Il film: Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water) del 2022. Regia di James Cameron Cast: Sam Worthington, Zoe Saldana, Stephen Lang, Sigourney Weaver, Kate Winslet, Britain Dalton, Bailey Bass.
Genere: fantasy, avventura, azione, drammatico durata 192 minuti. Dove lo abbiamo visto: in anteprima stampa al cinema, in 3D.
Trama: Su Pandora, la famiglia di Jake Sully e Neytiri deve trovare rifugio presso un altro clan di Na’vi, per fuggire alla violenta vendetta degli umani della RDA. Imparerà una nuova cultura e affronterà nuovi pericoli.
Non c’è storia.
La critica più feroce nei riguardi del primo capitolo di Avatar, ma anche il primo pensiero, diretto e viscerale, che ci accompagna all’uscita della sala, una volta terminati i titoli di coda di Avatar: La via dell’acqua, sequel del film campione d’incassi del 2009, e secondo capitolo di cinque previsti da parte del regista dei record James Cameron.
Record che non si riferiscono solo agli incassi dei suoi ultimi film, ma anche a una visione sempre più ampia, spettacolare e grandiosa, per non dire unica nel suo genere, nei riguardi della tecnologia al servizio delle idee e di una concezione talmente pura nei confronti del cinema da risultare primigenia, e quindi fuori dal tempo.
E sì, dopo essere stati immersi nuovamente, a distanza di 13 anni dalla prima volta, nel mondo di Pandora per 192 (velocissimi) minuti, possiamo solo dire che non c’è storia. Perché, come vedremo nella nostra recensione di Avatar – La via dell’acqua, quando dietro la macchina da presa c’è un regista come James Cameron, in questa veste di demiurgo dal cuore gigantesco e una voglia irrefrenabile di dare senso al tempo speso all’interno di un sala cinematografica, il risultato è un’esperienza unica che non ha rivali.
Una trama da non sottovalutare
Possiamo iniziare a parlare dell’aspetto più problematico, quello che ha reso il primo film un successo incredibile, ma che è stato da sempre definito il punto debole del progetto Avatar: la trama. Troppo stereotipato e semplice, basato su archetipi che appartengono all’alba dei tempi della narrazione, Avatar sembrava più memorabile per gli effetti visivi che per la storia che voleva raccontare.
Questo secondo capitolo aveva il duplice dovere di far ricredere i delusi dal primo capitolo ed espandere la narrazione della saga, gettando le basi di un lungo racconto ma risultando in ogni caso chiuso in sé stesso.
La trama di Avatar – La via dell’acqua riprende le vicende di Jake Sully (Sam Worthington), ormai completo Na’vi, e Neytiri (Zoe Saldana) che sono diventati genitori: tre figli biologici, Neteyam, Lo’ak e la piccola Tuk, una figlia adottiva ormai adolescente di nome Kiri, nata dall’avatar della dottoressa Grace (Sigourney Weaver nel primo capitolo e qui corpo e voce della giovane Na’vi), e un umano adolescente cresciuto con loro chiamato Spider. La vita nella foresta di Pandora sembra procedere in armonia, fino a quando gli umani della RDA, capitanati dal malvagio colonnello Quaritch, le cui memorie sono state ricombinate nel corpo di un avatar dopo la sua morte in forma umana avvenuta nel primo capitolo, tornano su Pandora per portare distruzione e, soprattutto, vendicarsi di Jake.
La famiglia Sully è, quindi, costretta a fuggire dal proprio popolo e trovare rifugio presso una popolazione di Na’vi dalla diversa cultura chiamati Metkayina. Qui i Sully dovranno imparare le usanze del popolo marino, che non vede di buon occhio l’arrivo di questi Na’vi diversi da loro e ricercati, ma anche gestire una frattura nei rapporti famigliari, che si farà via via sempre più ampia.
Semplice non vuol dire banale, e archetipica non vuol dire priva di importanza e complessità. La storia di Avatar 2 non intende complicare la visione del film agli occhi del pubblico, ma replica quella formula – quasi appartenente a un altro tempo e a un altro modo di fare cinema – che aveva fatto la fortuna del primo capitolo. Le dinamiche tra i personaggi, ognuno con il suo preciso ruolo nei riguardi della narrazione, sono sempre chiare, le novità più complesse vengono spiegate a dovere, i dialoghi intendono sottolineare il flusso della narrazione anziché sostituirlo. Si tratta di una scrittura che in qualche momento più apparire un po’ démodé ma cristallina e precisa nelle intenzioni e nello svolgimento. Perché la forza di Avatar – La via dell’acqua non sta tanto nei colpi di scena (che comunque ci sono) o nella difficoltà dell’intreccio, ma nelle tematiche che intende affrontare. Tematiche che mette in scena con un’eleganza cristallina, dirette quanto basta, senza risultare mai ricattatorie: c’è il discorso ambientale ed ecologico, ma anche un’attenzione particolare alla spiritualità e al rinnovamento della propria identità – certo – ma dove Avatar 2 colpisce a fondo, emozionando senza possibilità di difesa da parte dello spettatore, è nel rapporto tra genitori e figli. Qui, Avatar – La via dell’acqua si dimostra un blockbuster complesso e sopra la media rispetto ad altre produzioni recenti, che fa dell’emotività e dell’empatia il suo miglior ingrediente per trasportare e immergere il pubblico all’interno di questa storia sempre più grande.
