Il film: L’immensità, 2022. Regia di: Emanuele Crialese. Cast: Penélope Cruz, Luana Giuliani, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti.
Genere: drammatico. durata: 97 minuti. Dove l’abbiamo visto: alla Mostra del Cinema di Venezia 2022.
Trama: Nella Roma degli anni ’70, osserviamo le dinamiche interne di una canonica famiglia italiana dell’epoca, in cui la figlia dodicenne cerca di rivendicare la propria identità di ragazzo.
Per il suo quinto lungometraggio, Emanuele Crialese, regista romano conosciuto soprattutto per Nuovomondo (2006) e Terraferma (2011), si cimenta in una vera e propria prova di coraggio. Sì perché, il suo nuovo film L’immensità, presentato in concorso a Venezia 79, porta sullo schermo quella che è stata la sua infanzia, in un racconto autobiografico che parla di identità di genere e rapporti familiari.
Ambientata nella Roma degli anni ’70, la pellicola esplora le dinamiche all’interno di una classica famiglia italiana dell’epoca, nella quale, però, si osservano le prime crepe nella solida struttura della tradizione patriarcale. Ed è proprio da questa fessura che, come uno spiraglio di luce, si fa strada la necessità di esprimere se stessi, la propria natura, i propri disagi. Premesse robuste quelle su cui si basa l’opera di Crialese; peccato che, come vedremo nella nostra recensione de L’immensità, manchi più volte l’obiettivo, perdendosi nel tentativo di abbracciare troppe tematiche che poi non vengono adeguatamente approfondite.
La trama de L’immensità: una famiglia come tante
Siamo nella Roma degli anni ’70, in un quartiere periferico di nuova costruzione nel quale vivono Carla (Penélope Cruz), suo marito Felice (Vincenzo Amato) e i tre figli Adriana, Gino e Diana. È una canonica famiglia italiana dell’epoca quella dei Borghetti, almeno all’apparenza; una madre casalinga e un padre lavoratore che, quando rientra a casa la sera, si aspetta di trovare la cena in tavola e i bambini in ordine. Qualcosa, però, ribolle sotto la superficie: la depressione di Carla per un matrimonio ormai agli sgoccioli, il disagio dei figli più piccoli espresso attraverso il mangiare troppo (Gino) o il non mangiare affatto (Diana) e, soprattutto, la consapevolezza di Adriana (Luana Giuliani) di abitare in un corpo che non è il suo. La dodicenne, infatti, sente di essere un ragazzo, Andrea, e cerca disperatamente una legittimazione della sua identità che, però, la sua famiglia sembra non volerle concedere.
“Mi avete fatta male”
D’altra parte, come già detto, siamo negli anni ’70. All’epoca il concetto di gender fluid non era ancora entrato nel nostro vocabolario e, soprattutto, nella nostra concezione del mondo. Per questo motivo, Adriana ripete più volte di provenire, in realtà, da un altro pianeta: nessuno attorno a lei, infatti, sembra trovarsi nella sua medesima condizione né tantomeno riuscire a comprendere il suo disagio. Un disagio nei confronti di un corpo che non la rispecchia e che cerca di mitigare, indossando abiti maschili, portando i capelli corti ed evitando di togliersi la maglietta quando si trova al mare con i cugini. Tutti comportamenti che scatenano derisioni da parte dei parenti e generano frustrazione e rabbia nel padre. “Mi avete fatta male“, ripete spesso Adriana alla madre che, nonostante il legame profondo che lega le due, sembra non riuscire a capire fino in fondo il momento di difficoltà che sta affrontando la figlia.
La casa come una prigione
Come abbiamo appena detto, Carla e Adriana hanno una forte connessione tra loro, determinata soprattutto dal fatto di percepire la propria casa come una sorta di prigione, dalla quale cercano di evadere attraverso il gioco e la musica. La prima è vittima di violenza domestica – fisica e psicologica – da parte di un marito autoritario: la donna, relegata in un matrimonio fatto di silenzio, incomprensioni e tradimenti, vorrebbe chiedere la separazione ma la possibilità le viene fermamente negata da Felice. La seconda, si sente in trappola quando, tra le mura della sua abitazione, non viene riconosciuto il suo “essere Andrea”; legittimazione che trova solo nel mondo esterno, nella sua nuova amicizia con Sara, una ragazzina che abita in una baraccopoli poco distante. In questo rapporto, Adriana conquista finalmente la libertà di essere un ragazzo.
Una sensazione di incompiutezza
Il tentativo di esprimere la propria identità da parte della sua giovane protagonista rappresenta sicuramente il fulcro de L’immensità. Ma sono diverse le tematiche che vengono toccate dal film di Crialese. Vediamo la depressione della madre, che passa da momenti di euforia – in cui canta le canzoni di Raffaella Carrà e Patty Pravo – all’immensa stanchezza psicofisica di chi è vittima di abusi; ma anche il disagio dei figli, che percepiscono la tensione nel matrimonio dei propri genitori e lo esprimono con quelli che sembrano destinati a diventare dei veri e propri disturbi alimentari. Per non parlare della figura del marito, che impone all’intera famiglia una relazione di autorità fortemente asimmetrica. Nonostante la varietà dei temi presentati, però, il film sembra sempre rimanere sulla superficie, non approfondendo i contenuti toccati e dando l’impressione di essere un’opera incompiuta.
La recensione in breve
Il nuovo film di Crialese è il racconto in chiave autobiografica della sua infanzia, che porta sullo schermo il disagio di vivere in un corpo che non ti appartiene nell'Italia degli anni '70. Un'opera che, nel tentativo di abbracciare una gran varietà di tematiche, finisce per navigare sulla superficie, risultando incompiuto.
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