Il film: Everything Everywhere All At Once, 2022. Regia: Daniel Kwan, Daniel Scheinert. Cast: Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan, James Hong, Jamie Lee Curtis. Genere: Dramedy action. Durata: 140 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: La noiosa routine di una donna che si accontenta viene sconvolta dall’irrompere di un impetuoso multiverso che connette realtà distanti tra loro.
Da qualche parte ce l’abbiamo tutti. È un posto dove teniamo nascoste le cose che avremmo voluto fare, i posti che avremmo voluto vedere, le persone che potevamo diventare. È uno scantinato tutto nostro che ogni tanto riapriamo immaginando vite non vissute nascoste dietro una scelta, un bivio, una persona lasciata andare che potevamo trattenere. Ora immaginate che questo posto si trasformi in un enorme calderone colorato in cui ribollono desideri frustrati e seconde possibilità. Prendete il calderone e versatelo dentro un film folle, denso e strabordante. Benvenuti nella nostra recensione di Everything Everywhere All At Once, dove proveremo a raccontarvi un’esperienza cinematografica mai vissuta prima. Perché nell’arco di due ore e venti minuti siamo stati catapultati nella testa di una donna, nel cuore di una famiglia e dentro un multiverso pieno di possibilità. Un posto simile allo scantinato che nascondiamo tutti.
Una trama psichedelica
Un viaggio folle che inizia nel modo più noioso possibile. Siamo dentro una squallida lavanderia a gettoni gestita da una coppia che si trascina nella routine. Evelyn Wang è severa, rigida, costretta tenere tutto in ordine per far quadrare i conti. Waymond è gentile, stralunato, pavido. In mezzo scalpita il malumore di loro figlia, costretta a nascondere la sua omosessualità per non scontentare un nonno all’antica. La loro miserabile quotidianità, però, viene sconvolta il giorno in cui la famiglia entra nel mirino delle agenzie delle entrare per alcune irregolarità.
Proprio nel momento in cui le ferree regole della burocrazia stanno soffocando Evelyn, ecco che all’improvviso un caotico multiverso irrompe nella sua vita. Sì, perché sembra che qualcuno sia riuscito a connettere varie realtà parallele attraverso sensazioni trasversali che uniscono mondi lontani. Un multiverso straripante, minacciato da un’oscura entità che solo Evelyn può combattere.
Un multiverso di generi
Altro che Doctor Strange. Altro che No Way Home. Perché con Everything Everywhere All At Once i Daniels hanno dimostrato ai Marvel Studios come gestire il multiverso in modo creativo e profondo. Perché questo film si muove davvero su un asse cartesiano: sul piano orizzontale c’è l’azione più sfrenata e pirotecnica, che spinge forte sul pedale dell’intrattenimento. Su quello verticale ci si addentra nel cuore dei personaggi con grande tatto ed empatia, arrivando persino a commuovere. Senza mai rinunciare a una dimensione ludica, il film riesce a tenere in equilibrio tutto quanto.
Non solo i piani narrativi paralleli sempre più intersecati, ma soprattutto un tono inquieto, che passa dal grottesco al drammatico in un battito di ciglia. Questo perché i The Daniels sono riusciti in una folle impresa: dare vita a un multiverso di generi. Dentro il loro calderone il cinema indie delle famiglie disfunzionali sguazza nello stesso brodo dei b-movie action e la sensibilità d’Occidente abbraccia la gestualità d’Oriente. Dramma, azione, comicità demenziale e paradossi fantascientifici nello stesso film. Il rischio del pessimo minestrone era dietro l’angolo, eppure i Daniels hanno studiato una ricetta dal sapore deciso, intenso e forse irripetibile. E allora, forse, i fratelli Russo non hanno solo prodotto il film, ma anche preso appunti. Da riportare in casa Marvel per riferire come si crea un multiverso che cattura davvero.
Cast di feticci
Quello delle citazioni è un vecchio trucco che funziona sempre. Un trucco che soddisfa il pubblico (compiaciuto nel riconoscere i vari riferimenti) e diverte chi riempie il film di ammiccamenti cinefili più o meno lampanti. In questo Everything Everywhere All At Once non fa eccezione, visto che nel suo tornato ci finiscono Kubrick, Matrix, Ang Lee e persino un film Pixar dedicato a un roditore chef. Fin qui niente di nuovo. Tutto molto bello. Tutto molto facile. Il difficile viene quando i Daniels riescono a giocare anche con i corpi del cast e con il vissuto di ogni interprete.
Lo avevamo capito già nell’altrettanto pazzo Swiss Army Man, dove i registi hanno giocato col corpo iconico di Daniel Radcliffe, ma è qui che l’uso feticista dei corpi in scena tocca il suo apice. E così una straordinaria Michelle Yeoh si risveglia da un lungo torpore e torna combattiva come ai tempi in cui tigre e dragoni si menavano come si deve. Così il talento dimenticato di Jonathan ke Quan (proprio lui, il bimbo de I Goonies) viene rispolverato come un tesoro prezioso. Così il corpo scultoreo di Jamie Lee Curtis, la final girl braccata dal mostro per eccellenza, diventa minaccioso come quello di Michael Myers per una stramba legge del contrappasso. Insomma, nulla di quello che vediamo muoversi in scena è lasciato al caso. Tutto ha un senso, un peso, un valore. Nonostante il macello messo in scena.
Le regole del caos
Sembra quasi un ossimoro: un film così pasticciato eppure così equilibrato. Eccessivo eppure con un cuore così saldo nel petto. Everything Everywhere All At Once ha tutto quello che spesso manca al cinema pop: coraggio, ambizione e anarchia. Il coraggio di fregarsene delle regole e di giocare con le immagini attraverso un uso intelligente e mai banali delle immagini stesse (con un montaggio frenetico strepitoso). L’ambizione di scomodare una dinamica abusata come il multiverso per regalarcene una versione più intimista e matura. L’anarchia di chi fa convivere una forma esasperata con una sostanza talmente significativa da diventare universale.
Perché nel frullatore di immagini (e immaginari) di Everything Everywhere All At Once sguazzano i rimpianti di tanti, il potenziale sprecato di molti e l’empatia di cui avremmo bisogno. Forse il vero superpotere utile in ogni universo. Quello che ti fa spuntare davvero un terzo occhio sulla fronte e guardare gli altri da un’altra prospettiva. Così anche chi combatte a suon di gentilezza e abbracci non sarà più visto come un debole ma come un eroe.
La recensione in breve
Everything Everywhere All At Once incarna tutto quello che vorremmo nel cinema pop: divertimento, citazioni ed emozioni sincere, che esaltano il potere immaginifico del multiverso.
- Voto CinemaSerieTV