Un cast di nuova generazione
Se le emozioni arrivano è grazie alla presenza di personaggi a cui non si può non voler bene. Bastano pochi minuti di presentazione per sentirsi sin da subito legati alle loro storie, cosa che col trascorrere dei minuti si accentuerà sempre di più a causa di una CGI che sinceramente non ha rivali (e non solo in tempi recenti), dove i volti degli attori, riconoscibili sotto la maschera digitale, sono così iper-realistici da rompere quella barriera visiva che li etichetterebbe come digitali, impedendo di credere a quanto stiamo vedendo. Ma il merito maggiore è soprattutto del cast attoriale, che brilla di luce propria. Soprattutto le new entry della nuova generazione di protagonisti, che danno vita a un gruppo di adolescenti e giovani che rubano letteralmente la scena alla vecchia guardia, nonostante Jake Sully rimanga la voce narrante della storia e Neytiri (la più sacrificata dei personaggi storici) ha alcuni dei momenti migliori del film.
Parlando dei singoli: Britain Dalton nel ruolo di Lo’ak, il secondogenito dei Sully, e Bailey Bass, la figlia del capo dei Metkayina di nome Reya, portano con loro il cuore pulsante del film, mentre la piccola Trinity Bliss (Tuk) sorprende per la sua personalità nonostante, per cause di forza maggiori, il suo ruolo sia più secondario, come il Neteyam di Jamie Flatters.
Il vero miracolo riguarda Kiri, il personaggio più importante per l’economia della saga, un’adolescente interpretata da una settantatreenne Sigourney Weaver che lascia sconcertati in senso positivo per come si muove e come si senta perfettamente a suo agio nel corpo di una ragazza giovane. Più nell’ombra l’umano Spider interpretato da Jack Champion, che vive grazie alla scrittura del personaggio e al suo ruolo all’interno della storia.
La grande forza di questo cast, però, è nella simbiosi e nella sinergia tra i loro personaggi: si ha la sensazione di vedere un rapporto vero, naturale, alchemico, privo di una costruzione artificiale che passa attraverso la scrittura e la carta. È la carta vincente del film e il miglior risultato che questo sequel doveva ottenere, per garantire un proseguimento della saga in maniera transgenerazionale.
Perché questo cast così riuscito (e ci perdoneranno Sam Worthington, Zoe Saldana, Kate Winslet e Stephen Lang se citiamo solo di sfuggita il loro grande talento presente in questo film) permette di parlare direttamente a una nuova generazione di spettatori, troppo giovani nel 2009 per vivere l’esperienza che l’ormai cresciuto pubblico del primo film ricorda bene, e che ora rappresentano il pubblico più interessato all’esperienza in sala. Solo con la nascita di una loro passione e l’interesse verso questo mondo, la saga ambientata su Pandora potrà proseguire con successo, consolidando il franchise. Ed è qui che Avatar – La via dell’acqua cala il suo colpo da maestro, ponendo sotto i riflettori una cieca fiducia nel futuro e nei giovani, dimostrando ancora una volta come James Cameron riesca a partecipare a un campionato tutto suo, realizzando film che nell’immediato colpiscono per la loro messa in scena, ma nel tempo si trasformano in classici eterni.
Respirare sott’acqua
È il momento di affrontare l’elefante nella stanza di Avatar 2, quell’elemento che ha colpito sin dalle prime immagini promozionali e che non si può fare a meno di ribadire, nonostante sia letteralmente sotto gli occhi di tutti. E a costo di ribadire l’ovvio e risultare scontati, dobbiamo ammettere la cruda verità: non si è mai visto al cinema qualcosa come Avatar – La via dell’acqua, dal punto di vista prettamente visivo. Mai.
Soprattutto dopo esserci abituati negli ultimi anni a effetti visivi sempre più cheap (e soprattutto ad accettarli e farceli bastare, abbassando le nostre aspettative ma anche non pretendendo un’esigenza curativa ai nostri occhi sempre più pigri), Avatar 2 riaccende una luce accecante, così calda da intorpidirci il petto, tale da ricordarci perché esiste il cinema, con il suo grande schermo e l’audio ad alto volume.
