Il film: Indiana Jones e il quadrante del destino (Indiana Jones and the Dial of Destiny) del 2023. Regia di James Mangold Cast: Harrison Ford, Phoebe Waller-Bridge, Mads Mikkelsen e Antonio Banderas.
Genere: avventura, azione Durata 142 minuti. Dove lo abbiamo visto: anteprima stampa al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: Una nuova avventura per il famoso archeologo Indiana Jones: insieme alla sua figlioccia Helena, questa volta va alla ricerca di un antico manufatto, inventato da Archimede 2000 anni prima, che permetterebbe addirittura di viaggiare nel tempo.
Indiana Jones è tornato. Invecchiato e stanco, per di più orfano di Steven Spielberg alla regia, ma è certamente tornato. A distanza di 15 anni dal disastroso (almeno per chi scrive) quarto capitolo – adesso in qualche modo rivalutato da alcuni fan (non da chi scrive) – in questo Indiana Jones e il quadrante del destino, Harrison Ford torna a vestire i panni dell’archeologo e avventuriero più famoso del cinema. Lo fa con gran classe ed energia, riprendendo letteralmente – e magari anche un po’ contro voglia – in mano cappello e frusta, oltre che ovviamente con la grande autoironia che ha sempre contraddistinto i suoi ruoli più famosi.
La buona notizia è che, nonostante le molteplici imperfezioni, siamo sicuramente un (piccolo) passo avanti rispetto al film precedente. La cattiva è che potrebbe comunque non essere abbastanza per chi è cresciuto con la prima trilogia, l’ha amata profondamente, e sperava magari di ritrovare in pieno le stesse sensazioni e la stessa qualità di una volta. Come vedremo in questa recensione di Indiana Jones e il quadrante del destino la distanza con quei film è tale che nessuna invenzione e nessun manufatto leggendario possa annullarla davvero: semplicemente perché il tempo, in questi casi, è il vero nemico che non si può sconfiggere, nemmeno se sei Harrison Ford.
Una trama che guarda sempre al passato
Il film è ambientato nell’estate del 1969, quando tutto il mondo volge gli occhi al cielo per osservare il primo allunaggio. Tutti tranne il professor Jones, fresco di pensione dal suo lavoro all’università e ancora scottato dal doloroso divorzio che si trova ad affrontare. A movimentare la sua vita arriva la giovane e volitiva Helena (Phoebe Waller-Bridge), figlia di un ex collega professore (Toby Jones) con cui ha condiviso, sul finire della seconda guerra mondiale, una brutta disavventura con i nazisti. Così come il padre prima di lei, Helena è ossessionata dall’Antikythera, un geniale meccanismo creato duemila anni prima da Archimede, che si dice possegga un potere immenso: quello di poter predire e scovare delle fratture nel tempo. Un oggetto talmente potente che lo stesso Archimede lo divise in due parti, nascondendole chissà dove. Sulle tracce di questo oggetto, ovviamente, non c’è solo la giovane archeologa ma anche il governo americano e dei nemici familiari che arrivano proprio dal passato: il povero Indiana non avrà altra scelta che imbarcarsi in nuove e pericolose avventure.
“Nazisti… io la odio questa gente”
I nemici, lo avete capito, sono dei reduci della seconda guerra mondiale che vorrebbero poter cambiare le sorti di una guerra che “non è stata vinta dagli americani, ma persa da Hitler”. O almeno questo è quello che dice e pensa il villain del film interpretato da Mads Mikkelsen. Ed è così che, ancora prima che portarci negli anni 60, James Mangold decide di iniziare il film con un lungo flashback ambientato venticinque anni prima: un castello europeo sotto attacco dei bombardamenti alleati, fuoco e fiamme ovunque, antichissime reliquie da consegnare al Führer ed un lungo treno pieno zeppo di nazisti.
