Il film: Three Kilometers to the End of the World (Trei Kilometri Pana La Capatul Lumii), 2024. Regia: Emanuel Parvu. Cast: Ciprian Chiujdea, Laura Vasiliu, Bogdan Dumitrache, Ingrid Micu-Berescu, Valeriu Andriuță e Adrian Titieni. Genere: Drammatico. Durata: 105 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: La tranquilla vita di un villaggio isolano del Delta del Danubio viene sconvolta in seguito all’aggressione del diciassettenne Adi.
A chi è consigliato? Agli appassionati di cinema europeo e in particolare della new wave rumena. O semplicemente a chi cerca un film solido, ben scritto e ben recitato.
Presentato al Festival di Cannes 2024, Three Kilometers to the End of the World, terza opera del regista rumeno Emanuel Pârvu, è un dramma doloroso e intenso ambientato nel remoto Delta del Danubio. Il film racconta la storia di una famiglia e di una comunità devastate dall’ignoranza e dall’intolleranza, portando alla luce le dinamiche repressive e le profonde ferite causate da un attacco omofobo. Con uno stile narrativo molto fedele alla new wave rumena i- che salì alla ribalta proprio a Cannes nel 2006 con la Palma d’oro a Cristian Mungiu – Pârvu crea un’opera che colpisce per la sua forza emotiva e sociale.
Un dramma di disperazione e ignoranza
La trama si concentra su Adi, un ragazzo di 17 anni tornato per l’estate nel piccolo villaggio natale, che vede la sua vita idilliaca trasformarsi in un incubo dopo essere stato brutalmente picchiato. Questo attacco, motivato dall’omosessualità di Adi, svela la crudeltà e l’intolleranza nascosta in ogni parte della sua piccola comunità. Il padre di Adi, Dragoi, inizialmente cerca giustizia, ma si scontra con la corruzione e i pregiudizi radicati nelle istituzioni locali. La madre, disperata, si rivolge al clero per un’esorcismo anti-gay, intensificando ulteriormente la sofferenza del figlio.
La sceneggiatura di Pârvu è intelligentemente costruita per smascherare, pian piano, scena dopo scena, le ipocrisie e le contraddizioni di un villaggio isolato nel Delta del Danubio. Nonostante la sua vicinanza geografica al cuore della Romania e all’Europa, questo luogo appare lontanissimo per mentalità e apertura. Il regista, tuttavia, riesce a rendere la narrazione universale, offrendo una critica che parla all’intera società rumena e abbraccia ogni istituzione: la famiglia, la chiesa, la giustizia. Nulla e nessuno si salva dall’ignoranza, dalla corruzione e dalle dinamiche di repressione e negazione che permeano la cultura del paese. Nessuno tranne la vittima dell’aggressione, la cui versione però non ascolteremo mai.
Oltre l’orizzonte
La regia di Three Kilometers to the End of the World si integra perfettamente nello stile distintivo del cinema rumeno contemporaneo: con la sua predilezione per la camera fissa, i lunghi piani sequenza e la ricerca della naturalezza. Questo approccio mette in luce in modo incisivo l’ignoranza e la paura che permeano tutti i personaggi, espandendo continuamente il loro impatto sulla narrazione.
La fotografia del film, magistralmente curata da Silviu Stavilă, cattura la bellezza e l’isolamento del Delta del Danubio, creando un contrasto potente con gli eventi narrati e i personaggi che li abitano. Le ampie vedute del paesaggio naturale, con i loro cieli tersi e gli orizzonti aperti, amplificano ulteriormente la chiusura mentale e l’oscurità morale della comunità. Ma è nelle interpretazioni degli attori, tutte straordinarie – in particolare il giovane Chiujdea, che offre una performance silenziosa ma potente, e Dumitrache, che incarna un padre consumato dalla vergogna e dalla rabbia – che il film raggiunge la sua piena realizzazione.
Three Kilometers to the End of the World emerge come un film solido in ogni aspetto, evidenziando una notevole abilità nel narrare storie complesse e profondamente umane. Sebbene possa, e debba, essere considerato derivativo (e quindi anche meno rilevante) rispetto alle precedenti opere di Mungiu o Puiu e altri grandi registi che proprio a Cannes hanno reso grande il cinema rumeno, il film brilla per la sua coerenza e la sua forza narrativa, lasciando lo spettatore immerso in un turbine di emozioni e riflessioni durature.
La recensione in breve
Pur partendo dalle vicende di un piccolo villaggio, Emanuel Pârvu riesce a raccontare una storia universale, offrendo una critica incisiva alla società rumena contemporanea. Il film è ben scritto, ben recitato e ben diretto: perfetto esempio di come, pur lontano dai fasti del passato, il cinema rumeno contemporaneo possa ancora offrire tanto.
Pro
- Una regia asciutta che valorizza al meglio l'ottima scrittura e le notevoli interpretazioni di tutto il cast.
- Lo stile tipico del cinema rumeno, che sprizza naturalezza e appassiona e coinvolge fin dalle prime scene.
- La scelta di non raccontare il punto di vista della vittima.
Contro
- Il film paga il suo essere derivativo e fin troppo debitore al cinema di MUngiu, Puiu e gli altri grandi registi della new wave rumena.
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Voto CinemaSerieTV