Con l’ausilio del 3D, che oltre a qualche ludico effetto pop-out dona una profondità di campo e una tridimensionalità sui volti che lascia esterrefatti, ci sentiamo davvero immersi. Non solo nelle acque cristalline di Pandora, dove andremo alla scoperta di un mondo sottomarino che lascia a bocca aperta, ma anche nei rapporti emotivi, tra personaggi e creature che popolano il film. Complice una fotografia di Russell Carpenter, già collaboratore in Titanic, ricercatissima, dove naturalità e scelta artistica si confondono attraverso uno spettacolo che non ha precedenti, non si può fare a meno di rimanere completamente sbalorditi e inseriti all’interno delle vicende, tanto nei momenti più rilassati quanto in quelli più concitati. Non possiamo non citare l’ultimo atto di film, dove l’azione regna sovrana, il cui risultato è quanto di più preciso e perfetto si possa pretendere da un film degno di questo nome: spettacolare, adrenalinico, potente.
“La via dell’acqua connette tutte le cose” dicono all’interno del film, e così è davvero. Visionarietà, empatia, trasporto, schermo e pubblico: tutto si lega in totale fluidità. Il risultato è uno spettacolo che definisce il concetto di esperienza cinematografica, che ti insegna a respirare sott’acqua ma non può fare a meno che farti sentire in apnea.
Meriti e limiti di una poesia cinematografica
James Cameron prosegue per la strada che ha sempre intrapreso, non rinnegando mai la sua personalità ma anzi rinnovandola con la consapevolezza della maturità. Il suo Avatar – La via dell’acqua intende approcciarsi a una narrazione che passa soprattutto per le immagini, scelta che oggi appare quasi in controtendenza rispetto alle formule consolidate contemporanee, dove il dialogo e l’esposizione attraverso la parola contano di più rispetto al significato delle immagini. Nei momenti migliori ad Avatar 2 basta un’inquadratura per raccontare tutto: gli sviluppi della trama, i pensieri dei personaggi, il trasporto emotivo, la vita su Pandora… La narrazione passa soprattutto attraverso gli occhi e gli sguardi (il che sottolinea ancora una volta come gli effetti visivi siano allo stato dell’arte: quanto coraggio e fiducia ci vogliono per puntare così tanto sulle espressioni del volto su creature digitali per raccontare?), che se da un lato dona al film un allontanamento dai canoni del blockbuster facendolo approcciare al cinema d’autore indie, dall’altro crea, in certe occasioni, una perdita di quella coesione che invece il primo capitolo aveva.
Il montaggio gioca sulle narrazioni alternate e deve mettere insieme tanti personaggi e diverse storie, legandoli dal punto di vista emotivo o figurativo. Soprattutto nella parte centrale, non sempre il bersaglio viene centrato, dando la sensazione di una narrazione un po’ frammentata, sempre dall’alto ritmo ma un po’ dispersiva (anche se, come già raccontavamo qualche riga sopra, il terzo atto lega il tutto e lo fa incredibilmente bene). Si potrebbe dire che questo sequel sia quasi un remake del primo capitolo, ambientato nell’acqua invece che nella foresta, ma così non è. Sicuramente Avatar – La via dell’acqua non nasconde la sua natura di secondo capitolo, stimolando certe dinamiche e riprendendo, soprattutto dal punto di vista musicale, certi temi che possono dare l’effetto di déja-vu, specie quando inseriti in determinate scene. Si tratta però di una scelta consapevole e voluta. D’altronde in una poesia ci aspettiamo le rime.
In realtà è il nuovo punto di vista, soprattutto in relazione ai personaggi storici, che rende Avatar 2 la più naturale e migliore prosecuzione della saga, allo stesso modo sviluppo e nuovo punto di partenza di un franchise di cui sì, abbiamo bisogno.
Perché Avatar – La via dell’acqua risponde a un desiderio, quello di esemplificare in maniera quasi religiosa la grandiosità e l’unicità del cinema.
Lo sguardo come atto d’amore. E uscire poi dalla sala e poter pensare che no, non c’è nulla di paragonabile a questo tipo di esperienza, a questo tipo di emozioni. No, non c’è proprio storia.
La recensione in breve
Con Avatar - La via dell'acqua James Cameron regala il suo film più maturo, senza rinnegare la propria personalità. Questo sequel del film del 2009 intende espandere la propria narrazione, senza rinunciare agli elementi semplici ed efficaci che l'avevano reso un successo. 192 minuti densi ma coinvolgenti, che regalano un vero e proprio spettacolo per gli occhi e grande emotività. Un film per il grande schermo che, al netto di qualche leggero senso di déja-vu, risplende e si dimostra una delle visioni più incredibili possibili.
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