Il film: Battle Royale, del 2000. Regia di Kinji Fukasaku Cast: Takeshi Kitano, Tatsuya Fujiwara, Aki Maeda, Tarō Yamamoto.
Genere: azione, thriller Durata 122 minuti. Dove lo abbiamo visto: in anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: Gli studenti di una classe delle superiori vengono scelti per partecipare a un gioco mortale: intrappolati in un’isola disabitata dovranno uccidersi tra di loro. L’unico sopravvissuto sarà proclamato vincitore.
La potenza e la rabbia. La violenza e la furia.
Le prime note del Dies Irae di Verdi, esplodono a inizio film, mentre compare il logo della Toei, con le sue celebri onde che non solo si infrangono sugli scogli, ma ci catapultano subito nel mezzo di una tempesta, descrivendo tutto l’animo turbolento del film di Kinji Fukasaku. Bastano pochissimi secondi per entrare nel mondo di Battle Royale, pochi minuti per essere nel vivo dell’azione, ma non bastano molte ore e addirittura giorni per dimenticarsi la visione di questo film, oggi più potente che mai.
Perché se c’è un film che merita e rappresenta l’appellativo di cult movie questo è proprio Battle Royale. Da più di vent’anni pellicola controversa, censurata, dalla difficile distribuzione e allo stesso tempo fenomeno al botteghino, pietra miliare del genere e titolo di riferimento i cui eredi (i vari Hunger Games, ma anche il più recente Squid Game, giusto per dirne un paio) ne condividono il successo e il fascino, ma non la forza sconvolgente. Un film che qui in Italia giunge finalmente in sala grazie a CG Entertainment, in collaborazione con Cinema Beltrade – Barz and Hippo, dando la possibilità a tutti gli spettatori, delle vecchie e nuove generazioni, di assistere nel giusto contesto a questo capolavoro in versione restaurata.
E non usiamo il termine “capolavoro” a sproposito, perché come vedremo nella nostra recensione di Battle Royale – Director’s Cut, il film di Kinji Fukasaku, tratto dal romanzo omonimo di Koushun Takami, se risultava incendiario, provocatorio e travolgente ventidue anni fa, visto oggi acquista ancora più forza sovversiva e ribelle. Ancora più violento e furioso. Ancora più potente e rabbioso.
Una trama semplice ed efficace
Il Giappone è al collasso, il sistema sta fallendo. Una crisi prima economica, con un tasso di disoccupazione altissimo, e poi sociale, con gli studenti che abbandonano la scuola per entrare nel mondo della criminalità, colpisce l’autorità degli adulti, rendendoli inermi e spaventati dalle nuove generazioni. Per riuscire ad ammaestrare i giovani, il governo decide, quindi, di varare il Millennium Educational Reform Act, meglio conosciuto come il BR Act: ogni anno una classe di 42 studenti delle superiori verrà estratta a sorte per partecipare a un gioco mortale. I compagni di classe si ritroveranno su un’isola deserta, con un essenziale kit di sopravvivenza e un’arma. Intorno al loro collo un dispositivo elettronico pronto a esplodere se mai decidessero di tentare la fuga. Hanno tre giorni di tempo per uccidersi a vicenda e solo l’ultimo (e unico) sopravvissuto avrà la possibilità di tornare a casa.
Supervisionata dal cinico professore Kitano (Takeshi Kitano in uno dei suoi ruoli più memorabili e, dato il successo del suo gioco televisivo Takeshi’s Castle, capace di creare un torbido legame con la realtà solo con la propria presenza), la battaglia vedrà confrontarsi non solo compagni di classe costretti a uccidere propri coetanei, ma anche amici e fidanzati, che dovranno fare i conti con la propria disumanità e lo spirito di sopravvivenza, dando vita ad alleanze, tradimenti e colpi di scena.
È uno strano corto circuito quello che rappresenta Battle Royale. A una trama essenziale e semplicissima, che non ha bisogno di complicazioni o rivoluzioni al suo interno, si contrappone un contenuto molto denso, che non viene esplicitato a parole, ma rappresentato attraverso le immagini. Ciò che colpisce lo spettatore prima di tutto il resto è la violenza esplicita, distante dalla spettacolarizzazione splatter à la Tarantino (che è un grande estimatore della pellicola che ha spesso omaggiato, soprattutto in Kill Bill). Lungi dal voler divertire il pubblico e ammaliarlo coi getti di sangue, Battle Royale predilige una violenza realistica, spesso lasciata ai margini dell’inquadratura e, di conseguenza, più d’impatto. Perché nelle uccisioni tra gli studenti si racconta la fine dell’infanzia e il peso della crescita, possibile solo attraverso la morte, la propria (paradossalmente è in punto di morte che spesso e volentieri avviene un’epifania che permette agli studenti di maturare) o quella degli altri.
Partecipare al gioco della morte
La maniera in cui veniamo esposti alla violenza non è che uno degli elementi più intriganti e affascinanti di una regia cristallina da parte di un veterano (il curriculum di Fukusaku parla da sé: dal segmento giapponese di Tora! Tora! Tora! sino alla serie di film de Le cronache della Yakuza che ha rivoluzionato il genere) che sa esattamente non solo come muovere la macchina da presa, ma anche come catapultare lo spettatore all’interno della storia. Non è ancora scoccato il decimo minuto di film che, con un incredibile montaggio quasi musicale (come l’uso del rullante che si sente solo durante le inquadrature dei militari) e inarrestabile, il pubblico ha già imparato a conoscere il protagonista Shuya, è dentro alle dinamiche della scolaresca e ha già avuto modo di captare la distopia in cui la storia è ambientata. Sintomo di una fiducia nello storytelling e nello spettatore che pochi hanno.
