Il film: Stavamo bene insieme, 2022. Regia: Mattia Molinari.Cast: Massimo Ambrosini, Gennaro Gattuso, Filippo Inzaghi, Paolo Maldini, Alessandro Nesta, Andrea Pirlo. Genere: Documentario. Durata: 96 minuti. Dove l’abbiamo visto: su DAZN.
Trama: Il racconto del Milan di Carlo Ancelotti dal 2001 al 2007, da Manchester ad Atene, nel dialogo tra sei dei cosiddetti ‘Meravigliosi’ protagonisti di un’epoca leggendaria, nel segno delle grandi notti di Champions League.
C’è qualcosa che accomuna epoche diverse, vittorie diverse, gruppi diversi. A maggio il Milan è tornato a vincere lo scudetto a distanza di undici anni da quell’ultimo rigurgito di quell’ultimo grande gruppo rossonero dell’epopea berlusconiana. L’affiatamento della squadra ha fatto la differenza, e si è ripetuto in questi mesi. Se tutto questo è vero, il terzo grande Milan di Berlusconi, guidato da Carlo Ancelotti, su questa filosofia ha costruito un ciclo di trionfi, di cadute clamorose e rivincite insperate. Riviviamo il grande Milan di Ancelotti nella recensione di Stavamo bene insieme.
Stavamo bene insieme, la trama: romanzo rossonero
Il ventre di San Siro a far da cornice. Al centro sei amici. Un passato da compagni di giochi. Si ritrovano finalmente insieme dopo tanti anni, dopo parecchie gioie e qualche delusione. Il narratore è Massimo Ambrosini. L’ex 23 rossonero è il cantastorie principale, affiancato dal mentore del racconto: Paolo Maldini. La chiacchierata con la spina dorsale di quella squadra, da Nesta a Gattuso, da Pirlo a Inzaghi sembra isolarli dal mondo, e lasciare fuori noi spettatori e tifosi da quel cerchio, impegnati a osservarli beatamente, come fedeli in adorazione.
Intervallato da guest star d’eccezione come il leader di quella truppa, Carlo Ancelotti, i grandi rivali Gigi Buffon Rafa Benítez, e la presenza protettiva di Adriano Galliani, Stavamo bene insieme svela ciò che è stato in realtà il Milan dei Meravigliosi: un esempio calibrato di letteratura sportiva contemporanea, un romanzo rossonero da aggiungere alla già nutrita libreria di racconti di questa gloriosa società. Diviso in tre tappe, tre capitoli che consegnano quel Milan alla leggenda del calcio europeo e che si potrebbero riassumere in tre atti vissuti da un protagonista qualsiasi di un romanzo qualsiasi. L’Ascesa (Manchester 2003), la Caduta (Istanbul 2005) e la Rinascita (Atene 2007). Ma questo non è un romanzo qualsiasi, è un romanzo rossonero. Dal sogno all’incubo fino alla rivincita. Perché dopo Istanbul c’è sempre Atene.
Ascesa (Manchester 2003)
“Tutto parte quando lui sbaglia il rigore a Torino” afferma Ambrosini indicando Inzaghi. Il 4 novembre 2001 il Milan di Fatih Terim vive di picchi clamorosi e cadute improvvise. Il momento è delicato e nella trasferta contro i granata Inzaghi, uno dei fiori all’occhiello del calciomercato estivo, sbaglia il rigore decisivo. Il giorno dopo Galliani convince il presidente Berlusconi a cambiare allenatore. “Via l’Imperatore turco. Proviamo con Ancelotti”, esclama il Condor.
L’eroe del 5-0 al Real Madrid del Milan di Sacchi, grimaldello imprescindibile nello scacchiere dell’undici rossonero degli Immortali, Carlo Ancelotti, è in procinto di tornare a Parma dopo il biennio juventino avaro di trofei ma ricco di punti, ben 144 in soli due campionati.
Davanti a una colazione ricca di pane, salame, culatello e Lambrusco, Galliani sente che il richiamo del Milan per Carletto è troppo forte. A Milanello Ancelotti torna a distanza di anni e trova una situazione complicata, ma rimette in carreggiata la squadra, qualificandola ai preliminari della Champions 2002-2003.
Spesso sulla carta sono le partite meno complicate a togliere la maschera e rivelare il volto dell’imprevisto. Per quel Milan il primo ‘sliding door’ si chiama Slovan Liberec, modesta compagine ceca.
