Il film: The Outfit, 2022. Regia: Graham Moore. Cast: Mark Rylance, Zoey Deutch, Johnny Flynn, Dylan O’Brien, Nikki Amuka-Bird, Simon Russell Beale. Genere: Crime, drammatico, thriller. Durata: 106 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Netflix
Trama: Chicago. 1956. Leonard (Rylance) è un sarto inglese che produceva abiti nella famosa Savile Row di Londra. Dopo una tragedia personale finisce a Chicago, dove lavora in una piccola sartoria in una zona malfamata della città e confeziona abiti eleganti per le uniche persone che possono permetterseli: una famiglia di gangster. Questa famiglia di gangster cercherà di approfittare del carattere gentile e accomodante di Leonard, che insieme alla sua assistente Mable (Zoey Deutch) si troverà coinvolto con la mafia in modo sempre più grave.
A chi è consigliato? Agli appassionati dei noir vecchio stampo, che amano crogiolarsi nel comfort della suspense.
C’è un motivo per cui gli adattamenti cinematografici dei romanzi di Arthur Conan Doyle continuano a essere realizzati: non importa quanto tempo passi, la gente non ne ha mai abbastanza di un classico giallo vecchio stile. Anche se queste storie assumono molte forme, la loro formula classica, piena di rivelazioni, diffidenza e divertenti monologhi espositivi, è ben nota a tutti e non manca mai di affascinare; un grande esempio recente è il brillante Cena con delitto – Knives Out. Non sorprende quindi che Graham Moore, fan di Sherlock Holmes, nel 2022 abbia confezionato con The Outfit, una storia squisita che soddisferà tutti gli amanti del giallo.
Come vedremo nella nostra recensione di The Outfit, quello di Graham Moore è un film alla vecchia maniera, che racconta un dramma criminale in uno stile classico ed elegante, come un abito cucito su misura. Una storia disegnata dai dettagli, dai primi piani, dalle interpretazioni dei personaggi e dai dialoghi che ne esaltano lo sviluppo. In questo primo lungometraggio di Graham Moore la trama è configurata come i pezzi di un abito su misura. Allo stesso modo, il risultato finale è simile a un abito di sartoria: classico, elegante, sobrio e modesto.
The Outfit, un negozio particolare
Ambientato nel 1956, racconta la storia di Leonard, un sarto inglese che si è ritirato a Chicago dopo la guerra. Lì gestisce un negozio di abiti frequentato soprattutto dalla famiglia mafiosa dei Boyle. Leonard non se ne fa un problema perché sono i suoi migliori clienti, ma nel suo negozio è stata installata una cassetta della posta dove questi uomini si scambiano lettere in codice e pacchetti segreti. In sostanza, Leonard è un complice inconsapevole che evita di farsi coinvolgere in questi affari.
La situazione cambia drasticamente quando una notte Ritchie Boyle (Dylan O’Brien), il figlio maggiore del boss, entra nel negozio insieme al suo braccio destro Francis (Johnny Flynn), dopo essere stato ferito da una pallottola. Da quel momento, vari personaggi entrano in scena. Leonard si ritrova improvvisamente al centro di un complesso gioco di potere che coinvolge l’FBI, il boss mafioso Roy Boyle, la famiglia mafiosa rivale dei Lafontaine e la sua stessa receptionist, che, come lui, è completamente ignara del mondo pericoloso che ha appena varcato la porta.
Il film inizia con un monologo di Leonard, che si presenta al pubblico impegnato nella creazione di un abito: lo vediamo prendere le misure, tagliare il tessuto e iniziare a cucire. La sua voce fuori campo spiega che molte persone vedono un abito come un semplice capo a due pezzi, ma in realtà è molto più complesso: è composto da cinque tessuti diversi, oltre 40 tagli e varie cuciture. Le immagini evidenziano la delicatezza e la precisione con cui l’abito viene realizzato, riflettendo la stessa cura e meticolosità con cui è stato costruito il film.
