Il film: Monica, del 2022. Regia di Andrea Pallaoro. Cast: Trace Lysette, Patricia Clarkson, Emily Browning e Adriana Barraza.
Genere: drammatico. Durata: 106 minuti. Dove lo abbiamo visto: al Festival di Venezia 2022.
Trama: Monica è una donna sola. In un momento di crisi della sua vita riceve una chiamata che la riporterà a casa. Sua madre, infatti, sta per morire e nonostante non la veda dalla sua infanzia la donna decide di prendersi cura di lei, pur non affrontando il grande elefante nella stanza…
Andrea Pallaoro dirige un film concentrato completamente sulla sua protagonista, Monica. Il film utilizza come titolo proprio il nome del personaggio, quello che lei si è scelta, essendo l’attrice Trace Lysette una donna trans nella vita vera e rappresentandola anche sul grande schermo. Cambiare identità, abbinarsi a una che si addice maggiormente a come ci sentiamo dentro, che possa mostrare anche al di fuori chi siamo e dare l’avvio a una rinascita personale, è un procedimento che ha nel nome un significato essenziale e che conosce chiunque si sia approcciato o stia per farlo al percorso di transizione.
E anche nel cinema è importante affidare un titolo che sia attinente al il contenuto proposto. Come analizziamo proprio nella recensione di Monica, è possibile affermare che la pellicola di Pallaoro cerchi la totalità individuale di una protagonista, che solo gradualmente saprà aprirsi e farsi accogliere dagli altri.
La trama: una ferita ancora aperta
È un senso di solitudine quello con cui l’opera parte e che persisterà nel corso della pellicola, finché per Monica non arriverà il momento di affrontare una ferita che pur sembrando rimarginata, scoprirà ancora vivamente sanguinante. Dalla decisione di incorniciare la protagonista, e l’intero film, in un formato stretto e vincolante (un rigoroso e claustrofobico 4:3) si comprende il desiderio di Pallaoro di isolare il suo personaggio. Di tenerla alle strette in un momento della sua esistenza in cui è lei, distante dalla sua famiglia e appena lasciata dal suo fidanzato, in cerca di un briciolo d’amore.
È questa condizione di allontanamento da qualsiasi legame emotivo che spingerà Monica a rispondere a quel telefono e accettare l’invito della zelante cognata, la quale la invita a tornare a far parte di quel circolo familiare che sta per sfaldarsi. A ricongiungersi con una madre che sta per morire. Un momento, forse, di ritorno a un rifugio di cui la donna ha bisogno. Un legame tra una figlia nata in un corpo maschile e rinnegata dalla sua stessa casa, di cui tornerà a farne parte per prendersi cura della genitrice. Ad una condizione però: mantenere celato chi è veramente.
Intrappolare l’immagine
Se il disvelamento è ciò che più attendiamo per tutta la durata del film Monica, in Concorso a Venezia nella sua 79esima edizione della Mostra del Cinema, è proprio puntando a questo unico obiettivo che l’operazione di Andrea Pallaoro si perde, riuscendo a restituirci l’intimità della sua protagonista e del rapporto con la madre visivamente, ma per nulla a livello umano.
Ancor più, consci della bellezza delle pennellate registiche che l’autore regala a ogni segmento come una fotografia impressa nella memoria, a lasciare delusi e interdetti è la dimostrazione di una profondità che il cineasta riesce a inserire solamente sull’immagine, non facendo altrettanto dal punto di vista narrativo. L’arrestare qualsiasi investigazione del lato privato e introspettivo dei personaggi e, per questo, restituendo al pubblico solo la parte epidermica della propria storia.
Conoscere l’altro, conoscere Monica
Se di Monica comprendiamo lo stato d’animo di una donna al capolinea di una relazione amorosa, se il film accenna il suo lavoro e se si intuisce il colpo di frustra che ha avuto la sua esistenza, la quale l’ha condotta al di fuori della soglia del nido genitoriale, Pallaoro crede che questo basti per poter creare una connessione che è poi la stessa ricercata dal personaggio. Un avvicinamento che solitamente nasce dalla conoscenza l’uno dell’altro, ma che lascia invece estraneo il pubblico dal film, quasi da Monica stessa.
Seppure la pellicola offre un racconto facile da poter seguire, la sensazione è di essere usciti dalla sala sapendo ancor meno di quella donna e della sua vita quando, invece, bramavamo molto di più. Un’indagine che ci era stata promessa, vista una regia tanto attenta e immersa da tagliare addirittura spesso le figure intere che ne fanno parte, rendendo protagonisti solamente i particolari, le singolarità, specifici dettagli che indicano un intero mondo.
Ritorno in famiglia
Una sceneggiatura di cui ci sembra di apprendere semplicemente lo scheletro e che ci delude proprio perché ci fa andare via con la voglia di sapere di più. Di più di quel distacco tra madre e figlia, di più su quel fratello che ha sempre sentito la sua mancanza, ma non ha mai avuto il coraggio di amarla. E, in quel caso, anche il silenzio sarebbe potuto in qualche modo restare.
Quello di un riconoscimento che nel film avviene nella maniera più dolce e commovente possibile, senza bisogno di alcuna parola, ma avvalendosi solo degli occhi e del tatto. Un’opera che, alla sua fine, ci fa domandare ancora chi è Monica. Colei che forse un proprio posto lo ha ritrovato, lontano e distaccato però dal pubblico.
recensione in breve
Andrea Pallaoro vuole farci conoscere Monica, la sua protagonista. La incornicia in una regia molto stretta, ne esplora la vita intima e privata, ma alla fine della pellicola si sa poco della sua esistenza, lasciando un'insoddisfazione nel pubblico non indifferente.
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