Il film: Weathering, 2023. Diretto da: Megalyn Echikunwoke.
Cast: Alexis Louder, Alfre Woodard, Jermaine Fowler, James Tupper. Genere: thriller psicologico, drammatico. Durata: 20 minuti
Dove l’abbiamo visto: su Netflix, in lingua originale.
Trama: La giornalista Jamine, dopo aver avuto un aborto improvviso, si ritrova al centro di eventi inspiegabili in cui qualcuno o qualcosa sembra perseguitarla.
Primo cortometraggio di Megalyn Echikunwoke, attrice nota soprattutto nel mondo della serialità televisiva, in questo progetto targato Netflix, Echikunwoke dà corpo a un thriller psicologico in cui la brevità del minutaggio è al servizio di una storia che, utilizzando elementi di genere, amplificano un messaggio che arriva in tutta la sua potenza.
Vediamo quindi di scoprire qualcosa di più in questa nostra recensione di Weathering.
La trama: la solitudine del lutto
Jamine è una giornalista di colore che ha appena avuto un aborto. Ricostruiamo l’evento tramite i ricordi frammentati e le voci di sottofondo che emergono nei suoi ricordi. Il padre ed ex compagno, Shawn, l’ha lasciata, e la donna si trova ad affrontare un presente tormentato da un passato che la attanaglia in ogni momento. Jamine non è stata creduta, quando ripeteva al padre del bambino che qualcosa non andava. Tornata nel suo appartamento, cerca di ripristinare una quotidianità fatta di esercizio fisico e di lavoro. Ma fra le pareti del suo appartamento, inizia ad avvertire una presenza, fino a quando non scorge una sagoma di cui non riesce a riconoscere il volto. I sintomi da stress post traumatico e le stranezze a cui assiste si mescolano in modo da rendere indistinguibili i primi dalle seconde. La sua solitudine opprimente, interrotta solo da due brevi visite, quella della madre e quella di un presunto amico, esasperano il senso di solitudine asfissiante in cui è immersa.
Il simbolo di una voce rimasta inascoltata
Quella di Jamine è la voce di una donna di colore che non è stata ascoltata. Prima dal compagno, poi dai medici e infine da un amico che, quando si presenta a casa sua, non solo invalida il suo stato d’animo non prendendo sul serio la sua angoscia, ma travisa convenientemente la paura dichiarata dall’amica leggendoci una richiesta di attenzione sessuale. Questi continui appelli inascoltati, sono gli appelli di una donna che incarna due categorie marginalizzate (quella di genere e quella di razza) che vengono lasciate sole coi propri mostri. Interessante la scelta di una protagonista (la brava ed efficace Alexis Louder) che, sia per fisicità che per attitudine emana una notevole solidità, ben lontana da ogni stereotipo di donna fragile e vittima di se stessa. Quello che appare in tutta chiarezza è che, nonostante l’indole personale e le proprie risorse, l’impatto che il contesto socioculturale ha sul personale può annientare l’autodeterminazione individuale e determinare conseguenze che trascendono la propria volontà
Il genere thriller come metafora
Non è la prima volta che il genere thriller/horror viene messo a servizio di metafore e allegorie. Senza andare a scomodare la poetica di Romero, recentemente il regista Jordan Peele ha egregiamente fornito esempi in film come Scappa – Get Out e Noi-Us. L’esordio della regista Megalyn Echikunwoke si inserisce in questo filone con un lungometraggio che sfrutta gli stilemi di genere per denunciare una solitudine che genera mostri. Che siano reali o frutto della propria mente poco importa, quel che conta è il punto di origine, e il punto di origine, in questo caso, è la somma di tutte le volte che la voce di una donna di colore è rimasta inascoltata.
La recensione in breve
Un lungometraggio che in poco meno di venti minuti indaga, attraverso il dramma di una giovane che perde il figlio in grembo, la condizione di solitudine in cui si ritrova una donna di colore durante un evento traumatico.
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