Il film: Here, 2024. Regia: Robert Zemeckis. Genere: Drammatico. Cast: Tom Hanks, Robin Wright, Paul Bettany, Kelly Reilly. Durata: 104 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema, proiezione stampa.
A chi è consigliato: A chi ama il cinema d’autore e i drammi sulle esperienze umane.
Here non è un film che capita tutti i giorni di vedere sul grande schermo. Tra storie di supereroi, biopic e commedie per famiglie, si è perso di vista il puro cinema d’autore: quel cinema profondamente personale, talvolta di innovazione, che punta sulle emozioni non solo del regista stesso ma anche del suo pubblico, in maniera quasi simbiotica. Tutto ciò prende forma nel nuovo, emozionante dramma sullo scorrere del tempo di Robert Zemeckis che, dopo esattamente 30 anni dall’uscita di Forrest Gump, decide di riunire l’iconica coppia Tom Hanks e Robin Wright, aggiungendo anche il ritorno di Eric Roth alla sceneggiatura.
Traendo spunto dal materiale originale dell’omonima graphic novel degli anni 80, Zemeckis attua un cambio di rotta completamente inaspettato e nuovo rispetto ai suoi precedenti lavori registici, e decide di deporre la mdp in una posizione strategicamente precisa e girare l’intero film da un solo punto d’osservazione posizionato nel salotto di una casa. Questo esperimento gli ha permesso di raccontare le storie private delle generazioni che abiteranno quelle mura, attraverso un metodo di composizione e scomposizione dell’immagine in riquadri. Questi, oltre che evidenziare l’importanza di alcuni momenti di vita quotidiana, sono delle vere e proprie finestre temporali che fungono da flashbacks e flashforwards per il passaggio da una generazione ad un’altra.
100 anni racchiusi in una stanza
Il film si assume il difficile compito di raccontare ben 100 anni di storie di vita all’interno di una sola finestra d’osservazione: una semplice stanza di una casa qualunque. La prima immagine è quella di una casa in costruzione, ma un improvviso flashback porta lo spettatore alle origini di quel suolo, quando era solo una palude disabitata, dando inizio ad una serie di salti temporali legati tutti a quel determinato luogo. Questi cicli di vita daranno vita ad una vera e propria sfilata di personalità, ognuna appartenente alla sua specifica realtà: nativi americani, schiavi, soldati della guerra d’indipendenza, bohemians, donne dell’aristocrazia degli anni 20, fino ad arrivare ai giorni d’oggi con situazioni a noi comuni come una coppia di afroamericani che insegnano al figlio come affrontare il razzismo della polizia locale, il covid e infine la storia che Zemeckis pone al centro di questo carosello di esperienze umane, quella di Richard e Margaret e della loro crescita familiare.
Non è la prima volta che al pubblico viene proposta una simile idea; nel 1964 Walt Disney ideò il Carosello del Progresso, un’attrazione ambientata in un teatro perennemente in movimento su una famiglia animatronica che si evolve nel tempo. Sarà forse un caso che l’impostazione di Here è più teatrale che cinematografica? Probabilmente sì, ma è interessante vedere come queste frazioni di vita vengano raccontate sempre nella maniera più innovativa possibile.
Un tributo alle mura domestiche
Here è un tributo alle mura di casa che ci circondando e confortano ogni giorno della nostra vita. I due protagonisti affrontano la vita familiare attraverso la pura e semplice crescita personale, fatta di problemi, lutti, vittorie, cambiamenti, ma soprattutto di persone e legami. E cosa c’è di meglio della propria casa per mostrare tutto ciò? Viene finalmente ridato onore al ruolo delle mura domestiche, intese come luogo confortevole, sicuro, una specie di passaggio di testimone tra una generazione e l’altra. La casa è un personaggio a tutti gli effetti, un’amica silenziosa e non giudicante, una testimone imparziale di tutti i momenti della vita.
La bellezza di questo concetto viene ancor più ampliata quando si sottolinea che la casa prende vita soltanto quando qualcuno la abita. Un po’ come quando una persona si sente veramente viva solo quando viene amata da qualcuno. La profondità emotiva di Here non è da prendere alla leggera: la sua delicata fragilità e la sua schietta sincerità sono qualità da cui tutti dovremmo imparare qualcosa. Questo diorama di vite vissute potrebbe apparire ordinario, banale o addirittura noioso, ma vi consigliamo di soffermarvi sulla morale e sulle emozioni che si celano dietro il suo messaggio. Sarà come aprire il vaso di Pandora.
