Il film: Senza santi in paradiso, 2013. Regia: David Lowery. Cast: Casey Affleck, Rooney Mara, Ben Foster, Rami Malek, Keith Carradine, Charles Baker, Nate Parker. Genere: Drammatico. Durata: 105 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Netflix, in lingua originale.
Trama: Un criminale, catturato dalla polizia, fugge dal carcere e va alla ricerca della propria amata e della figlia che non ha mai conosciuto, ma scopre che lei ha deciso di lasciarsi il passato alle spalle.
A chi è consigliato? A chi vuole conoscere le sfumature del western atipico, quello in cui bisogna riconquistarsi, in cui l’azione è un’universo romantico e le distanze geografiche sono quelle tra corpi.
Con il suo terzo lungometraggio, Senza santi in paradiso, uscito nel 2013 e disponibile ora per lo streaming su Netflix, David Lowery procede a una decostruzione dei generi molto interessante. Evita il thriller nonostante abbia tutti gli strumenti e le situazioni che potrebbero dare vita a uno sguardo classico su di esso; a tratti ricorda Bonnie & Clyde, ma siamo (quasi) sempre nella calma dopo una violenta tempesta che funge da prologo. Alla fine, tutto sembra imperniarsi su una concezione del western, che prende le forme di quest’ultimo per parlarci di perdita, redenzione, espiazione e ricongiungimento. Come vedremo in questa recensione di Senza santi in paradiso, Il fuorilegge che torna a casa, lo sceriffo innamorato, la madre che aspetta a casa dibattendo se seguire la testa o il cuore: l’interrelazione tra questi personaggi costruisce un thriller intrigante sulla antitesi tra l’impulso criminale, così romantico e giovanile, e la vita in regola, così ferma e adulta.
Corpi western, forse non santi, ma evanescenti
Bob (Casey Affleck) e Ruth (Rooney Mara) sono una giovane coppia in fuga negli anni Settanta. Innamorati e felici, sopravvivono commettendo crimini, ignari dei pericoli di una vita al di fuori della legge. Un giorno Ruth uccide accidentalmente uno dei poliziotti che li inseguono: Bob si prende la colpa e viene arrestato. Quattro anni dopo, incapace di sopportare la separazione dalla moglie e dalla figlia, che non ha mai conosciuto, Bob evade dal carcere con un solo obiettivo: riaverle. La storia è quella di un triangolo affettivo tra persone che si cercano e si aspettano. Bob è un fuggitivo che vuole tornare dalla moglie e incontrare la figlia che hanno avuto quattro anni prima, e per questo scappa. La moglie, Ruth, è combattuta tra l’amore per il marito che le ricorda la loro precedente vita criminale e il suo nuovo ruolo di madre di una bambina. Infine, c’è un poliziotto che aspetta il ritorno di Bob per regolare i conti di un incidente avvenuto anni prima con la coppia criminale in cui è rimasto ferito, dando la colpa all’ormai fuggitivo.
Una trama di base molto semplice, dato che il regista è più interessato alle sensazioni che può emanare la sua storia, in particolare un aroma di sconfitta o fatalismo che permea tutto fin dall’inizio, aiutato da un’eccellente fotografia cruda che esemplifica le anime tormentate dei personaggi. Se c’è una cosa che aleggia in tutto il film è la “perdita” in ogni sua espressione: capiamo che in una storia a tre qualcuno deve essere sconfitto. Il dramma è costante, aiutato dal filo conduttore della storia: la storia d’amore tra Bob (Casey Affleck) e Ruth (la meravigliosa Rooney Mara). Curiosamente, i due condividono a malapena una manciata di inquadrature insieme, ma è tale la forza che la storia trasmette grazie a strumenti che non si trovano in una sceneggiatura che comprendiamo e temiamo il ricongiungimento.
L’azione sta nel romanticismo “a distanza”
Lowery si avvicina al genere western per raccontare una storia di amore impossibile, evocando le odissee dei fuggitivi dalla giustizia: mesto e lirico in egual misura, certamente non perfetto, ma interessante. Così presentato, Senza santi in paradiso sembra promettere un film d’azione nel senso più ovvio del termine: una successione di avventure a ritmo frenetico, con il romanticismo un po’ offuscato dal movimento impetuoso dell’avventura, del sangue, delle pallottole e degli inseguimenti in auto. Ma David Lowery non tarda a capovolgere le aspettative del pubblico. Le pallottole, il sangue e gli inseguimenti sono presenti, ma come accessori di un dramma che si prende il tempo di svolgersi, nonostante l’urgenza che dovrebbe regnare sovrana. Il romanticismo è assolutamente pervasivo, al punto che sembra ostacolare lo scorrere dell’avventura con le sue dolorose ossessioni: la mancanza, l’attesa, il dilemma di antiche tragedie che fa esitare Ruth tra la ragione e il cuore – fuggire da Bob e preservare l’equilibrio della figlia, o andargli incontro.
Casey Affleck: l’ombra del moderno texano
Non è quindi all’ombra di Bonnie e Clyde che sono nati questi due amanti incrociati, ma piuttosto sulla scia de L’assassinio di Jesse James da parte del codardo Robert Ford (2007), il cui regista, Andrew Dominik, ha preferito il viaggio nella psiche tormentata del famoso bandito alla cronaca dei suoi famosi misfatti. Il ruolo da protagonista di Casey Affleck in questi due film non è affatto l’unico punto di convergenza. C’è la stessa raffinatezza nelle immagini, lo stesso uso prezioso della luce, gli stessi cieli alla Turner sotto i quali le storie dei singoli sembrano assumere lentamente proporzioni epiche. Si parla poco, perché gli aridi personaggi che emergono non hanno bisogno di oratoria e infestano il lusso un po’ snob dell’inquadratura con i loro gesti troppo bruschi.
La recensione in breve
Senza santi in paradiso non si nutre solo di piacere formale che potrebbe evocare Jeff Nichols o Terrence Malick (registi a cui Lowery fa riferimento più di una volta), ma è anche, e soprattutto, un'ode all'amore nella sua massima vitalità.
Pro
- Propone un'idea intrigante di revisione del western
- L'equilibrio con cui Lowery fa sentire questi amanti così vicini, pur se lontanissimi
Contro
- Il ritmo "contemplativo" potrebbe allontanare alcuni spettatori
- Difficile entrare in empatia con personaggi che percepiamo così lontani
- Voto CinemaSerieTv