“Al 90° abbiamo rischiato di uscire” ricorda Gattuso. Sarà una costante del Milan di Ancelotti, come se il pegno da pagare per cotanto talento sia una sofferenza inaudita in determinati decisivi frangenti della stagione. Il dettame societario è far convivere tutta quella classe presente in rosa. Ancelotti segue l’intuizione di Mazzone a Brescia e plasma il suo primo Milan: Pirlo davanti alla difesa, Seedorf al suo fianco, Rui Costa dietro le due punte. Tre numeri 10 in campo e dietro, in coppia con il Capitano, il coup de théâtre di Galliani nei giorni del Condor: il capitano della Lazio Alessandro Nesta. Slovan Liberec eliminato con qualche patema, Milan ai gironi di Champions e il centrale più forte d’Europa in difesa. Da quel momento inizia una campagna europea d’altri tempi. Da Madrid a Dortmund, da Lens a Monaco di Baviera, un viaggio internazionale che conferma il grande appeal rossonero nella cosiddetta Coppa dalle Grandi Orecchie. L’epilogo è di quelli da raccontare ai propri nipotini. La tensione della doppia sfida in semifinale con l’Inter e la finale nel Teatro dei Sogni, l’Old Trafford, contro la rivale di sempre perennemente ossessionata da quel trofeo: la Juventus. Il disegno è completo. Il segreto? “A noi piaceva andare in ritiro” ricorda Superpippo. La forza del gruppo, la coesione di uno spogliatoio dove le ritrovi? In quell’immagine di Shevchenko, cerbiatto impazzito che corre verso l’abbraccio della pantera, Nelson Dida, prima di lasciarsi cadere nel prato di Manchester. È nato un altro grande Milan.
Caduta (Istanbul 2005)
Nella chiacchierata tra i sei Meravigliosi emerge l’eccellenza di una società che dopo ogni traguardo raggiunto volta pagina e aumenta le ambizioni. Gattuso e Nesta sottolineano la solidità della dirigenza rossonera, Pirlo rimarca soprattutto l’importanza dei protagonisti che formavano quel team. La differenza tra una società come tante e una grande società pare che si noti nelle tragedie sportive. E di tragedie sportive come quella consumatasi a Istanbul nel 2005 ne esistono davvero poche.
Il Milan 2004-2005 è reduce da un campionato dominato e un piccolo grande shock: la clamorosa eliminazione ai quarti con il Deportivo nella Champions affrontata da campioni d’Europa. Una prima caduta improvvisa che impedisce al Milan di bissare il successo continentale. Rimane l’amaro in bocca, perché la coppa se la contenderanno Porto e Monaco…
Nell’estate 2004, fresco di 17° scudetto, il Milan completa i tasselli mancanti di un puzzle che sulla carta sembra perfetto: Stam in difesa e Crespo in attacco si aggiungono al veterano Cafu e al giovane Kakà, approdati a Milanello l’anno precedente. Sembrava Gianni Morandi, scherza Nesta. Ancelotti lo riassume perfettamente: “Non lo conoscevo molto. Quando piano, piano ha cominciato… Era arrivato il giocatore moderno. Per il calcio del futuro. Per me Kakà è stato quello. Ha fatto vedere come doveva essere il trequartista moderno”.
Un Milan costruito per tornare sul tetto d’Europa, costruito per la coppa. “Secondo me per la squadra che eravamo abbiamo vinto poco” ammette Pirlo. E in effetti la sensazione che le vittorie di quel Milan potessero essere maggiori serpeggia oggi nei commenti dei tifosi e degli stessi giocatori. La stagione 2004-2005 è forse la dimostrazione tangibile e dolorosa di questo tarlo milanista. Dopo un’agevole Supercoppa Italiana d’inizio stagione, l’annata procede parallela e dispendiosa su due binari, senza sosta: il duello in campionato con la Juventus, vinto di misura (e poi revocato) dai bianconeri con la rete di Trezeguet a San Siro, e l’amata Champions. Lo show di Crespo con il Manchester United, la rivincita molto più agevole con l’Inter, segnata dal petardo lanciato verso Dida, e lo stregato atto conclusivo. Il goal di Maldini dopo pochi secondi, la doppietta del Valdanito e poi quei sei maledetti minuti. La miglior finale giocata dal Milan di Ancelotti diventa un incubo, un tonfo storico che lascia strascichi nel cuore dei giocatori. Siamo ad uno snodo della storia, ed è proprio qui che quella frase, stavamo bene insieme, assume un’importanza mai raggiunta prima. Il romanzo non è ancora finito. Per certi versi, è appena cominciato.
