Il film: Queer, 2024. Regia: Luca Guadagnino. Cast: Daniel Craig, Drew Starkey, Lesley Manville, Jason Schwartzman. Genere: Drammatico, azione. Durata: 135 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival del Cinema di Venezia, in lingua originale.
Trama: Città del Messico, anni ’40. Lee trascorre le proprie giornate tra alcol e droga nei locali della capitale messicana, quando incontra e si invaghisce del giovane Allerton.
A chi è consigliato? A chi ha letto (o ha intenzione di leggere) il romanzo di William S. Burroughs su cui il film si basa.
Queer, il nuovo film di Luca Guadagnino in concorso all’81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, rappresenta un audace tentativo di trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di William S. Burroughs. Con un cast stellare che include Daniel Craig, Drew Starkey, Lesley Manville e Jason Schwartzman, Guadagnino si addentra ancora una volta in un mondo complesso e stratificato, già esplorato in precedenza con opere come Chiamami col tuo nome e Bones and All.
Un Mezcal, por favor!
Lee (Daniel Craig), un uomo di mezza età disilluso e segnato dalla vita, trascorre la propria giornata tra i bar di Città del Messico, bevendo e rivolgendo le proprie attenzioni ossessive verso giovani uomini. Attenzioni che, un giorno, si focalizzano su Eugene Allerton (Drew Starkey), un americano enigmatico e sfuggente per il quale Lee inizia presto a provare un’ossessione inarrestabile che lo spinge – molto spesso invano – ad avvicinarsi al ragazzo. Nonostante i suoi goffi tentativi, l’uomo riesce a insinuarsi nella vita di Allerton, e i due partono per un viaggio in Amazzonia, dove la ricerca dello yagé, una radice dalle proprietà psicoattive, diventa simbolo della disperata ricerca di Lee per il controllo e l’evasione dalla sua soffocante realtà.
Una storia d’amore (unilaterale)
Queer può essere visto come una storia d’amore, ma è un amore unilaterale, carico di ambiguità e incertezze: lo spettatore, infatti, non è mai sicuro se entrambe le parti siano davvero consenzienti, creando in questo modo un costante senso di tensione e dubbio. Lo stesso desiderio – spesso inespresso – da parte del protagonista, viene trasmesso magistralmente attraverso immagini sfocate, in cui vediamo Lee compiere gesti che non osa poi in realtà attuare verso Allerton, l’oggetto della sua passione. Questa scelta stilistica riflette l’insoddisfazione, la rabbia e l’amarezza che pervadono l’intera vicenda.
Dal momento in cui il personaggio interpretato da Daniel Craig vede il giovane, è amore a prima vista, anche se lui stesso fatica a riconoscerlo all’inizio; ma, sebbene Allerton alla fine ceda alla crescente ricerca della sua compagnia da parte dell’uomo, il loro rapporto rimane ambiguo e intriso di manipolazione e incomprensioni, con il giovane che sembra sfruttare i sentimenti di Lee per ottenere ciò che desidera. Il film finisce così per esplorare le agonie di un amore non corrisposto, trasformandosi in un racconto di desiderio ossessivo e del dolore che da esso deriva.
Dal romanzo al film, un senso di disprezzo
Il film di Luca Guadagnino riflette fedelmente l’epoca in cui è stato scritto il romanzo omonimo di William S. Burroughs, da cui trae ispirazione. Scritto nel 1952 ma pubblicato solo nel 1985, il libro era considerato troppo scandaloso e controverso per l’epoca, a causa dei suoi contenuti espliciti e delle descrizioni dispregiative nei confronti di omosessuali e messicani. Questo tono di disprezzo che permea la narrazione non è solo un riflesso degli atteggiamenti del tempo, ma anche un’espressione dei complicati sentimenti dell’autore stesso, caratterizzati da una profonda tristezza e disistima di sé.
Guadagnino cattura questa atmosfera nel film, facendo emergere il senso di alienazione e dolore del protagonista, Lee, il cui comportamento spesso viene interpretato superficialmente come predatorio e “pervertito” (termine che lui stesso utilizza) ma che, in realtà, nasconde un uomo disperato alla ricerca di una connessione umana, una ricerca che lo porta a usare il sesso come un mezzo per colmare il vuoto della sua solitudine. In questo senso, il disprezzo e l’odio di sé diventano elementi centrali, dipingendo un ritratto dolorosamente autentico di un outsider che non riesce a trovare il proprio posto nel mondo.
Controllo e libertà
Nel film, il tema del controllo emerge in modo potente e complesso, intrecciando le vite dei protagonisti in un gioco di desideri repressi e libertà negate. Da una parte, Lee lotta per controllare la sua dipendenza dalle droghe e la sua ossessiva ricerca di soddisfazione sessuale, una battaglia che si intreccia con la difficile accettazione di sé; in questo senso, il suo bisogno di controllo riflette un tentativo di imporre ordine su una vita segnata dal caos interiore. Dall’altra parte, Allerton incarna una resistenza feroce a qualsiasi forma di restrizione o etichettatura: non tollera alcuna imposizione, rifiutando ogni pretesa sul suo tempo o sulla sua identità. Questo contrasto tra il bisogno di controllo di Lee e la libertà incontrollata di Allerton crea una tensione costante, dove l’incapacità di definire o possedere l’altro diventa una fonte di frustrazione e conflitto.
Allucinatorio
Queer scivola gradualmente in una dimensione allucinatoria che riflette le vicende biografiche di William S. Burroughs, autore del romanzo omonimo. Questi elementi onirici e visionari, che emergono con forza in particolare verso la fine del lungometraggio, rappresentano una proiezione delle esperienze personali di Burroughs, intrise di dolore e alienazione. Sebbene la scelta di Guadagnino di incorporare queste immagini sia comprensibile e necessaria per la profondità del racconto, essa potrebbe lasciare molti spettatori disorientati, poiché non è immediatamente accessibile. La narrazione, che inizia con un tono realistico, si trasforma progressivamente in un labirinto allucinatorio, dove ogni esperienza diventa sfuggente e confusa, quasi come la foresta amazzonica in cui i protagonisti si perdono.
Nel film, pian piano tutto diventa instabile e indefinito, dal giudizio morale al rapporto con la realtà, fino alla rappresentazione dei cliché omosessuali e delle terre esotiche. Guadagnino crea così un’opera che egli stesso considera la più audace e astratta, sospesa tra fantasie, allucinazioni e un’inquietante realtà.
La recensione in breve
Il regista, con la sua visione unica, riesce nella trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di William S. Burroughs, creando quello che lui stesso definisce il suo film più esplicito, audace e astratto. Tuttavia, l'eccesso di fantasia e allucinazione potrebbe risultare disorientante per chi non è familiare con le opere di Burroughs, rendendo il film a tratti incomprensibile per il pubblico.
Pro
- Si tratta di un'opera audace
- Daniel Craig perfettamente calato nel ruolo
Contro
- Può risultare a tratti indecifrabile per il pubblico
- Voto CinemaSerieTV