Effettivamente, in The Outfit, ogni taglio di montaggio è come un taglio nel tessuto, ogni fotogramma è un pezzo pronto per essere unito a un altro, e ogni cucitura è come un dialogo che unisce tutti i pezzi del puzzle. Non si tratta solo di una semplice analogia tra il film e la confezione di un vestito; l’intera azione del film si svolge in un unico luogo e sono i dettagli a costruire il conflitto.
The Outfit è un noir realizzato alla vecchia maniera: l’azione si sviluppa in un’unica location con tre ambienti distinti: la reception del negozio, il camerino e la saletta sul retro dove Leonard cuce. La trama, formale ma ricca di colpi di scena, si svela gradualmente e i personaggi vengono introdotti uno alla volta, come in una sfilata di moda. Al centro della storia c’è sempre Leonard, ma sono le incognite che emergono al momento giusto a costruire la tensione e portare al climax del film.
Un noir cucito come un abito
Il film fa ampio affidamento sulla macchina da presa di Dick Pope (The Illusionist, 2006). Il veterano della fotografia riesce a catturare lo stesso spazio in molteplici modi senza risultare ripetitivo, esaltando le tese conversazioni e i dibattiti tra i personaggi con inquadrature che trasmettono una suspense costante. Naturalmente, nulla funzionerebbe senza le interpretazioni del cast: in particolare, è Mark Rylance a offrire una performance eccezonale. Il suo sarto è rispettoso, ma non timido; autoritario nei momenti giusti, ma mai eccessivo: un’interpretazione sobria, basata sul ritmo dei dialoghi e sulla sottigliezza dei movimenti.
Sono le entrate e le uscite dei personaggi di The Outfit a delineare trappole e sotterfugi nell’intrigo, spingendo lo spettatore a immaginare la Chicago degli anni ’50 attraverso i dialoghi e ciò che si intravede attraverso porte e finestre. La manipolazione della luce, caratteristica del film noir, proviene sempre da fonti interne all’universo del film, creando una sottile e coinvolgente complicità con lo spettatore per tutta la durata della pellicola, poco meno di due ore. Sono le piccole azioni del protagonista a far scattare colpi di scena, tra dialoghi che avvolgono e sconcertano, aprendo varchi inaspettati e mutando la percezione degli atteggiamenti dei personaggi, tra cui spicca la femme fatale della splendida Zoey Deutch.
Uno stile teatrale convincente
Come un sarto taglia un abito su misura, così il regista intesse una storia che sin dall’inizio del film avverte lo spettatore che sarà un puzzle di pezzi diversi. Questi pezzi, apparentemente disconnessi, trovano coesione quando sono cuciti insieme, creando un senso che potrebbe non essere quello atteso, ma che alla fine veste tutti i protagonisti di questo gioco di inganni. In questo contesto, il potere delle parole primeggia su quello delle pallottole. The Outfit potrebbe forse eccedere con i troppi colpi di scena nel tratto finale, ma brilla per il suo stile teatrale convincente. Utilizza la suspense in modo magistrale, dimostrando che meno (come un semplice cappotto o una cassa) può essere di più. The Outfit ci ricorda i grandi classici del crimine degli anni ’30 e ’40, opere che intrecciano storie in media res, utilizzando un’economia narrativa esemplare per ricordarci che una buona storia non ha bisogno di grandi esterni o spettacoli, ma piuttosto di fiducia nello spettatore e di script ben scritti e interpretati.
La recensione in breve
The Outfit fa un ottimo uso delle sue risorse per dare vita a una storia coinvolgente e piena di intrighi. Gli appassionati di thriller classici lo troveranno una buona fonte di divertimento e suspense, raffinata come i costumi disegnati dal suo protagonista, un fantastico Mark Rylance.
Pro
- Magnifiche interpretazioni
- Un tessuto narrativo preciso e che prende forma come un completo di sartroria
Contro
- Potrebbe funzionare meglio come dramma teatrale
- Un ritmo pacato che potrebbe non conquistare tutti
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Voto CinemaSerieTv