Si sono sprecate, negli ultimi giorni, le facili ironie sul titolo del biopic dedicato a Ennio Doris, diretto da Giacomo Campiotti, con Massimo Ghini: persino chi scrive non ha potuto fare a meno di associare quel “C’è anche domani” al quasi analogo “C’è ancora domani” di cortellesiana memoria. Ma la verità, come spesso avviene, è molto più lineare di qualsiasi retropensiero.
Questa frase, apparentemente così banale, si rifà infatti all’infanzia di Ennio e si configura come monito, lanciatogli dal padre come stimolo a non mollare, anche di fronte ad avversità o fallimenti, in previsione, appunto di un futuro più prospero. Un insegnamento importante, che Doris ha deciso di rendere immortale facendone anche il titolo della sua autobiografia, datata 2014.
Non siamo dunque di fronte a una rude operazione di marketing volta a sfruttare l’incredibile successo del film di Paola Cortellesi, ma piuttosto davanti a un autentica porzione di vita vissuta; a raccontarcela è lo stesso Doris, in un articolo del 2014, poi confluito nel primo capitolo della sua autobiografia, in cui il banchiere racconta la prima grande delusione, patita da bambino tifoso del grande ciclista Fausto Coppi. Il racconto è emozionante e incalzante, e ve lo proponiamo qui sotto, senza ulteriori postille
Con il passare del tempo, anche in quel piccolo bar di Tombolo la tensione si faceva sempre più alta. Io fremevo e guardavo negli occhi mio padre. Volevo che vincesse Coppi. Tuttavia le cose non andarono come avremmo voluto. Superato il Falzarego, Koblet, straordinario in discesa, staccò Coppi e passò ancora in testa sul Pordoi. C’era però il Sella da affrontare: noi non avevamo ancora perduto le speranze. Nella discesa tra le due cime, Koblet scattò ulteriormente e allungò, sulla salita Coppi riuscì a riprenderlo e a passare in testa valicando in sella con quasi due minuti di vantaggio sullo svizzero. Dalla radio riuscimmo ugualmente a cogliere l’ovazione della gente che affollava il valico al momento del passaggio in solitaria di Coppi: l’entusiasmo dei tifosi lassù si riversò anche all’interno di quel piccolo bar di paese. Sembra fatta. Stavamo già festeggiando. Poi, sulla strada verso Bolzano accadde quello che nessuno si sarebbe mai aspettato: Koblet riuscì a rimontare, raggiunse Coppi e arrivò insieme a lui sul traguardo. Coppi vinse la tappa, ma lo svizzero riuscì a mantenere la maglia rosa. I bartaliani esultarono. Avevo le lacrime agli occhi. Ero pronto a far festa, invece era andato tutto storto, e a gioire non eravamo noi ma i nostri rivali.
La delusione era cocente, fortissima. Camminammo soli per strada, mio padre e io. Ero senza parole, senza energia, privo dell’entusiasmo che mi aveva accompagnato nell’attesa di quella giornata. Papà si fermò all’improvviso. Si voltò verso di me, poi afferrò le mie spalle con entrambe le mani e mi guardò dritto negli occhi. Comprendeva la mia profonda delusione, però mi sorrise, e il suo modo di fare e il suo sguardo mi riscaldarono il cuore e riaccesero la mia anima. Poi mi disse: «Ennio, ricordati che c’è anche domani». C’è anche domani… Quelle parole, quel momento segnarono la mia vita. Furono un inno all’ottimismo, mi indicarono la strada da percorrere, mi insegnarono a guardare avanti con sicurezza e fiducia in qualunque circostanza