bong Joon-ho presenta una tensione e una regia hitchcockiana di livello sublime, inglobata perfettamente nel suo tipico stile all’insegna dell’amalgamazione del genere: tragedia, lirismo, commedia, episodi grotteschi e critica socio-politica sono come sempre presenti e perfettamente bilanciati.
5. Old Boy (2003)
Prima di Parasite dell’appena citato Bong Joon-ho, in Europa e in special modo in Italia il film coreano più visto e famoso era senza ombra di dubbio Old Boy, di un altro grande autore del New Korean Cinema: Park Chan-Wook.
Il film è il secondo capitolo della cosiddetta trilogia vendetta, aperta da Mr. Vendetta del 2002 e chiusa nel 2005 con Lady Vendetta. Ad ogni modo Old Boy è l’adattamento cinematografico dell’omonimo manga giapponese del 1996.
L’opera di Park Chan-Wook è una summa di quello che poi ha offerto e sta offrendo il cinema coreano contemporaneo; un film di genere che del genera muta, pronto a stupire lo spettatore con trame intriganti; trame ricoperte da un sottile ma denso sotto testo sociale, il tutto unito ad un comparto tecnico-stilistico sia derivativo sia altamente originale: l’uso nella macchina a mano e del jump cut nell’incipit iniziale o il celebre piano sequenza con carrellata laterale/orizzontale verso ambedue i lati, di circa tre minuti (con il protagonista che massacra i suoi carcerieri), sono ormai pezzi di storia di regia. Meravigliosa e filosofica poi l’introspezione della vendetta, tema portante del film. La vendetta molte volte può risultare salutare, quasi obbligatoria, tuttavia una volta compiuta, il dolore ritorna più forte di prima e tutti saranno costretti a pagarne le conseguenze.
6. The Chaser (2008)
Continuando con i nuovi autori del New Korean Cinema, su Prime trovate comodamente The Chaser del talentuoso Na Hong-jin. Il film è neo-noir altamente cupo laddove un ex detective della polizia, ora dedito al racket della prostituzione, in maniera alquanto rocambolesca si imbatte in un sadico serial killer.
Na Hong-jin, qui al suo esordio dietro la macchina da presa, mette in scena un tragico e macabro fatto di cronaca utilizzando diversi canovacci del thriller moderno, tanto coreano quanto americano (vicino ad un certo David Fincher). Il regista dosa la tensione secondo i dettami del genere ma allo stesso tempo propone alcuni stilemi tipici dell’attuale corrente coreana come la commistione di generi: dal comico al gore, fino ad arrivare a sequenze incredibilmente drammatiche. Non mancano poi frecciatine sociali contro l’immobilismo (per questioni politiche) ed inadeguatezza delle forze dell’ordine.
7. Merantau (2009)
Lasciamo un attimo la moderna Corea del Sud per addentrarci nel nuovissimo action-movie indonesiano firmato dal gallese Gareth Evans, ormai idolo indiscusso per aver introdotto nel mondo cinematografico l’arte marziale -indonesiana- del Pencak Silat qui protagonista assoluta.
Merantau è il primo cult di Evans, il film è anche il primo grande successo del funambolico Iko Uwais. L’opera si distingue per una veemenza irrefrenabile laddove una storia convenzionale si conclude con esiti inaspettati, all’insegna di una sofferenza epica: sofferenza patita a più non posso dal protagonista.
Merantau è un saggio sul cinema di combattimento, improntato in primis su una costruzione dell’antefatto, per poi irrompere nella violenza più brutale; una violenza carnale, assolutamente percepita dallo spettatore. L’inseguimento tra i tetti, lo scontro nell’ascensore e l’intensissima battaglia finale (con il protagonista che si trova ad affrontare decine di avversari sopra dei container portuali) sono ben saldi in tutti noi amanti del genere.
8. The Raid – Redenzione (2012)
Siamo sempre a Giacarta, Indonesia, con il buon vecchio Gareth Evans dietro alla macchina da presa. The Raid – Redenzione è uno degli action movie più famosi degli ultimi dieci anni. Il film è una corsa contro il tempo laddove una squadra swat formata da circa 20 uomini e guidata dal giovane ufficiale Rama (Iko Uwais), ha il compito di uccidere un noto signore della droga; criminale barricato all’ultimo piano di in un edificio imponente, simbolo della decadenza periferica di Giacarta.
