Il film: Black Tea, 2024. Regia: Abderrahmane Sissako. Cast: Nina Mélo, Han Chang, Wu Ke-xi, Michael Chang, Pei Jen Yu. Genere: Sentimentale. Durata: 110 minuti. Dove l’abbiamo visto: alla Berlinale, in lingua originale.
Trama: Il giorno delle sue nozze, Aya, una giovane donna ivoriana, abbandona il fidanzato sull’altare per trasferirsi a Canton, dove inizia a lavorare in un negozio di tè e si innamora di Cai.
Black Tea è un film del tutto fallimentare, tanto che si fa fatica a capire, a posteriori, quale sia il suo obiettivo. Sul tavolo c’è una storia d’amore con tante difficoltà da superare tra una giovane ivoriana e un uomo maturo cinese. Si parla d’immigrazione africana in Cina, di due culture che vengono a confronto, oltre che della valenza rituale del tè in Asia.
Black Tea però presenta una realtà così posticcia nella sua perfezione, così priva d’attrito, così idealizzata, che lascia solo un gusto amaro in bocca. La sua priorità è spiegarci quanto bene quest’integrazione sia avvenuta. Peccato però racconti pochissimo a riguardo, come sottolineiamo nella nostra recensione di Black Tea.
Alla scoperta dei rituali del tè
Una trentenne ivoriana di nome Aya manda all’aria il suo matrimonio, suscitando lo stupore di tutti i parenti. Dice no allo sposo durante i voti nuziali, poi si alza e se ne va. La ritroviamo qualche tempo dopo in Asia, nella città di Guangzhou. Qui si è insediata una piccola comunità di africani ben integrata con gli autoctoni, in un quartiere noto come Chocolate City.
Aya lavora in un negozio dedicato alla vendita di tè all’ingrosso con Cai, un 45enne con un matrimonio complicato alle spalle. La giovane si fa guidare dal capo nella scoperta della ricchissima cultura cinese del tè, dei suoi significati, dei suoi rituali. Chiusi ogni sera nello scantinato del negozio a provare infusi e ceramiche, i due finiscono per innamorarsi. Entrambi però portano con sé i fantasmi di precedenti relazioni: il loro rapporto resisterà alle turbolenze del loro passato e ai pregiudizi degli altri?
Un film che delude
Cosa è successo a Abderrahmane Sissako, da dove deriva il brutto e sgraziato Black Tea? Il regista di Timbuktu è irriconoscibile in questo film; confuso, irritante e sempre concentrato sugli aspetti meno interessanti della sua storia. Dopo la fuga di Aya dal suo promesso sposo, il film opta per un salto temporale spiazzante e mai esplicitato. Ritroviamo la ragazza perfettamente integrata in Cina, amica di tutti, sempre in grado di destreggiarsi in una lingua ricca di tonalità e insidie come il mandarino. Se il film è interessato a raccontare i crescenti rapporti culturali e flussi migratori tra Africa e Cina, perché saltare a piè pari la scoperta del nuovo paese di Aya? Perché non soffermarsi a spiegarci la sua scelta, raccontarci sorprese e delusioni di questa nuova realtà? La visione proposta da Black Tea sembra sin troppo idilliaca, pilotata.
La risposta sembra essere: per concentrarsi su una storia d’amore sottile, impalpabile, che unisce due culture. Peccato che anche il rapporto tra Aya e Cai sia tratteggiato così grossolanamente da non capire come e perché i due finiscano per innamorarsi. Nella loro relazione, così come nel resto del film, non c’è mai un’asperità, un conflitto. L’incontro tra due culture differenti non c’è. Aya è perfettamente accettata e assimilata, per cui non ci viene mai fornito riscontro su cosa significhi innamorarsi di un uomo asiatico più anziano per una donna africana emigrata. La protagonista poi è così costruita nel suo perfezionismo da risultare detestabile. Sempre ben vestita e pettinata, sempre giudiziosa e sempre ritratta come la confidente ideale, la persona con cui tutti si sentono in dovere di scusarsi (ma poi perché?). Impossibile empatizzare con lei.
Conclusioni
Se voleva essere un racconto d’amore tra due persone e due culture graduale, sottile, allusivo e che guarda al cinema di Wong Kar-Wai, allora Black Tea è un completo fallimento. Difficile capire cosa volesse fare, dato che ignora tutti i punti d’interesse in cui s’imbatte. È così impegnato a incensare la realtà cinese ritraendola come idilliaca e già vincente nell’integrazione delle comunità africane che viene il dubbio si tratti di materiale promozionale.
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