Il film: Maigret, del 2022. Regia di: Patrice Leconte. Cast: Gérard Depardieu, Jade Labeste, Mélanie Bernier, Aurore Clément, André Wilms.
Genere: Drammatico. durata: 88 minuti. Dove l’abbiamo visto: anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: Nel nono arrondissement di Parigi, a Pigalle, il corpo di una giovanissima donna è stato ritrovato senza vita. Il colpevole è sparito: toccherà al commissario Maigret risolvere il caso.
Maigret nasce come opposto di Sherlock Holmes. Concepito dalla penna di Georges Simenon nel 1931, in quel che sarebbe stato solo il primo di una lunga serie di avventure (settantacinque i romanzi, ventotto i racconti), l’uomo dalle larghe spalle, con la passione per il buon vino e quell’aria burbera sempre celata sotto cappello e lungo cappotto, non avrebbe nulla da spartire con il detective in deerstalker nato dall’immaginazione di Doyle, se non la pipa. Oltre, ovviamente, alla naturale attrazione per i casi apparentemente impossibili. E neppure questo basterebbe a illustrare le più sostanziali differenze fra i due indagatori separati dalla Manica, perché il commissario franco-belga rappresenta forse il più importante cambiamento nel modello del romanzo poliziesco.
Come vedremo nella nostra recensione di Maigret, il protagonista proposto dal regista Patrice Lecont lascia che l’istinto possa aiutarlo meglio della ragione e che i sentimenti d’empatia nei confronti di bugiardi e criminali, di vittime e carnefici in egual modo, possano venire in suo soccorso, anziché essergli d’ostacolo.
La trama: fra i vicoli di Parigi
Una giovane donna (Clara Antoons), appena ventenne e con l’aria smarrita, si prepara per quel che sembra essere un grande evento. Abito da sera costoso, al di sopra delle sue possibilità economiche, e una signora che l’aiuta a entrarci dentro perfettamente. La donna non sa che la sua vita sta per terminare: infatti, poco dopo, il suo corpo verrà ritrovato senza vita, abbandonato su un selciato. Un Maigret (Gérard Depardieu) stanco, uggioso, riflesso nella malinconia che sembra eclissare Parigi in ogni vicolo e in ogni stazione ferroviaria, si occuperà del caso. La ragazza sembra non essere mai esistita: non ha nome, non ha legami, non ha identità. Almeno finché non appare un nome: Louise Louvière.
Un Maigret stanco
Leconte apre il suo film con gli ultimi attimi della jeune morte che dà il titolo alla sua opera (e a quella da cui è tratta, uscita nel 1954). Si può candidamente ammettere che il vero motivo per cui ancora leggiamo e guardiamo le storie di crimini efferati, risolti da detective più o meno razionali, non è tanto il desiderio di cogliere quale sia il colpevole, né di scovare la ragione nelle nostre supposizioni: fine che sarebbe comunque irraggiungibile, poiché sono i film e i romanzi stessi a depistare e indirizzare i sospetti del lettore e dello spettatore sul meno plausibile dei possibili assassini.
Ciò per cui Maigret ancora appassiona è quello che accade a lui durante le indagini, a omicidio già consumato. Quello di Leconte prova a guardare oltre l’immagine del cadavere che ha davanti per tornare indietro nel tempo e capire chi fosse la giovane morta quando era viva, prima ancora di voler far luce sul suo aguzzino e sulle circostanze che l’hanno condotta verso il triste destino. Porta sul corpo, pur imponente, tutto il peso del dolore provato in vita, in un racconto psicologico e crepuscolare che concede certezze solo sulla crudeltà e sulla sofferenza umana.
Storie di fantasmi e detective
Era prevedibile che una figura di tale caratura e carisma si accattivasse le attenzioni di numerosi registi e altrettanti autori, sia francesi che britannici (ma anche italiani), prima di Lecont. Pierre Renoir, Jean Gabin, Charles Laughton, Jean Richard, Albert Préjean, Michel Simon, Gino Cervi, Harry Baur sono i volti che hanno dato forma e voce per lo schermo al commissario protagonista delle speciali crime stories di Simenon. L’attenzione di Lecont, stavolta, ha inquadrato Gérard Depardieu come candidato ideale – per fisicità, per indole, per rilevanza – alla continuazione della grande storia dell’investigatore.
La regia di Leconte è sobria, priva di orpelli ed elegante, capace di catturare l’attenzione sui piccoli dettagli facendosi sguardo di Maigret, supportato da una fotografia che non dirotta mai dalle gradazioni cineree che riecheggiano i toni dell’anima del protagonista. Persino le scene di vita famigliare, a tavola con la signora Maigret, richiama l’Hitchcock di Frenzy ma spogliandolo del suo cinismo disincantato per prediligere l’incedere meditativo. Risolto il rebus non c’è il minimo sollievo per Maigret, che ha perso sua figlia due volte e ne vedrà ancora il volto su tutte le giovani morte che incontrerà.
La recensione in breve
Con una regia sobria ed elegante Leconte racconta un Maigret disilluso, che vaga con i suoi fantasmi nella comprensione degli esseri umani attraverso i loro dolori prima ancora dei loro delitti. Le influenze hitchcockiane vengono spogliate del cinismo e trascritte in un'ambientazione parigina dalle atmosfere cineree, che valorizzano al meglio la performance di un monumentale Depardieu.
- voto CinemaSerieTV