Il film: Padre Pio, del 2022. Regia di Abel Ferrara. Cast: Shia LaBeouf.
Genere: drammatico. Durata: 83 minuti. Dove lo abbiamo visto: al Festival di Venezia 2022, in lingua originale.
Trama: Il film racconta due storie. Da una parte c’è il percorso religioso intrapreso da Padre Pio, dall’altra quello di un gruppo di cittadini di un piccolo paesino subito dopo la Prima Guerra Mondiale.
Il cinema di Abel Ferrara sta diventando sempre più sperimentale ogni anno che passa. Questo, però, non significa che sia necessariamente un bene: il cineasta ha sicuramente la capacità e lo spirito adatto per continuare a cercare la maniera migliore di esprimersi attraverso un’arte che ha praticato per tutta la sua vita, ma che forse sta diventando sempre più personale e meno adatta alla fruizione del pubblico.
È quello che vedremo nella recensione di Padre Pio, che, pur venendo presentato al Festival di Venezia 2022 nella sezione dedicata alle Giornate degli Autori, rappresenta un ulteriore passo del distaccamento tra l’autore e gli spettatori, anche quelli in pellegrinaggio verso uno dei festival più intensi e cinefili del panorama mondiale.
Il progetto e l’ideazione di Padre Pio
Sicuramente l’interesse nei confronti di Padre Pio nasce fin dall’annuncio di un progetto che non solo vede l’autore dedicarsi alla figura di questo santo italico, ma ne affida il costume e lo spirito a un attore improbabile nella sua iconicità quale Shia LaBeouf. Un interprete sempre in bilico tra blockbuster e questioni legali, tra un’esistenza quasi performativa anche al di là dei confini di uno schermo e che ha cercato di mettersi a nudo secondo la visione autoriale della propria infanzia e vita nell’opera Honey Boy, in cui interpreta il suo stesso padre.
Una scelta insolita, ma forte; potente nella sua esagerazione e che aumenta il senso di curiosità e misticismo cinematografico all’annuncio di un periodo di preghiera trascorso dall’attore proprio in un convento di frati cappuccini in Italia.
Una trama divisa in due racconti
Ma un film o qualsiasi opera d’arte non può essere solamente contorno e aspettativa, preparazione e risonanza in sé. Deve bensì dimostrare di saper riportare la stessa esaltazione e un’altrettanta entusiasmante fattura anche al proprio interno, cosa che Padre Pio non presenta e, anzi, fa virare totalmente in un’altra direzione. La pellicola divisa in due macro storie, che vedono da un lato la ricerca religiosa del monaco al principio del suo percorso sacerdotale e dall’altro il Bel Paese nell’approcciarsi agli iniziali barlumi del socialismo dopo la Prima Guerra Mondiale, riesce a contrariare in entrambi i versi in cui si dirama, soprattutto per una regia confusa e antiquata.
Scelte stilistiche che non sembrano nemmeno scelte, ma arabeschi pindarici della macchina da presa che rallenta o velocizza le proprie sequenze, che sgrana le inquadrature o ne modifica la texture, non sembrando coerente nel continuo alternarsi e dando l’impressione di decisioni prese quasi alla cieca. I tentativi di racconto cinematografico e della messinscena di Padre Pio formano il più fastidioso e disturbante dei risultati, non lasciando lo stupore nello spettatore di fronte a una ricercatezza che dimostra di perseguire almeno un proprio senso interno alla regia della storia, ma che finisce per rivelare un’anima passata e démodé che non può funzionare nel cinema di oggi, pur in un autore di ieri.
Padre Pio: tra luce e oscurità
Le continue velleità non vengono riservate inoltre alla sola composizione visuale dell’opera, ma confluiscono nella scrittura che, pur chiara e lineare nei propri racconti, scade in svolte e trovate naïf ingiustificabili anche in un cineasta come Ferrara. Nella direzione degli attori e in alcuni scambi tra i personaggi il regista sottolinea decisamente troppo la mano facendo degli interpreti e delle loro scene un teatro fittizio e quasi dilettantesco, rendendo il tutto marcatamente irreale e non permettendo ad alcuna spontaneità di esprimersi.
È forse però proprio soltanto il Padre Pio di LaBeouf a trovare la salvezza in un’operazione che non va mai incrociando le proprie storie, facendoci anche interrogare sulle effettive intenzioni narrative dell’autore e non riuscendo nemmeno in questo caso a comprenderle appieno. Un santo tormentato che vuole uscire dall’oscurità e cercherà di farlo esclamando: “Il Signore è Dio!“. Ma nella veemenza di queste parole il film si perde nel peccato originale di molte opere: credere di poter vivere da sé senza mettere mai in dubbio il proprio risultato.
Nulla di miracoloso
Su di un paesino diroccato illuminato da una fotografia che poco attira l’occhio e abitata da personaggi dalle interpretazioni non proprio inappuntabili, Padre Pio rimane un progetto più affascinante nel suo esistere come ideale che nell’effettivo esito. Un’opera per nulla miracolosa che richiede un’enorme sopportazione. Perché alla fine non siamo certo tutti santi, ma vorremo solamente vedere buoni film.
Conclusioni
Padre Pio segue due macro storie ma non riesce in nessuna. La regia è completamente confusa, pur seguendo la linearità di una doppia narrazione semplice eppure comunque inefficace. A salvarsi è giusto Shia LaBeouf nel suo frate alla ricerca della luce.
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