Questo ritmo instancabile e martellante proseguirà per tutta la durata del film, pagando dazio solamente in certe rare occasioni, in cui alcuni concetti verranno ribaditi una volta di troppo (difetto che non inficia un film che ha quasi un quarto di secolo di vita e che è legato a un certo gusto giapponese della narrazione). I tre giorni di gioco diventano un conto alla rovescia che tiene lo spettatore incollato alla poltrona, rendendolo non solo semplice osservatore ma anche partecipante stesso. E poco importa se di quei 42 studenti iniziali non ne conosciamo il passato o tutto il carattere. Nella maggior parte dei casi basta il nome.
Trionfo dei giovani, fallimento degli adulti
Forse la scelta creativa più destabilizzante sta proprio nel sottolineare i nomi dei singoli studenti, durante l’appello, durante i dialoghi, durante il resoconto mattutino delle vittime, persino attraverso didascalie in sovrimpressione.
Ogni giocatore ha un nome e un cognome, un singolo giovane la cui vita è stata strappata. E non per colpa sua. Ecco che compare l’elemento più contemporaneo del film, che oggi acquista un valore ancora maggiore: lo scontro generazionale tra padri e figli, i cui primi hanno fatto esplodere una bolla sociale ed economica togliendo il futuro ai secondi. Un fallimento, quello dei padri, che si ripercuote nella vita dei ragazzi e nel loro modo di intendere il mondo. Un fallimento generale dato dall’incapacità di ascoltare (e quindi di educare) i ragazzi, costretti a essere autodidatti in un mondo che non riconoscono come il loro.
Nonostante la violenza e il rischio di essere fagocitati da questo sistema marcio (Mitsuko e Kiriyama sono i primi a cedere e a escludersi dal gruppo), Battle Royale acclama i giovani, rendendoli decisamente più coraggiosi, empatici e maturi delle loro controparti adulte. E proprio per questo motivo, il film sembra raccontare un sentimento contemporaneo, certo distopico nei toni, ma urgente.
Perché ciò che sembra mancare è la mancanza di comunicazione tra giovani e adulti, con i padri che risultano eccessivamente intrappolati nella vita come se fossero loro i partecipanti del Programma nell’isola. Impossibilitati a esprimersi, incapaci di parlare e di ammettere i propri errori, gli adulti creano la propria distruzione, e quella del futuro.
Un restauro fantastico per una versione speciale
Tematiche che vengono trattate in maniera esplicita grazie ai tre epiloghi presenti in questa inedita – per l’Italia – Director’s Cut, che contiene rispetto alla versione originale qualche sequenza aggiuntiva, nonché alcuni effetti speciali migliorati. Nei tre Requiem che chiudono la vicenda, il messaggio del film dona un sapore ancora più amaro alla vicenda, ma – col senno di poi – imprescindibile.
La versione originale di Battle Royale, invece, sarà disponibile in un’edizione home video completa, che CG Entertainment sta realizzando tramite il progetto StartUp in crowdfunding, compresa delle due versioni del sequel, con lo stesso fantastico restauro visto al cinema in quest’occasione.
Un restauro curato da Arrow Films nel 2021 e che ha ridato un’incredibile forza espressiva alla pellicola. Grazie a una scansione a 4K del negativo originale giapponese, Battle Royale riprende non solo una colorimetria fedele al girato, capace di rappresentare al meglio i profondi neri della notte nonché il rosso accesso del sangue, ma finalmente dona agli occhi dello spettatore un’immagine dettagliata e materica: la migliore fedeltà possibile per questo cult che necessitava di mettersi in mostra con tutte le sue qualità.
Born to Run
Cosa rimane alla fine della visione di Battle Royale? Sicuramente il sentimento di aver assistito a un’opera esplosiva, capace di catturare il pubblico e i giovani di oggi con lo stesso fascino di ventidue anni fa, al netto di un canovaccio ormai ben conosciuto. Rimane la potenza della colonna sonora, spesso e volentieri basata sull’uso di brani di repertorio di musica classica, nelle orecchie che regalano alcune tra le scene più memorabili dell’anno. Resta la qualità di un film citato e omaggiato dai grandi autori della settima arte, così viscerale da non lasciare indifferenti.
Soprattutto rimane il messaggio, racchiuso in un ideogramma finale, di colore rosso, che si rivolge direttamente alle nuove generazioni. Un imperativo allo stesso tempo ricolmo di speranza e di paura, ma che invita a riappropriarsi dell’unica cosa che conta: la libertà di vivere. Nonostante i programmi, i collari, i tradimenti, il passato doloroso e il destino contrario. E allora bisogna correre, perché il conto alla rovescia non si ferma. Perché le gambe possono reggere la fatica. Perché è la nostra natura.
We gotta get out while we’re young
‘Cause tramps like us, baby, we were born to run
La recensione in breve
Battle Royale - Director's Cut si ripresenta nei cinema italiani con un restauro che dona nuova vita alla pellicola. Il film di Kinji Fukasaku è un cult che oggi si dimostra ancora più potente, non solo grazie a un ritmo invidiabile che tiene lo spettatore incollato alla poltrona, ma anche per come è capace di raccontare in maniera esplosiva e incendiaria un tema di scontro generazionale che riguarda anche il nostro presente. Al netto di qualche raro elemento che accusa il passare del tempo, risulta impossibile non rimanerne affascinati, che si conosca o meno l'opera. Una delle visioni più provocatorie e stimolanti che si possano trovare.
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