Il film: Lei mi parla ancora, 2021. Regia: Pupi Avati. Cast: Renato Pozzetto, Lino Musella, Stefania Sandrelli e Isabella Ragonese. Genere: Biografico, drammatico. Durata: 93 minuti. Dove l’abbiamo visto: Su Netflix, in lingua originale.
Trama: La storia del grande e immortale amore tra Nino e Caterina, una coppia di anziani sposata ormai da 65 anni. Tra i due è stato amore a prima vista ma, quando Caterina viene a mancare, Nino cercherà di farla rivivere in ogni modo.
Quella di Lei mi parla ancora è forse la storia più romantica di tutta la filmografia di Pupi Avati. Una storia in cui passato, presente e allucinazione si mischiano, cercando di dare concretezza visiva a ciò che è impossibile trattenere: il ricordo di chi non è più con noi fisicamente, ma la cui memoria non ci abbandona mai; di chi non condivide più i nostri stessi spazi, ma in qualche modo ha stabilito la sua presenza in ogni angolo. Trasposizione cinematografica di Lei mi parla ancora – Memorie edite e inedite di un farmacista, scritto da Giuseppe Sgarbi nel 2016, il film del Maestro Avati si immerge nei ricordi di un amore che è stato giurato essere immortale, che cerca di conquistare un orizzonte narrativo in cui predomina il sentimentalismo della mancanza, come analizzeremo nella nostra recensione di Lei mi parla ancora.
Lei mi parla ancora, la trama: un amore immortale
Nino (Renato Pozzetto nel presente, Lino Musella nel passato) e Caterina (Stefania Sandrelli nel presente, Isabella Ragonese nel passato) sono sposati da sessantacinque anni e si sono giurati amore eterno dal primo momento in cui si sono visti. Quando Caterina viene a mancare a causa di una brutta malattia, la figlia editrice pensa che sarebbe cosa buona per il padre cercare di mettere per iscritto i ricordi condivisi assieme alla moglie. Per questo, gli affianca Amicangelo (Fabrizio Gifuni), un editor con velleità da romanziere: un uomo moderno, che non riesce “ad amministrare la sua vita” e che inizialmente fatica a comprendere il rapporto di inestimabile profondità che univa Nino e Caterina, perso nella frenesia quotidiana di un’epoca in cui le relazioni sono sfuggevoli e non si appartiene veramente a nessun luogo.
Il coraggio di illudersi
Con Lei mi parla ancora, per la prima volta, il Maestro del gotico padano sceglie di raccontare una storia che non è propriamente sua ma in cui riesce ad immedesimarsi senza alcuna difficoltà grazie a un’eleganza registica andata perduta nel cinema contemporaneo, appannaggio di chi ha fatto cinema per una vita e ha fatto del mezzo audiovisivo il proprio personalissimo libro di memorie. La mano di Avati e il cuore di Sgarbi trovano un punto di incontro nella consapevolezza della necessità dell’illusione. Il volersi aggrappare a un modo di sentire e vedere le cose che, nell’innocenza della vecchiaia, ci riporta all’infanzia, quando il tempo ha tutto un altro sapore, più legato alla sensorialità che al suo scorrere effettivo. Nino, interpretato da un Renato Pozzetto in stato di grazia, è un alter ego del regista stesso, sposato da oltre 55 anni, che conosce bene le velleità della “stagione della vita in cui non ci si abbraccia più” e c’è bisogno di volgere la nostra fiducia al tempo dei ricordi; della memoria condivisa con chi abbiamo sempre avuto al nostro fianco.
Dal personale all’universale
Nella rappresentazione della concezione della famiglia di provincia quasi ottocentesca, dell’importanza della casa come luogo in cui si costruisce l’amore, Lei mi parla ancora svela tutte le sue carte. Ammantata da un senso di sacralità che attraversa ogni aspetto dell’esistenza e ravvisabile nella stessa cultura ed educazione di Avati, che descrive ormai come “tardo medievale”, la storia d’amore di Nino e Rina può vivere solo in questo specifico contesto. Si fa certamente forza di un afflato universale ma è, prima di tutto, costruzione di un codice d’amore mentale, che solo i due sempiterni sposi possono decifrare. Il senso di Lei mi parla ancora riesce a svelarsi al meglio proprio nei frangenti in cui capiamo di essere nella testa di Nino, e non vogliamo uscirne; nel world-building in cui Isabella Ragonese e Lino Musella sono i nostri eroi, che ci fanno credere che un amore del genere possa persistere al gelido inverno del tempo che passa.
Rina parla ma, soprattutto, esiste
Forse, Lei mi parla ancora perde parte del suo magnetismo nel momento in cui usciamo dalla testa di Sgarbi/Pozzetto, per cercare di affidare il ricordo alle mani di qualcuno che vuole sicuramente onorarlo, ma non riesce a comprenderlo fino in fondo. Questo distacco storico – dall’uomo “d’altri tempi” all’uomo moderno – infastidisce lo spettatore, che non può tuttavia non riconoscerne la validità nel presente. Nel mondo attuale, sembra non esserci spazio per un amore che ha a che fare con una maniera di vivere l’altro che non ci è dato sperimentare. Forse è proprio in questa necessaria presa di distanza, sia nostra che di Amicangelo, che Nino ci chiede di lasciare lo spazio a Rina di rivivere. Forse dobbiamo e possiamo godere della sua immagine solo nel silenzio di una casa che ha vissuto veramente il loro amore e cui si può affidarne l’immortalità.
La recensione in breve
Prelevando dalla parola scritta e cercando di tradurla in immagine, Pupi Avati confeziona il suo film più sentimentale con Lei mi parla ancora: un'analisi dell'importanza del ricordo e di come questo debba costantemente fare i conti con l'illusione del passato e le difficoltà di un presente in cui è difficile parlarsi.
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