Il film: Joy, 2024. Regia: Ben Taylor. Genere: Biografico, drammatico, storico. Cast: Thomasin McKenzie, James Norton, Bill Nighy, Jemima Rooper, Joanna Scanlan, Adrian Lukis. Durata: 115 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Netflix.
Trama: Gli sforzi del team scientifico che ha trascorso un decennio nella ricerca e sviluppo della fecondazione in vitro nonostante l’opposizione dei media e della chiesa.
A chi è consigliata: Agli appassionati di storie vere, che raccontino scoperte rivoluzionare per la storia dell’umanità.
Gli sforzi, i sacrifici e le controversie sopportati dal team di medici e scienziati che hanno condotto ricerche sulla fecondazione in vitro in Inghilterra nel corso di un decennio sono al centro di Joy, film drammatico interpretato da Thomasin McKenzie, James Norton e Bill Nighy e approdato su Netflix lo scorso venerdì. Sebbene si tratti di uno sviluppo scientifico che pochi oggi mettono in discussione e che permette a molte donne che prima non avrebbero potuto diventare madri, la fecondazione in vitro ha avuto una nascita irta di conflitti e incomprensioni, con gran parte della stampa, dell’opinione pubblica e della Chiesa completamente contrari.
I conflitti di una donna e della società
Nel 1968, la giovane Jean Purdy (McKenzie) è un’infermiera che si unisce con fervore al team guidato da Robert Edwards (Norton), un fisiologo che studia le possibilità di questo tipo di fecondazione. A questo scienziato appassionato e ossessivo si affianca l’ostetrico Patrick Steptoe (Nighy), un altro medico controverso e in cattivi rapporti con l’establishment scientifico britannico. L’attenzione personale, in gran parte su Purdy, si concentra sul conflitto tra il suo rapporto con la maternità, la sua educazione cattolica e la posizione della chiesa sul lavoro che svolge. Non tanto per la chiesa in sé, ma perché la madre devota (Joanna Scanlon) la mette tra l’incudine e il martello, dicendole in sostanza che se non lascia il lavoro non vorrà più vederla.
A parte questo, ciò che Joy ritrae sono gli andirivieni, i problemi di budget, le relazioni interpersonali – non molto, in realtà – e gli alti e bassi dello sviluppo della fecondazione assistita nel corso di quasi un decennio. Quando hanno iniziato, non sapevano molto e hanno passato anni a seguire percorsi che non portavano a nulla, finché non hanno trovato la strada scientifica. Poi sono seguiti anni di tentativi ed errori – gravidanze che non sono arrivate a termine, tra altri sviluppi che erano, se non altro, incompleti – sempre con un piccolo ma devoto gruppo di madri disposte a partecipare a questi esperimenti.
Forse la più interessante di tutte è la controversia suscitata da un tipo di fecondazione che la Chiesa considera “innaturale”. Nonostante gli sforzi di Edwards di far capire ai media, in varie interviste e dibattiti televisivi, che quello che stavano facendo era cercare di risolvere il problema di milioni di madri che vogliono essere madri ma non riescono a rimanere incinte, non solo la chiesa era contro di loro, ma venivano spesso attaccati, accolti con fischi dalla gente e maltrattati dai media che li consideravano emuli del dottor Frankenstein.
Joy è un film corretto, funzionale, curiosamente simpatico – i tre protagonisti erano, a loro modo, piuttosto particolari, così come alcuni dei loro collaboratori – che ha la lodevole funzione di dimostrare la serietà, l’utilità e l’impegno degli scienziati per migliorare le condizioni di vita delle persone. La “missione” di trasmettere concetti così basilari, che in molti casi potrebbero essere considerati inutili, in questi anni di ridicola diffidenza e discredito nei confronti della scienza, diventa essenziale: forse non è il film che ritrae meglio il processo, ma lo fa in modo decisamente accessibile.
Ben Taylor affronta la sfida di raccontare una storia “scientifica” senza perdere il lato emotivo, e in parte ci riesce. Il regista riesce a mantenere vivo l’interesse per il percorso di Purdy, Edwards e Steptoe, mostrando sia le loro scoperte che le sfide che hanno dovuto affrontare. Tuttavia, a volte si ha la sensazione che Taylor stia vacillando tra un profondo dramma umano e un biopic più tradizionale. Ci sono momenti in cui si ha la sensazione che il film voglia commuovere, ma si ferma a metà strada, senza sfruttarlo appieno.
Il cast fa un buon lavoro, ma è Thomasin McKenzie, che interpreta Jean Purdy, a portare avanti il film. La sua interpretazione cattura perfettamente la determinazione e la passione di una donna che non solo ha lottato contro la sterilità, ma anche contro il maschilismo e la burocrazia dell’epoca. Il resto del cast, tra cui lo scienziato Robert Edwards e il chirurgo Patrick Steptoe, svolge il proprio ruolo, ma nessuno riesce a emergere quanto lei: non è necessariamente un male, ma lascia la sensazione che i personaggi secondari avrebbero potuto essere sviluppati meglio.
La recensione in breve
Joy riesce a mettere in luce l'importanza del lavoro di Purdy, Edwards e Steptoe e l'impatto che il loro lavoro ha avuto su milioni di vite. Una storia interessante e una visione decisamente accessibile, ma che avrebbe meritato un po' più di forza narrativa.
Pro
- Il trio di protagonisti, credibili e
- Il modo in cui racconta un percorso scientifico rendendolo comprensibile al pubblico
Contro
- A volte, fatica a capire bene che registro imboccare
- I personaggi secondari avrebbero potuto essere sviluppati meglio
- Voto CinemaSerieTv