Il film: Jojo Rabbit, 2019. Regia: Taika Waititi. Cast: Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Scarlett Johansson, Taika Waititi, Sam Rockwell e Rebel Wilson. Genere: Commedia, drammatico, guerra. Durata: 108 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema.
Trama: Jojo “Rabbit” Betzler (Roman Griffin Davis) è un solitario ragazzo tedesco della Gioventù hitleriana che vede il suo mondo stravolto quando scopre che la giovane madre Rosie (Scarlett Johansson) nasconde una ragazza ebrea (Thomasin McKenzie) in soffitta. Con l’unico aiuto del suo migliore amico immaginario, Adolf Hitler in persona (Taika Waititi), Jojo deve fronteggiare il suo cieco nazionalismo con le contraddizioni di una guerra assurda.
Jojo Rabbit, per la regia di Taika Waititi e tratto dal romanzo Come semi d’autunno di Christine Leunens, è una fantasiosa satira sulla Seconda guerra mondiale che condanna l’odio e la disumanizzazione in tempi di guerra per celebrare l’amore, l’amicizia e la riscoperta di sè, attraverso il viaggio di un ragazzino che deve confrontarsi dolorosamente con circostanze che cambiano la sua morale e il suo modo di pensare. Una favola sull’adolescenza che attraversa il sottilissimo equilibrio tra dramma e commedia dark e che si è aggiudicata l’Oscar alla miglior sceneggiatura non originale nel 2020. In questa recensione di Jojo Rabbit, vedremo come il film di Taika Waititi sia contemporaneamente edulcorato e pungente, carico di simbologie riconoscibili ma non per questo meno originali.
Jojo Rabbit, la trama: alla ricerca del mostro
La trama di Jojo Rabbit segue un bambino di 10 anni di nome Johannes Betzler, un idealista e fervo sostenitore della Gioventù Hitleriana durante la Seconda Guerra Mondiale. Vive con la madre, Rosie, e riceve spesso la visita di un amico immaginario, una versione cartoonesca di Adolf Hitler. Mentre frequenta il campo di addestramento della gioventù hitleriana, Jojo viene ferito maneggiando una granata. Costretto a casa in attesa di riprendersi, scopre che sua madre ha nascosto in soffitta una giovane ebrea di nome Elsa. Un bivio si pone davanti alla coscienza del ragazzino: rivelare questo nascondiglio alle autorità farebbe giustiziare sia lui che sua madre, dunque decide di imparare il più possibile sugli ebrei per poter fornire informazioni ai suoi superiori. Tuttavia, questo piano gli si ritorce contro quando scopre che Elsa è tutt’altro che il mostro malvagio che credeva.
Umorismo astuto, emotività incisiva
Un ragazzo con aspirazioni da soldato nazista e amico immaginario di Adolf Hitler scopre che la madre nasconde in casa una ragazza ebrea. La premessa del nuovo film di Taika Waititi è provocatoria e la comicità con cui viene trattata ancora di più. Tuttavia, il suo sviluppo narrativo dimostra ancora una volta ciò che tutti gli amanti del genere sanno: l’umorismo è un mezzo molto potente per affrontare i temi più difficili. Per quanto possa sembrare difficile accettare una figura hitlerana buffa e stralunata, interpretata dallo stesso Waititi, la sua presenza è fondamentale per il percorso morale ed emotivo di Jojo, il giovane protagonista.
Il film si apre con una raffica di umorismo che distrugge e si disfa dei più ridicoli clichè sul nazismo, più vicino agli interventi dei Monty Python vecchio stile (ma non per questo meno divertente) che al per nulla affine La vita è bella del ’99. Waititi è abbastanza astuto da demonizzare senza scottarsi, da sconcertare sia gli offesi che gli affezionati della scorrettezza fine a se stessa con un equilibrio dettato da interpretazioni sfaccettate, sentite, che riempiono la scena senza avvertire gli spettatori sulle svolte seminate nella narrazione. C’è audacia, e tanta, in molti dei suoi passaggi, ma tutto ruota attorno alle performance indovinate di Roman Griffin Davis e Thomasin McKenzie, rispettivamente nei panni di Jojo Betzler ed Elsa Korr.
Perfetto equilibrio tra ironia sfrenata e dramma sincero
Jojo Rabbit porta con sé battute e siparietti che funzionano e che colpiscono nel segno, ma non perde mai di vista la storia nella sua interezza e non vuole dipendere dai poli estremi della comicità. Nel fare questo, si avverte in più occasioni il mirabile intento di mescolare sapientemente l’ironia sfrontata e il dramma sincero e puro. Tra influenze prelevate dal cinema di Wes Anderson e dinamiche che ricordano Il bambino con il pigiama a righe (M. Herman, 2008), Jojo Rabbit è un titolo dinamico che continua a reinventarsi senza calpestare queste ispirazioni mirate; ora solido, qualche minuto dopo folle e spavaldo, e superate la prima ora, serio nei toni con un percorso di redenzione e riscatto da parte del giovane Jojo.
Parte dell’umorismo nero della premessa del film è il contrasto tra Jojo e la politica di sua madre, Rosie Betzler (Scarlett Johannson). Questo squilibrio ideologico è di per sé ironico, in quanto Jojo, bambino di appena 10 anni, è un serio aspirante nazista, mentre sua madre, amante del divertimento e della spensieratezza, ha una politica di gran lunga più progressista. Si tratta di un’inversione della dinamica che ci aspettiamo tra genitori e figli. Lo scambio fra di loro cresce esponenzialmente e si estende nel rapporto stabilito tra lui ed Elsa, una vittima dell’ideologia nazista che può solo aggrapparsi alle risate e all’atmosfera giocosa con cui vive la vita Jojo.
La satira anti-odio di Taika Waititi
Elementi di scena e dettagli di ambientazione giocano un ruolo primario per consolidare questi rapporti, renderli più accessibili nonostante le diverse origini dei protagonisti o per esporsi con crepe che devono essere riparate in una successiva presa di coscienza. Ogni interprete è inserito col fine di ampliare lo spettro emotivo dei singoli personaggi affinchè non si ritrovino intrappolati nella rete di menzogne fondate dal movimento nazista. Gli strumenti per generare paura verso i nemici e per sminuire il diverso sono l’arma principale per il regista e sceneggiatore da utilizzare a suo vantaggio: la propaganda, la schiera di novelli soldati al servizio del Furher e i proiettili verranno disintegrati dalla forza della risata. Un approccio che potrebbe risultare datato ad un primo impatto, ma tesoro di una personalità dentro e fuori lo schermo contagiosa e irriverente.
La recensione in breve
La satira anti-odio di Taika Waititi colpisce nel segno a ogni livello, con una regia frizzante tanto quanto l'idealismo del suo protagonista, in un viaggio tra certezze e ignoto che ne modellerà l'identità.
-
Voto CinemaSerieTv