Evans inizialmente confeziona il suo capolavoro dandogli una forte impronta videoludica; l’obiettivo della squadra si trova asserragliato in cima all’edificio, per cui la swat dovrà letteralmente conquistare ogni singolo piano. Come in un videogioco action-platform, i primi livelli sono semplici, e con pochi nemici, tuttavia più si sale più il gioco si trasforma in una carneficina.
The Raid è un action, con sfumature da thriller, diretto in maniera eccelsa; Evans utilizza molto bene la macchina a mano (Panasonoc Af-100) che permette uno straordinario effetto pragmatico trasportandoci al centro dell’azione tra atmosfere claustrofobiche, scenari cupi e crepuscolari e coreografie ai limiti dell’umano.
9. Shadow (2018)
Dall’Indonesia alla Cina è un attimo, ed eccoci con Shadow diretto da Zhang Yimou, maestro indiscusso della quinta generazione; Shadow è un film meraviglioso con una fotografia che vira spesso sul b/n; lungometraggio distinto da una prima parte molto criptica che si presenta come una sorta di thriller da camera manieristico e sopraffine, con i protagonisti imprigionati dalle loro ossessioni o ruoli. La loro condizione è altresì enfatizzata da una regia comunicativa maestosa con le inquadrature che spesso si presentano a “livelli” proponendoci duplici effetti cornice: effetti atti a imprigionare i soggetti, con la camera al di là di tende o porte. I combattimenti -seconda parte- poi sono leggiadri e poetici, intrisi da una filosofia tipicamente cinese all’insegna dello Ying e dello Yang. Combattimenti avvicendati da rapidi segmenti assai efferati, vicini ad un certo cinema di Tsui Hark.
10. Vendicami (2009)
Procediamo imperterriti con la nostra cavalcata asiatica e catapultiamoci nell’ex colonia britannica, con uno dei tanti capolavori firmati dal maestro Johnnie To ed intrepretato da un Johnny Hallyday in cerca di vendetta. Con Vendicami il maestro To realizza un sentitissimo omaggio al polar di Melville, filtrato da ossessioni stilistiche a lui care. Il film è una macabra danza di morte, assai iperbolica distinta da una totale rottura delle regole gravitazionali con uno sballottamento delle geometrie spaziali senza eguali. Anche tematicamente, il regista ritorna a lidi a lui famigliari: dalla vendetta dal sapore nichilista, all’amicizia virile che non diventa mai machismo volgare.
11. Dragon (2011)
Basta attraversare un modernissimo ponte (il ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao) e da Hong Kong la Cina è raggiungibile in un battito di ciglia ed eccoci quindi con l’eccelso Wu Xia (su Prime Video Dragon) del maestro Peter Chan, tra le personalità più influenti dello star system cinese.
Interpretato da Donnie Yen, Takeshi Kaneshiro e Jimmy Wang Yu, il film è un ingannevole wuxiapian. Chan certamente propone alcuni richiami evidenti a capisaldi del genere, come Mantieni l’odio per la tua vendetta, tuttavia l’enfant prodige hongkonghese si focalizza su un certo ragionamento di verità e contro verità, tale da aggiornare il modello Rashômon (Akira Kurosawa, 1950); il tutto è poi filtrato sia dalle potenzialità della tecnologia moderna, sia da alcune reminiscenze inconsce, concettualmente vicine a A History of Violence (David Cronenberg, 2005). Non mancano poi declinazioni al western americano. Da vedere.
12. Cena a sorpresa (1984)
Facciamo marcia indietro e torniamo ad Hong Kong con un classicone intramontabile, diretto da Sammo Hung ed intrepretato da Jackie Chan, Yuen Biao e lo stesso Hung: Cena a sorpresa.
Il film è girato tutto a Barcellona con un certo gusto “turistico”, ci sono diverse immagini copertina; ad ogni modo, il fulcro del film è il kung fu comico-demenziale, marchio di fabbrica di Jackie Chan. Si ride di gusto, Sammo Hung spesso propone battute tanto semplici, puerili ma altamente pungenti e politicamente scorrette. Inoltre i combattimenti corpo a copro sono sublimi, ripresi con virtuosismi artigianali difficilmente replicabili tra slow-motion frammentati, long take e frantumazioni istantanea e focosa della regola dei 180°. Gradevoli e divertenti i tanti richiami meta-cinematografiche, da cult locali (Police Story) passando per intramontabili blockbuster americani (Rambo).