Rinascita (Atene 2007)
Dal possibile paradiso alla fine del primo tempo di Milan-Liverpool, finale di Champions League 2005, all’inferno di un biennio successivo che il Milan di Ancelotti conclude scrivendo un finale poetico ma che nel percorso incontra diversi ostacoli.
I postumi della disfatta di Istanbul si traducono in un’eliminazione con il Barcellona nella stagione seguente, che il Milan conduce su ottimi livelli pur cedendo la vetta del campionato alla Juventus ma da cui traspare una sorta di inevitabile periodo di riabilitazione da scontare per l’incidente dell’Atatürk.
L’estate 2006 è una delle più traumatiche, nel bene e nel male, del calcio italiano. La storica vittoria al campionato del mondo in Germania è vissuta nell’apnea generata dall’esplosione dello scandalo di Calciopoli, che rivoluzionerà le gerarchie della Serie A negli anni successivi.
La retrocessione della Juventus in Serie B e la penalizzazione del Milan e delle altre squadre coinvolte inevitabilmente condiziona l’avvio della stagione, che i rossoneri vivono orfani anche di Shevchenko, emigrato in terra londinese. Al Milan il permesso di partecipare alla Champions League partendo dai preliminari. Avversario: Stella Rossa di Belgrado.
Le parole di Filippo Inzaghi fotografano alla perfezione ciò che accadde in quel periodo, quando Galliani lo richiama in fretta e furia il 9 agosto a Milanello. C’è un preliminare da giocare: “Ero appena sbarcato in Sardegna [per le vacanze dopo la vittoria del Mondiale]. Ho fatto girare il taxi e sono andato a prendere l’aereo. […] Ma se penso che il giorno del mio compleanno abbiamo giocato qui [San Siro], 70.000 persone, e poi da lì è arrivata Atene”. Sì, perché quel Milan appesantito dalla penalizzazione, infortuni e addii vari, stenta in campionato, cedendo il passo all’Inter di Roberto Mancini uscita rafforzata dalle conseguenze di Calciopoli, ma orchestrando comunque uno sgarbo fastidioso come l’acquisto di Ronaldo (il Fenomeno) dal Real, ormai già in fase decadente, utile per un’illusione nel derby e per la rincorsa in zona Europa in primavera. Una rincorsa che viene dolcemente vanificata da un percorso europeo affascinante. Seppur logoro e meno brillante rispetto al 2005, il Milan versione 2007 conferma la sua qualità migliore: la mentalità. Un gruppo vincente che sente il profumo di un ritorno inaspettato. Come se avesse organizzato un appuntamento con la sua storica fiamma mai dimenticata, la squadra rossonera costruisce un capolavoro a tappe che passa dall’impresa a Monaco di Baviera e da un match praticamente perfetto. Sotto la pioggia battente di Milano, i rossoneri schiantano il Manchester United di Sir Alex Ferguson e ribaltano il risultato sfavorevole dell’andata, che rimarrà nella storia per quell’autoscontro provocato da Ricardo Izecson dos Santos Leite, futuro Pallone d’Oro.
Il romanzo rossonero si conclude ad Atene, nella stessa città in cui il Milan di Capello entrò nella leggenda tredici anni prima. Davanti, l’antagonista principale, mai affrontato ad Anfield ma solo in campo neutro, da finale. Il cerchio aperto involontariamente da Filippo Inzaghi in quella fredda sera torinese del novembre 2001 è chiuso proprio da Superpippo il 23 maggio 2007. Frenato da acciacchi e problemi fisici, Inzaghi raccoglie l’assist di Carlo Ancelotti in panchina e di Kakà e Pirlo in campo, e riporta il Milan sul tetto d’Europa. La rinascita è compiuta. E tutti, lì in mezzo al prato dello Stadio Olimpico di Atene ora si guardano negli occhi colmi di lacrime e sembrano ripetersi che sì, siamo stati proprio bene insieme.
Conclusioni
Stavamo bene insieme è il racconto di un'epoca sportiva che ha visto il Milan di Carlo Ancelotti protagonista in Italia e in Europa. Il docufilm di DAZN si affida ai ricordi di sei protagonisti di quei successi per sviscerare quell'altalena di emozioni condivise che hanno reso speciale quel gruppo ricco di cuore e talento.
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Voto CinemaSerieTV