Liliana Segre ha commentato, in un’intervista dell’estate 2020, la sua personale esperienza con uno dei resoconti cinematografici più famosi dell’Olocausto ebreo: Schindler’s List – la lista di Schindler di Steven Spielberg. Segre, deportata ad Auschwitz a soli 13 anni nel 1944, ha detto: “Le comparse erano tutte belle ragazze, in carne. Noi eravamo scheletri. Ed è inverosimile che Schindler potesse far scendere dal treno un ebreo già chiuso dentro.”
Schindler’s List narra la vita di Oskar Schindler, imprenditore di origine ceca che salvò dallo sterminio nazista un migliaio di ebrei polacchi, assumendoli come operai nella sua azienda di stoviglie; nominato a 12 Premi Oscar, ne vincerà sette, tra cui Miglior Film, Miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, Miglior fotografia e Miglior montaggio. In un’intervista di qualche anno fa, Spielberg ha ricordato l’importanza di quelle vittorie, per sé ma anche per il valore della memoria collettiva: “Quella sera non c’era nulla da festeggiare… questo film non celebra nulla; l’argomento e l’impatto che questo lavoro ha avuto su di noi, ha tolto dall’equazione la possibilità di festeggiare; non mi ricordo più molto di quella sera, se non di aver supplicato il pubblico; ho pregato tutti gli insegnanti che erano davanti alla televisione, di insegnare l’Olocausto a scuola; si tratta di qualcosa di capitale importanza; dobbiamo insegnare questa storia.”
A proposito del film, Segre, poi, ricorda un aneddoto risalente alla prima del film, a Milano: “Ricordo che andai a una prima con le scuole, all’Odeon; nella scena in cui il nazista spara dal balcone, si levò un applauso. Fu terribile. Non ressi e me ne andai.”
Secondo Segre, non si tratta comunque di un atteggiamento troppo diffuso: “Rividi ‘Schindler’ s List’ più avanti, alle due del pomeriggio, in un cinema semivuoto. Per fortuna, grazie alle mie testimonianze, ho trovato altri ragazzi, con bravissimi insegnanti, che nel tempo hanno mostrato un ben diverso atteggiamento. A volte dopo anni mi incontrano e ricordano dettagli del mio racconto. Anche se fosse solo per uno di loro, ne è valsa la pena.”
Nella stessa intervista, Segre commenta anche brevemente un’altra opera molto nota che tratta il tema dell’Olocausto, La vita è bella di Roberto Benigni: “Non è un brutto film, ma non è realistico. Nessun bambino sarebbe potuto restare nascosto nel lager. Nessuna poteva comunicare con un altoparlante in un campo di sterminio. I bambini andavano subito al gas oppure erano vittime di terribili esperimenti. Benigni avrebbe dovuto dire che si trattava di una favola.”