13. Outrage (2010)
Torniamo in Giappone e vi citiamo senza troppi fronzoli, il primo capitolo dell’iconica trilogia yakuza firmata dalla leggenda Takeshi Kitano: Outrage.
Il buon Kitano tratteggia una trama convenzionale ma allo stesso tempo complessa, ricca di complotti ed intrighi politici-malavitosi, laddove vedremo una Tokyo senza speranza; megalopoli oscura dominata da varie famiglie mafiose, dove onore e lealtà sono ormai un lontano ricordo. Magnifica altresì la regia, con il noto cineasta che ripropone il suo anomalo linguaggio cinematografico; un linguaggio pervaso da un uso frequente d’ellissi, da lentissimi movimenti di macchina fino ad arrivare alle iconiche esplosioni di violenza.
14. Demon Slayer: the Movie- Il Treno Mugen
Rimaniamo ancora in Giappone e parliamo un po’ d’animazione con la pellicola evento del 2020: Demon Slayer: the Movie – Il treno Mugen.
Prodotto dal noto studio Ufotable (Fate/stay night: Heaven’s Feel), il film è la perfetta continuazione della prima omonima serie televisiva e non a caso si apre riproponendo gli ultimi 30 secondi del 26° episodio. Il film è un tripudio d’azione e tematiche iconiche della serie: dal forte spirito di sacrificio, fino design variegato e grottesco dei vari demoni. Assai pregevole è poi una certa dimensione onirica, vicina concettualmente ad alcuni cult del settore tra cui Lamù – Beautiful Dreamer di Mamoru Oshii.
15. Chocolate (2008)
Le liste sono utili e belle quando spaziano il più possibile, presentando opere altamente diversificate. Dunque allacciatevi le cinture che voliamo in Thailandia e andiamo a vedere un film abbastanza di nicchia del maestro Prachya Pinkaew: Chocolate.
Il film ruota intorno a una ragazza autistica dalle eccelse doti marziali che tra una barretta di cioccolata e l’altra è dedita a far fuori criminali di vario tipo. Il film all’epoca dell’uscita, colpì molto l’industria locale sia per la volontà del cineasta di sensibilizzare il pubblico sull’autismo, sia per le incredibili coreografie d’azione dove emerge un utilizzo interessante dello spazio circostante: ed ecco che una fabbrica di scatole diventa il luogo ideale per dar vita ad acrobazie clamorose e molto rischiose, oppure pensiamo al combattimento finale sul cornicione di un palazzo, o ancora agli scontri da accovacciati al di sotto di tubi di metallo.
Originale poi lo stile di Yanin Jeeija (la protagonista) che ripropone, con alcune piccole novità, il celebre jeet kune do di Bruce Lee, mischiandolo anche alla capoeira oppure al più classico muay thay.
16. Viaggio a Tokyo (1953)
Concludiamo la lista in maniera perfettamente circolare ritornando con un altro classico giapponese: l’intramontabile Viaggio a Tokyo del maestro Yasujirō Ozu.
Ozu subito dopo aver partorito un intrigante film orientato ad esplorare una crisi coniugale, Il sapore del tè verde del 1952, realizza il suo capolavoro più celebre: Viaggio a Tokyo.
Il film ha un soggetto molto semplice; una coppia di anziani, residenti nel sud del Giappone, intraprende un viaggio verso Tokyo, città dove si trovano i loro figli. Sfortunatamente per loro una volta giunti nella moderna capitale non riceveranno l’attenzione meritata ed aspettata. I ritmi frenetici della Tokyo degli anni Cinquanta rende quasi impossibile la concretizzazione della vita famigliare; ormai conta solo lavorare e lavorare.
Ozu però racconta il tutto con una delicatezza ed un’eleganza formale senza eguali. Ogni minimo paesaggio inquadrato, i gesti dei soggetti o le piccole sfumature sono messe in scena con una cura così perfetta che risulta difficile descriverla. Viaggio a Tokyo nonostante tratti un tema sentito come quello della disgregazione familiare, lo fa con una regia pacatissima laddove i movimenti di macchina sono quasi del tutto aboliti; movimenti sostituiti da una linearità visiva che aiuta a cogliere l’armonia generale del film. Unica pecca, il film è presente sul catalogo Prime sotto forma d’acquisto o noleggio.