Tutto molto familiare, così come familiare è il volto di Harrison Ford miracolosamente ringiovanito dalla CGI. Quasi come a dire, torniamo indietro al terzo Indiana Jones, quello che molti fan considerano essere l’ultimo capitolo degno di questo nome, e ripartiamo da lì. Ma c’è qualcosa che stona in questo piano, e non è certo l’età del protagonista: quello che stona è che Mangold non riesce veramente a farci tornare indietro nel tempo, a quello che era il cinema di Spielberg (e non solo) nel 1989, ma deve giustamente adattarsi a quelle che sono le esigenze, anche produttive, di un blockbuster di oggi. Ed è così che le scene d’azione sono spesso confuse, prive di quella tensione drammatica e di quello spirito avventuroso di un tempo.
Non sono gli anni e nemmeno i chilometri, ma la CGI
Non parliamo ovviamente di un problema nuovo, o legato esclusivamente al franchise di Indiana Jones. Sono problematiche impossibili da non notare ogni qual volta una saga storica torna al cinema e prova a reinventarsi, perché la differenza nella realizzazione è davvero troppo evidente e, al contrario di quello che potrebbe essere logico pensare, quasi mai le nuove tecnologie escono vincitrici da questo confronto. La palese sovrabbondanza della CGI e l’eccessiva lunghezza di alcune sequenze d’azione purtroppo inficiano, in maniera evidente, non tanto sul ritmo del film – che rimane comunque piacevole e divertente alla pari di molti blockbuster contemporanei – ma proprio sull’atmosfera che era tipica della saga di Indiana Jones. Quel senso di avventura e di eccitazione che era evidente anche negli occhi del suo straordinario protagonista oggi non c’è (quasi) mai, non tanto per una mancanza da parte di Harrison Ford ma proprio perché sono in primis la sceneggiatura e la messa in scena a non offrirgli sufficienti opportunità per farlo.
Addio Indiana, è stato un piacere
Le cose per fortuna cambiano quando all’azione vera e propria viene prediletta la sensazione di scoperta, anch’essa tipica della saga. Nel momento in cui i protagonisti lasciano New York, le cose migliorano perché l’azione non è più fine a se stessa. Ed è proprio spostandoci nel Mediterraneo (prima Algeri, poi la Grecia e la Sicilia) che finalmente possiamo ritrovare alcune tracce di quello che era una volta lo spirito di Indiana Jones. Ovviamente a fare la differenza è anche e soprattutto il carisma naturale dei protagonisti: Harrison Ford appare certamente stanco e anziano per il ruolo, ma gli basta uno sguardo o qualche battuta particolarmente riuscita per infiammare il pubblico esattamente com’è sempre stato.
Ancora più vincente si rivela l’aggiunta di un’attrice quale Phoebe Waller-Bridge: altrettanto (auto)ironica, ma ancora più brillante e a suo agio anche nelle scene d’azione, la sua Helena potrebbe essere una perfetta erede per un franchise che dovrà necessariamente reinventarsi e fare a meno del suo protagonista. Perché questa volta il cappello e la frusta sono davvero appesi per sempre, il buon Indiana merita l’agognato riposo e quella tranquillità che non ha mai potuto assaporare. Merita la nostra sincera ammirazione ma anche la nostra tenerezza: e in questo, va detto, Mangold dimostra di averlo compreso perfettamente, regalando al suo protagonista, e a tutti noi spettatori, un finale perfetto e dolcissimo, che ci ricorda, se mai ce ne fosse stato bisogno, come e quando ci siamo innamorati di Indiana Jones.
La recensione in breve
Con Indiana Jones e il quadrante del destino il regista James Mangold riesce nel difficile tentativo di riportare l'amatissimo personaggio sul grande schermo con una storia piacevole e sufficientemente coerente con il resto della saga. Più che per la stanchezza del suo protagonista, il film soffre il passare del tempo più nella realizzazione tecnica e nelle scene d'azione, in linea con i blockbuster odierni ma lontane dai fasti della saga originale.
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