Il film: Il mio amico Massimo, 2022. Regia: Alessandro Bencivenga. Genere:
Documentario. Durata: 85 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema.
Trama: Massimo Troisi è scomparso ormai da oltre vent’anni, ma il suo ricordo non si è mai spento. Con le voice over di Lello Arena e Cloris Brosca viaggiamo attraverso un racconto poetico che ci svela l’uomo dietro la maschera con tante curiosità e momenti di grande commozione. Spazio dunque a colleghi di una vita come Nino Frassica e Renzo Arbore, ma anche amici d’infanzia dell’attore oltre al doveroso Gerardo Ferrara, sua controfigura nell’ultimo sforzo de Il Postino.
Il Mio amico Massimo viene proiettato come evento speciale dal 15 al 21 dicembre al cinema in tutta Italia. Alessandro Bencivenga ci porta dentro a uno dei personaggi più amati della storia del cinema italiano che fu anche protagonista di polemiche. L’attore si spense a soli 41 anni nel 1994, riuscendo a lasciare un segno indelebile nella nostra cinematografia con capolavori come Ricomincio da tre e Non ci resta che piangere, ma anche tanto teatro e televisione.
Nella nostra recensione de Il Mio amico Massimo proviamo a entrare nell’intimo di un artista che era ancor prima uomo e personaggio dalla splendida ironia. Il classico documentario si mescola con brevi spaccati di fiction che ci portano indietro all’infanzia di Troisi e alle classiche interviste a personaggi che con lui hanno condiviso un passo della vita molto importante, mettendosi a nudo davanti alla telecamera.
La trama: “L’amicizia è più impegnativa della passione e dell’amore”
“L’amicizia è più impegnativa della passione e dell’amore” così amava dire Massimo Troisi e così inizia il docufilm che lo ricorda a quasi trent’anni dalla sua scomparsa. Un gruppo di ragazzi per le vie di San Giorgio a Cremano cresce e si diverte giocando a calcio, nessuno si aspetta che uno di loro diventerò uno dei più grandi attori della storia del cinema italiano. Massimo è giovane e sogna di diventare un calciatore, un amore per il pallone che non abbandonerà nemmeno da grande, prendendo parte alle partite della nazionale degli artisti nonostante i noti problemi cardiaci.
Un racconto che prosegue portandoci dentro al Massimo uomo più che all’artista, all’attore noto a tutti. Il Massimo appunto delle partitelle a pallone e degli abbracci con Gerardo Ferrara. Proprio quest’ultimo diventa protagonista indiretto del lavoro, raccontando quando per alleviare le sue ultime fatiche divenne la controfigura di Mario Ruoppolo ne Il Postino. La voce intima di Lello Arena e quella teatrale di Cloris Brosca ci porta dentro un viaggio che fa commuovere e tocca il cuore.
Gerardo Ferrara, il cuore di Massimo Troisi
Centro nevralgico de Il mio amico Massimo è sicuramente Gerardo Ferrara, che fu la sua controfigura ne Il Postino. La sua presenza rafforza la parte centrale del film, dandogli spessore e portando alla mente ricordi che lo fanno piangere letteralmente in scena. la voce rotta dall’emozione ci racconta di quando a Troisi fu consigliato di fare il trapianto di cuore prima delle riprese, ipotesi che rifiutò perché quel film voleva girarlo col suo cuore. E fu così che Ferrara, decisamente somigliante nell’aspetto, lo aiutò rimpiazzandolo nelle scene più faticose soprattutto in bicicletta. Gerardo mostra con fierezza un libro di scena dove Massimo gli ha lasciato un regalo indimenticabile, una dedica a cui tiene moltissimo. E poi quell’abbraccio, quel ringraziamento che dimostra come dietro l’artista ci sia un grande uomo. Gerardo ha dimostrato tutta la sua riconoscenza per Massimo con la voce rotta delle lacrime, non è proprio riuscito a trattenersi da un momento di commozione dove, inutile negare, viene il magone anche a noi.
Sapri, il Cilento e San Giorgio a Cremano
Il Mio amico Massimo è anche un film di luoghi, di riflessione e lunghi respiri. Si apre su Sapri, la città che ha dato i natali a Gerardo Ferrara e si muove lungo le strade di San Giorgio a Cremano. Perché Massimo Troisi ha vissuto soprattutto a Roma, ma la sua vita è rimasta a Napoli col cuore e con un dialetto che non ha mai abbandonato, tanto da consigliare a chi gli recitava attorno di non parlare perfettamente italiano se no tutto sarebbe risultato poco credibile. Una Napoli che è dunque presente in maniera dirompente in ogni sua interpretazione, in ogni gag in quelle pause che servono, come dirà Pippo Baudo, a “lasciar riflettere il pubblico” e non a dover far recuperare fiato a lui. Stupiscono dunque i luoghi in Massimo Troisi, ma ancora di più quei non luoghi che sono dentro di lui e si scagliano nella sua mente come olio su tela.
Il Massimo Troisi televisivo e il metalinguaggio del documentario
Quello che emerge da Il Mio amico Massimo è anche un aspetto fin troppo sottovalutato e cioè il Troisi televisivo. Da questo gli incontri straordinari con grandi artisti come Lello Arena e Roberto Benigni, che vengono raccontati attraverso filmati di repertorio. E poi Ficarra e Picone che, intervistati, dicono di non averlo mai conosciuto ma di averlo conosciuto. Un ossimoro che si spiega col fatto che Massimo Troisi era l’uomo di tutto, del popolo, che si faceva capire anche da chi non lo capiva.
Il film si pone nel concetto di modernità spesso riproposto dal Professor Giorgio De Vincenti, che spiegò come la riflessione metalinguistica sul dispositivo cinematografico fosse alla base di questo studio. L’utilizzo dei materiali è sicuramente al centro di un racconto che utilizza frammenti di repertorio in grado di riportare i più grandi con la mente a un periodo preciso e di far fare ai più giovani un viaggio nelle emozioni.
La recensione in breve
Massimo Troisi era più di un attore, era un uomo meraviglioso. In questo percorso si racconta il suo privato attraverso coloro che l'hanno amato e che lo ricordano con la voce rotta dall'emozione.
- Voto CinemaSerieTv