Il film: Piove, 2022. Regia: Paolo Strippoli. Genere: Horror. Cast: Fabrizio Rongione, Francesco Gheghi, Aurora Menenti, Cristiana Dell’Anna. Durata: 95 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema.
Trama: Un fumo proveniente dalla rete fognaria di Roma comincia a scatenare misteriose allucinazioni in chiunque lo respiri. Quando la famiglia Morel, reduce da un tragico lutto, vi entra in contatto, i suoi membri saranno costretti a fare i conti con i propri scheletri nell’armadio.
Un film dell’orrore italiano nel 2022 è già di per sé una buona notizia. Ancora meglio se il film in questione si presenta con una personalità sua, una visione che riesce a travalicare i confini del genere per ritagliarsi un proprio spazio nel cinema d’oggi. Succede con l’ultimo lavoro di Paolo Strippoli (regista di A classic horror story insieme a Roberto De Feo), che arriva in sala con un bel carico di aspettative addosso, visto l’arido panorama attuale dell’horror nostrano.
Se è ingiusto aspettarsi che un singolo film possa riscattare le mancanze dell’industria, non si può che restare incuriositi di fronte a un tentativo così diretto e coraggioso, e anche solo per questo il film di Strippoli andrebbe sostenuto a prescindere. Ma come vedremo in questa recensione di Piove, il regista tira fuori dal cilindro un’opera di tutto rispetto, che nella sua capacità di cavalcare insieme genere e family drama risulta ben più di quanto fosse lecito aspettarsi.
La trama: orrore psicologico
Si comincia sottoterra, in una fognatura di kinghiana memoria. Un fumo misterioso proviene dagli scarichi della capitale, fuoriesce dai tombini e si infiltra nelle vite degli abitanti. Scatena allucinazioni, istiga alla violenza e allo sfogo delle pulsioni represse. Anche la famiglia Morel, di cui fanno parte Thomas e i suoi figli Enrico e Barbara, lo respira inconsapevolmente. La sua unità è stata messa a dura prova dalla morte di Cristina, moglie di Thomas: quando lui ed Enrico diventano vittime delle fantasie spaventose prodotte dal fumo tossico, i rancori sopiti esplodono con spaventosa violenza.
Un film di padri e figli, dunque, di non detti, di tensioni che si accumulano e aspettano il momento giusto per riemergere. Non c’è nessun mostro alieno, nessuna spiegazione soprannaturale: il meccanismo alla base di Piove è costruito su una trovata quasi puramente psicologica, che permette a Strippoli, insieme agli sceneggiatori Jacopo Del Giudice e Gustavo Hernández, di giocarsi tutta la storia sulla costruzione dei personaggi. C’è l’eco, evidentissimo, del nuovo filone horror umanistico di Jennifer Kent e Ari Aster. Ma va bene così: Piove, ancora più del precedente A classic horror story, punta a valicare i parallelismi più ovvi per trovare una quadra coerente nel suo universo narrativo.
Genere o non genere?
Ecco che, nell’esplorazione delle dinamiche fra i protagonisti, il film individua il proprio fortissimo nucleo tematico. E fa una cosa bellissima: trascende i limiti imposti dal genere, diventando così un racconto a tutto tondo che non si limita al proprio ambito di appartenenza. È un horror, Piove, ma con la sua economia narrativa e la sua vicinanza all’universo dei personaggi il film di Strippoli dimostra di avere senso di esistere in sé, e non sistematicamente nel genere di cui fa parte.
Forse quello che si racconta vale di più rispetto al modo in cui lo si racconta. Non siamo di fronte a un prodotto che vuole scardinare il linguaggio del genere, quanto piuttosto a un esercizio di unità narrativa, di rilettura orrorifica della drammaturgia familiare. Ma è proprio questa fedeltà alla visione umana degli autori che lo tiene unito e lo rende efficace. Gli si perdonano, quindi, alcuni sgarri nella scrittura e nella struttura dell’intreccio, troppo semplice e lineare per risultare veramente esplosivo. Si poteva forse lavorare di più sull’articolazione della trama, farne un racconto più complesso e arzigogolato – magari sfruttando meglio le potenzialità corali dell’ambientazione.
Un finale troppo semplice per un ottimo horror
Anche il finale, decisamente “facile”, tradisce una tendenza iper-claustrofobica e a tratti semplicistica che riduce l’impatto del film. Il quadro generale, però, è troppo singolare perché si resti indifferenti. Nei suoi 95 minuti di durata Piove riesce così a costruire un ottimo horror italiano e un racconto d’autore personale e originale, senza sacrificare nessuna delle due componenti. C’è sicuramente spazio di crescita: ci si augura in ogni caso che quello di Strippoli sia molto più di un esperimento isolato. Magari, chi lo sa, l’inizio di un filone tutto nostro.
La recensione in breve
Oscuro e disturbante, Piove è un ottimo esempio di cinema horror italiano, capace di approcciare il genere con un'identità propria e senza timore dello stereotipo. Al di là di alcune inevitabili smagliature, è un'opera da sostenere.
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Voto CinemaSerieTv