Il film: Blackout, 2022. Regia: Sam Macaroni. Cast: Josh Duhamel, Nick Nolte, Abbie Cornish e Omar Chaparro. Genere:action, thriller. Durata: 81 minuti. Dove l’abbiamo visto: Su Netflix.
La trama: Un uomo si risveglia in una stanza di ospedale. Non ricorda assolutamente chi sia e perché si trovi lì. Intorno a lui, una donna misteriosa e un presunto amico cercano delle risposte.
Il regista Sam Macaroni, tra i produttori di John Wick e Ghosts of War, dirige un action thriller che si rivela poco ispirato e dal sapore di già visto sotto il punto di vista della trama e sul quale grava, contemporaneamente, un comparto sceno-tecnico appena discreto.
In questa recensione di Black Out vedremo come, nonostante la presenza di Abbie Cornish e Nick Nolte al fianco di Josh Duhamel, il film non decolli mai veramente, rimanendo fermo a terra sulla pista e incapace di trovare la giusta spinta propulsiva per non annoiare lo spettatore.
La trama: senza memoria
A seguito di un incidente provocato da un inseguimento, Cain si risveglia amnesico nella stanza di un ospedale messicano. Non sa neanche se, questo, è il suo vero nome poiché a dargli queste informazioni è il dottore che l’ha in cura nonché Anna, affascinante donna che dice di essere sua moglie. Ma alcuni presunti amici che si spacciano per tali fanno intuire all’uomo che qualcosa non torna. Pian piano, però, frammenti di ricordi e vere identità si rivelano. Gli uomini altro non sono che membri di un cartello della droga, i quali devono recuperare da Cain una preziosa valigetta mentre Anna, in realtà, è un’operativa della CIA. Infine, lo stesso Cain si rivela essere un agente della DEA sotto copertura. Presto, l’intero ospedale diventa un terreno di scontro senza esclusione di colpi.
Dov’è l’azione?
In un film di stampo prettamente action, l’azione stessa dovrebbe essere l’elemento dominante per buona parte della sua struttura narrativa. Invece, nel titolo Netflix diretto da Sam Macaroni, a mancare è proprio l’adrenalina: di sequenze a base di scazzottate, accoltellamenti e sparatorie Blackout abbonda, nonostante la sua esigua durata di soli ottantuno minuti, eppure il tutto risulta essere posticcio e fuori tempo massimo, tanto da risultare insulso anche al più sfegatato appassionato del cinema d’azione.
La sensazione è quella del già visto e di certo la sceneggiatura esile nonché piena di buchi non aiuta l’amalgama a trovare un minimo di equilibrio e coerenza durante il dipanamento. Risultato? Non bastano dei ralenti durante le shootout con tanto di schizzi di sangue simil stilizzati o una, seppur minima, scena brutale che prende le mosse nelle cucine dell’ospedale, per paragonare Blackout a titoli di un certo rilievo come The Raid o un qualsiasi episodio del franchise di John Wick. Serve molto di più e, purtroppo, il regista sembra non averlo intuito nonostante negli ultimi anni siano stati sfornati dei veri e propri cult appartenenti al genere di riferimento.
E la sceneggiatura?
Come già detto, uno dei più gravi difetti di questo titolo Netflix risiede proprio nello screenplay stantio e consumato in tutte le salse possibili con tanto di variazioni annesse. L’amnesia come escamotage per dare spessore alla trama non è una novità: basti pensare a un titolo come Vendicami, perla noir di Johnnie To o all’intera saga di Jason Bourne. Parimenti l’utilizzo di un MacGuffin, in questo caso una valigetta di cui si ignora il vero e pericoloso contenuto ma che fa gola a tutti, si rivela un becero escamotage per far muovere la trama. Anche qui, se ci si aggiunge l’inizio in medias res, Blackout si avvita su se stesso senza dare vere risposte e rendendosi, semmai, autoparodia e logoro tentativo di offrire una sorsata di acqua fresca ma senza, tuttavia, avere la materia prima a disposizione.
Personaggi tra cliché e stereotipi
Blackout non migliora, di certo, sotto il punto di vista dei personaggi in scena resi poco credibili da interpretazioni davvero sottotono. Josh Duhamel interpreta un protagonista sofferente di amnesia e ferito, braccato e incapace di fidarsi del prossimo. Ma il risultato è quello di caratterizzare Cain in maniera monoespressiva, l’unica spinta vitale del protagonista sembra essere quella di uccidere tutti senza sé e senza ma per sopravvivere. Non aiutano le star di contorno come Abbie Cornish e Nick Nolte con due ruoli minimalisti ritagliati in funzione del protagonista, il quale potrebbe attraversare l’intero film senza la necessità della loro presenza. A questo, c’è da aggiungere l’insana scelta di portare in scena una carrellata di cliché altamente stereotipati: a partire dall’agente sotto copertura poi non tanto ortodosso per poi passare all’immancabile agente CIA ambiguo fino all’ultimo minuto, al poliziotto quasi in pensione corrotto e, infine, al boss del narcotraffico e dei suoi accoliti che prima sparano e dopo, forse, pensano, ma con risultati disastrosi.
La qualità tecnica è carente
A dare il colpo di grazia al film di Sam Macaroni, come una ghigliottina che cala sul collo di un condannato a morte, ci pensa la qualità tecnica dell’intero lavoro. Con una regia traballante e un montaggio dai risultati involontariamente ridicoli e monchi che vanno a inficiare le scene d’azione, Blackout sembra un collage di immagini a caso unite con la colla vinilica: il rischio è, così, quello di disgregarsi da un momento all’altro e purtroppo è proprio quello che succede. L’impressione è quindi di un prodotto di serie B realizzato in totale economia, incapace di coinvolgere veramente lo spettatore.
La recensione in breve
Blackout è un film non riuscito, sprovvisto di originalità e carente dal punto di vista scenico e tecnico. Un lungometraggio che annoierebbe anche chi mangia pane e action ogni giorno.
- Voto CinemaSerieTV