Il film Gran Bollito di Mauro Bolognini è ispirato alla storia della serial killer Leonarda Cianciulli, conosciuta come la Saponificatrice di Correggio, che uccise tre donne tra il 1939 e 1940, sciogliendone i corpi nella soda caustica per fabbricare sapone e, con il sangue, impastò biscotti che regalava alle vicine. Pur prendendo spunto dalla vicenda di cronaca, la narrazione del film viene rielaborata mischiando verità e finzione, in chiave grottesca e a metà tra l’horror e la commedia dark.
Le somiglianze con le vicende della Saponificatrice di Correggio sono tantissime, tuttavia, un disclaimer iniziale sottolinea che si tratta di una storia senza tempo accaduta in Italia e ispirata anche a vicende analoghe. Nel film la protagonista si chiama Lea, e come la Cianciulli è originaria della Campania, ma vive in un paese del Nord Italia.
La storia segue Lea (interpretata da Shelley Winters), una donna originaria della Campania, che si trasferisce con il marito in un paese del Settentrione per gestire un banco lotto e la portineria del palazzo in cui vivono. Il loro figlio Michele è uno studente universitario, e Lea nutre per lui un affetto morboso e una gelosia profonda, temendo di perderlo. Il fatto che Lea abbia avuto numerosi aborti rende la nascita di Michele un vero e proprio miracolo. Nel frattempo, il marito subisce un ictus che lo immobilizza a letto, costringendo la famiglia ad assumere una badante muta di nome Tina.
Ad accentuare la componente grottesca del film, sono tre attori uomini che interpretano le tre vittime di Lea: Lisa, Stella e Berta interpretate rispettivamente da Max von Sydow, Renato Pozzetto e Alberto Lionello. Lea stringe amicizia con queste vicine di casa, tra cui Lisa, una donna molto religiosa e casta, Stella, una cantante che si finge tedesca, e Berta, che si mostra apertamente disinvolta riguardo alla sua sessualità. Quando a casa di Palma e Stella si trasferisce una nuova coinquilina, Sandra, un’insegnante di danza di cui Michele si innamora, Lea prende una decisione estrema. Per proteggere Michele da Sandra e dall’imminente guerra, Lea decide di compiere tre sacrifici umani, uccidendo Berta, Lisa e Stella e “trasformandole” in dolcetti e saponette.
Le motivazioni agli omicidi addotte dalla vera Leonarda Cianciulli erano una mescolanza di superstizione, credenze religiose e desideri di proteggere la sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale. Tra le maggiori differenze del film c’è il fatto che la Cianciulli non aveva un solo figlio, ma quattro e che il marito non era paralizzato, ma la coppia era separata. Anche il finale del film è ispirato ai fatti reali: dopo essere stata arrestata e soprannominata “Mostro” dalla folla, lei risponde con un sorriso di sfida. Va specificato però, che sulle motivazioni di Cianciulli, così come sulle modalità attraverso le quali si sbarazzò dei cadaveri, sussistono tutt’oggi molti dubbi, mai del tutto chiariti.
Nata nel 1894 e originaria dell’Irpinia, Leonarda Vittoria Giuseppa era l’ultima di sei figli. Nonostante la sua apparente affabilità e minuta statura, Leonarda nascondeva un lato oscuro della sua personalità. La sua vita fu segnata da tragedie personali fin dall’infanzia: raccontò in un lungo memoriale di essere stata maledetta dalla madre alla vigilia delle nozze, augurandole una vita di sfortune. Inoltre, anni prima, una zingara le avrebbe lanciato un’altra maledizione: “Ti mariterai, avrai figliolanza, ma i figli tuoi moriranno tutti”, che sembrò condizionare il corso della sua vita, poiché Leonarda partorì dodici figli, ma solo quattro di loro sopravvissero. Dopo diversi anni di matrimonio, Leonarda venne abbandonata dal marito, lasciandola sola a fronteggiare le difficoltà della vita quotidiana. La donna, a suo dire, si immerse sempre più nelle superstizioni e nei rituali propiziatori, convinta che solo attraverso di essi potesse ottenere una vita migliore.
La sua storia criminale iniziò con una serie di omicidi premeditati ai danni di donne sole: Ermelinda Faustina Setti, Francesca Clementina Soavi e Virginia Cacioppo. Leonarda agì con fredda determinazione, raggirando le tre vittime con la promessa di una nuova vita lontane da lì, poi facendosi firmare dalle stesse una procura con cui avrebbe potuto vendere tutti i loro beni. Infine, dopo aver fatto scrivere delle cartoline ai parenti, per infornarli del fatto che non sarebbero tornate, le uccideva. Dopo gli omicidi, secondo la sua versione, faceva agevolmente a pezzi i cadaveri e li scioglieva in capienti pentoloni con la soda caustica, per trasformarli in saponette. Questa macabra pratica che in teoria serviva a nascondere le prove dei suoi crimini, era stata già messa in dubbio in occasione del processo, nel 1946, ed è stata ridimensionata da Augusto Balloni, neuropsichiatra e docente di Criminologia all’Università di Bologna, il quale dubita che Cianciulli potesse aver messo a bollire dei resti umani senza che nessuno in casa se ne accorgesse, considerato il fetore. Impossibile, secondo Belloni, che il figlio della donna, Giuseppe, possa aver “confuso l’odore nauseabondo del pentolone materno con quello della fogna”. Quanto alle saponetta, spiega il professore, è più plausibile che se Cianciulli se ne sia sbarazzata un po’ per volta, senza doverle regalare.
Leonarda Cianciulli infine fu considerata semi inferma di mente e colpevole di tre omicidi, e condannata a trent’anni di carcere per i suoi crimini, con i primi tre da trascorrere in un istituto psichiatrico, ma di fatto trascorse il resto della sua vita internata nel manicomio di Pozzuoli, dove morì, lasciando dietro di sé una delle pagine più oscure della storia criminale italiana. “Ebbene me le ho mangiate le mie amiche, se vuole essere mangiato anche lei, sono pronta a divorarlo […], le scomparse me le avevo mangiate una in arrosto, una a stufato, una bollita”. Afferma così la Cianciulli all’agente di polizia Valli, che le domandò che fine avessero fatto le tre donne scomparse.