Il film: Io sono l’abisso, 2022. Regia: Donato Carrisi. Cast: non comunicato (per volere del regista) Genere: Drammatico, Thriller. Durata: 126 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema, in anteprima stampa.
Trama: Lago di Como. Un netturbino seleziona con cura le sue prossime vittime rovistando nella loro spazzatura. Questo è il metodo perverso di un serial killer che un giorno si trasforma in salvatore. Ma sarà solo l’inizio di un perverso intreccio di vite alla deriva.
Se nello spazio nessuno può sentirti urlarle, nell’abisso nessuno può vedere. Cecità assoluta. Buio perenne. Una condizione esistenziale prima che fisica. Ed è per questo che Donato Carrisi ha scelto il buio come habitat naturale della sua terza regia. Buio per i personaggi e buio per gli spettatori. Apriamo la nostra recensione di Io sono l’abisso raccontandovi la richiesta particolare che ci ha accolto durante l’anteprima stampa del nuovo film del regista e scrittore pugliese. Una lettera firmata dallo stesso Carrisi in cui chiede alla stampa di non rivelare i nomi degli interpreti del film. Il cast, infatti, non è stato rivelato ufficialmente, scomparso sia dal trailer (dove i volti dei personaggi appaiono tutti in ombra, mascherati e di sfuggita) che dal materiale promozionale del film. Una scelta coerente con lo stile dell’omonimo romanzo, dove i personaggi sono descritti in modo vago e lacunoso.
Rivelare attori e attrici, dunque, avrebbe dato loro una personalità non richiesta, stonata con lo stile tenebroso di Io sono l’abisso. Una strategia particolare, consapevolmente ingenua (Carrisi sa bene che in Rete il cast è rintracciabile in un click) e soprattutto rivelatrice. Ormai Carrisi sa di essere un brand, di avere un suo pubblico e di poter bastare a se stesso per promuovere la sua terza regia. Ma come è stato calarci in questo cieco abisso? Sporgetevi e ve lo racconteremo.
La trama: quel ramo secco sul lago di Como
Lago di Como. O forse dovremmo dire stagno di Como. Perché l’acqua è putrida, sporca, torbida. Torbido come questo thriller dedicato alla solitaria figura di un uomo solo, sociopatico e disturbato. Di lavoro fa il netturbino, ma il nostro protagonista non si limita solo a ripulire i bei giardini lombardi. No, perché lui ama spiare nelle vite altrui rovistando nella loro pattumiera. Perché nulla racconta meglio le persone di quello che buttano via. L’immondizia dice sempre la verità. Così, scavando nel lercio degli altri, l’uomo sguazza nel proprio letamaio. Quello di un serial killer che prende di mira un certo di tipo di donna da punire a tutti i costi. Eppure anche un mostro può fare del bene. Succede quando il protagonista salva una ragazza che stava annegando nel lago. Ha così inizio un intreccio di anime in pena a cui si unisce presto anche una donna dal passato doloroso.
Il senso dell’acqua
C’è un elemento che attraversa tutto Io sono l’abisso. Un elemento contenuto nel titolo stesso e onnipresente dall’inizio alla fine del film: l’acqua. Un’acqua stantia, che puzza come un cadavere in decomposizione. Un’acqua mai pulita, quasi mai purificatrice, in cui è più facile annegare che nuotare. O meglio, rimanere a galla. Perché questa è una storia di sopravvissuti, di gente che si dimena pur di non affogare nel trauma e nel rimpianto. Storie tremende che si intrecciano in modo abbastanza forzato (e prevedibile) dentro un’ambientazione emblematica. Come nel suo esordio alla regia (La ragazza nella nebbia), Carrisi torna a far parlare il paesaggio, a renderlo protagonista vincolante per le vite dei personaggi che si muovono al suo interno. È un lago di Como placido, vuoto, pieno di solitudini. Un posto umido in cui la socialità è inibita e i rapporti umani freddi. Torna in scena un Nord che richiama i grandi thriller svedesi, dove l’ambiente è perfetto specchio dei personaggi. E in questo la regia di Carrisi dà il meglio di sé. C’è tanta pulizia geometrica nella messa in scena (maniacale come quella del killer protagonista), tanti campi lunghi e inquadrature sbilenche, visto che si parla di storture. Peccato che al centro dell’abisso emerga un grande paradosso.
Scrivere e mostrare: ecco l’abisso
Sottrarre da una parte, mostrare dall’altra. Scrivere e mettere in scena sono mestieri per certi versi opposti, che richiedono un grande compromesso per venirsi incontro. Questo Carrisi lo sa bene, visto che ha già dimostrato buona consapevolezza del mezzo filmico nelle sue precedenti regie. Ed è proprio per questo che non capiamo fino in fondo il grande paradosso in cui cade Io sono l’abisso. Perché tutto quello che si può nascondere tra le pagine con la scrittura, il cinema lo deve mostrare. Se sullo schermo appare un personaggio mai inquadrato in volto, allora è lecito insospettirsi, è naturale che il pubblico usi l’evidenziatore proprio laddove il regista voleva soltanto eclissare. Questo cortocircuito, purtroppo, rende Io sono l’abisso molto prevedibile, e per un film che si presenta come un thriller misterioso non è certo un vantaggio. Peccato anche che Carrisi ogni tanto perda quel senso della misura che a tratti impreziosisce il film, calcando la mano con sequenze troppo cariche di pathos, recitazione enfatica e momenti alla forzata ricerca del dramma. Un cinema meno urlato e più rarefatto, forse, si sarebbe sposato meglio con l’avvolgente e malsana atmosfera di una storia che forse si legge meglio di quanto si faccia guardare.
La recensione in breve
Nella nostra recensione di Io sono l'abisso ci siamo calati nel misterioso thriller di Donato Carrisi, dove il paesaggio lacustre diventa specchio di un'umanità alla deriva. Peccato per qualche stratagemma di messa in scena che rende il film troppo prevedibile, nonostante un protagonista davvero malato e perverso.
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