Un solo punto d’osservazione: un limite o un’innovazione?
C’è qualcosa di intrigante ed introspettivo nel concetto di restare in un determinato posto e osservare l’evoluzione della vita, lo scorrere incessante del tempo e i cambiamenti che ne comporta. In particolare modo, viene mostrato come le piccole cose iniziano ad accumularsi ed alternarsi nel tempo, muovendo delle domande esistenziali molto simili al “what if”: se quel piccolo dettaglio mi fosse sfuggito o se avessi preso una decisione diversa, come sarebbe andata la mia vita? In questo senso, Here è un film in grado di cogliere di sorpresa lo spettatore per l’impatto che ha sugli spazi fisici e sulle persone che li occupano. Bisogna dire però, che la presenza di un solo punto d’osservazione è un’arma a doppio taglio; prima di tutto viene a mancare l’occhio visuale del regista, la sua impronta strettamente personale che, attraverso un’inquadratura, che sia un dettaglio, un primo piano o un campo lungo, comunica la sua visione della scena. Inoltre limita drasticamente la narrazione del film, lasciando inappagata la curiosità di poter vedere al di là di quell’inquadratura forzata.
La conseguenza è anche la realizzazione di primi piani fondamentalmente innaturali, in cui l’attore, non potendo essere ripreso “a favore di camera”, viene quasi deformato da questo punto d’osservazione decentrato. Con questo metodo, si arresta l’evoluzione dell’ambiente cinematografico (e della sua estetica) per lasciar spazio alla stagnazione di un setup che a lungo andare fossilizza l’intera narrazione. Sicuramente questo sarà uno dei motivi principali che dividerà il suo pubblico, ma a prescindere da chi avrà la meglio, è indubbia la sua innovazione nel mostrare diversi periodi temporali, dalla preistoria fino ai giorni nostri, attraverso una sola stanza.
La CGI di Zemeckis
Robert Zemeckis è ormai ben noto per usare una CGI marcata, addirittura definibile grottesca. Iniziò con The Polar Express, per poi proseguire con A Christmas Carol, fino ad arrivare a Pinocchio. Ma che siano tecniche di ringiovanimento o semplici effetti visivi, il risultato è sempre il medesimo in ogni film: una rappresentazione fittizia della realtà. E in Here è proprio questo il problema: Zemeckis non riesce a decifrare il codice del ringiovanimento. I volti cancellati digitalmente, da cui viene annullata qualsiasi tipo di naturale espressione, talvolta ci tirano fuori dalla realtà in cui il film cerca di immergerci. Di conseguenza, anche la credibilità degli attori viene meno. Nulla si può dire a Robin Wright che gestisce molto bene sia la gioventù del suo personaggio che la maturità.
Al contrario Tom Hanks, per gestire il suo personaggio molto simile al bambino-adulto di Big, fa l’errore di cadere nel macchiettistico. Poteva andar bene per Forrest Gump o per un film come Elvis in cui tutto è grossolanamente pomposo, ma per Here serviva un approccio diverso. Il problema della CGI, che a tratti definiremmo più AI slop (un’espressione per descrivere contenuti di bassa qualità generati dall’AI), riguarda anche il resto del cast come Paul Bettany e Kelly Reilly che, nonostante siano più giovani di Tom Hanks, interpretano i suoi genitori, risultando poco convincenti ed estremamente caricaturali. Ciò che avrebbe risolto questo problema sarebbe stato realizzare quello che Richard Linklater ha ideato per Boyhood nel 2014; una serie di riprese settimanali programmate nell’arco di un’anno e che avrebbero catturato ogni attimo dell’invecchiamento dei suoi protagonisti. Ma forse non sarebbe stato nello stile di Robert Zemeckis? Probabilmente è così.
In conclusione, nonostante Here avrebbe funzionato molto di più come una rappresentazione teatrale raccontata in ordine lineare, la concept idea in sè è brillante, con molti buoni presupposti, una grande anima che arde dietro ogni tema trattato e un finale così puro, così carico di sentimenti, così profondamente umano da investirti come un treno in corsa. E questo, a volte, ha una valenza maggiore di tutti i difetti che si porta dietro. Ascolterete molti pareri discordanti e probabilmente la maggior parte di voi non apprezzeranno a pieno il film, ma a prescindere da questo, non fate l’errore di perdervi l’esperienza di vivervi Here al cinema.