Tra i massimi autori del moderno cinema giapponese troviamo senza ombra di dubbio Takashi Miike, autore eccelso dalle mille facce nato ad Yao (Osaka) il 24 Agosto del 1960. Un regista che, fin dagli esordi degli anni Novanta, ha sfidato le convenzioni con pellicole audaci pronte a scardinare qualsiasi regola. Film che spesso rasentano il limite del rappresentabile, sfiorando le maree dei b-movie ma che in realtà propongono riflessioni audaci ed una messa in scena non indifferente.
Di seguito ripercorreremo alcune fasi della sua celebre ed infinita carriera. Un regista sicuramente legato ad un certo cinema dell’estremo ma che non disdegna assolutamente scenari completamente opposti: dal fantasy per bambini, passando per introspezioni sociali fino a prodotti marchiati Disney+.
Una lunga gavetta
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, il giovane Miike girovaga per le strade di Osaka senza avere una precisa idea di cosa avrebbe realmente fatto da grande. Lui sognava di diventare un pilota professionista, parallelamente molti suoi amici frequentavano lidi poco raccomandabili dai facili guadagni provando ovviamente a convincere l’amico ad entrare nel giro in qualità di affiliato: stiamo ovviamente parlando della yakuza. Miike in realtà sa bene che non diventerà un pilota e allo stesso tempo non vuole fare il delinquente, pertanto coglie la palla al balzo quando sente alla radio la pubblicità della Yokohama Hoso Eiga Senmon Gekko: una scuola che forma futuri registi televisivi e cinematografici, fondata dal maestro Shōhei Imamura.
Miike si trasferisce pertanto nel Kantō ed inizia una poco stimolante ma necessaria gavetta laddove impara i segreti del mestiere e le più disparate mansioni inerenti ad una troupe cinematografica. Il ragazzo lavora duro e nel 1987 ottiene il ruolo di terzo assistente alla regia sul set de Il Mezzano diretto da Imamura. Miike da ora in poi collaborerà con svariati registi di alto calibro; tuttavia la settima arte nipponica stava attraversando una fase buia, e l’unico modo per i giovani registi di farsi strada era la televisione oppure il nascente mercato degli Original Video noto come V-cinema. Miike sceglie questa strada e ha la possibilità di dirigere un numero incredibile di pellicole, laddove inizia a germogliare una precisa poetica stilistica. Con Bodyguard Kiba (1993) e Shinjuku Outlaw (1994) l’autore di Yao inizia ad esplorare un sottobosco urbano popolato da balordi e da yakuza da quattro soldi; un mondo incredibilmente violento ed irrazionale dove la morte scorre sempre dietro l’angolo. Iniziamo a vedere gangster laidi, irosi e pazzoidi, destinati ad una fine orribile. La smitizzazione di qualsiasi ideale romantico verso la malavita è un tema cardine in Miike che già in questi due film prende piede.
Il primo grande cult
Il primo grande cult del regista coincide con il suo primo film destinato al grande schermo: Shinjuku Triad Society del 1995, primo capitolo della cosiddetta Black Society Trilogy (proseguita con Rainy Dog nel 1997 e conclusa con Ley Lines del 1999). Il film è determinante per il moderno cinema giapponese, in quanto il giovane Miike è finalmente libero di esprimere a pieno tutto il suo talento visionario. Il film è contraddistinto da un incipit assolutamente originale che presenta un linguaggio filmico riproposto in altre opere del regista. Il lungometraggio si apre in medias res (costante in Miike) con la macchina da presa fissa in campo totale atta a riprendere un uomo completamente nudo disteso sul letto, accompagnato da una voce fuori campo rauca (appartiene all’uomo inquadrato) che accenna alla sua relazione amorosa con un capo delle triadi; subito dopo Miike scombussola lo spettatore optando per un montaggio ultra veloce e sincopato, proiettandoci tra un vincolo di Shinjuku in cui vengono ritrovati degli uomini decapitati ed una discoteca fatiscente; il tutto arricchito da una musica elettro-pop incalzante e assordante.
Shinjku Triad Society mette in scena il forte legame tra Miike ed il genere Yakuza, tuttavia l’autore sta sempre bene attento a non fossilizzarsi su meccaniche preimpostate. Al regista in questa prima fase di carriera interessa mostrarci la difficile integrazione nella società nipponica, di persone non propriamente giapponesi; uomini che presentano una forte crisi identitaria, sentendosi costantemente emarginati. Questi personaggi per porre rimedio a tale sofferenza, cercano un disperato rifugio che può essere rappresentato dalla famiglia tradizionale (come per il protagonista) oppure da un’associazione mafiosa, tuttavia la ricerca di questo barlume di felicità condurrà a violenze atroci. Miike ha più volte evidenziato come «più l’amore è grande più aumenta la violenza». Capolavoro.
Tra Yakuza, J-horror e altro ancora
Da questo momento in poi Miike dirigerà molti yakuza-eiga, film che spesso partono dal genere per poi mutare in opere altamente personali difficili da classificare. Film come Full Metal Yakuza (1997) , la trilogia Dead or Alive (1999-202), Ichi the killer (2001) e Gozu pur presentando dei topos riconducibili al genere yakuza non possono assolutamente essere ridotti a mere riletture. Sono film laddove l’autore sfonda ripetutamente i limiti imposti dalla tradizione andando a presentare , in ogni singolo film, un caleidoscopio di generi unici. Un pastiche multiforme in rapida evoluzione con un film action che in un secondo può trasformarsi in un trattato surrealista oppure in un musical.
Dal genere yakuza si passa poi al J-horror, altro terreno fertile amato da Miike. Pensiamo all’elettrizzante The Call (2003) fino all’horror psicologico, cinico ed iper-violento MPD Psyco (2002), in una miniserie televisiva in sei puntate. Impossibile poi non citare Izo, che sulla carta potrebbe richiamare il genere horror ma che in realtà è un’opera d’arte inafferrabile che presenta dei codici visivi unici, distinti da una potenza visionaria senza precedenti. Discorso analogo per Gozu. Meraviglioso anche Audition del 2000, un film scioccante distinto da una violenza senza limiti e parallelamente permeato da un canovaccio tipico dello shoshingeki (drammi sulla piccola borghesia), genere classico del cinema giapponese esploso nei primi anni trenta; film complesso dove non manca poi una profonda riflessione sull’amore e sulla solitudine. Miike è pertanto un regista eclettico difficile da prevedere; pertanto realizza nel 2004 Zebraman, un film a tinte supereroistiche assai demenziale, oppure il dramma sociale Shangri-la.
Blockbuster e film per famiglie
Miike è un regista senza freni, iconoclasta e amante dell’estremo che però non disdegna salti in meandri completamente opposti. Ed ecco che nel 2005 dirige The Great Yokai War, fantasy per famiglie ad alto budget che sfonda il box office locale. Non mancano poi gli adattamenti live-action di celebri manga (altro terreno amato dal regista) come Crows Zero del 2007: versione cinematografica tratta dall’omonimo manga di Hiroshi Takahashi. Ma la grande sorpresa inaspettata è del 2009 con la versione live-action di Yattaman – Il film. Yattaman è un famosissimo anime televisivo degli anni Settanta prodotto dalla Tatsunoko e facente parte della serie Time Bokan. Del 2013 è invece Proteggi l’assassino – Shield of Straw: un thriller concitato, a tratti macabramente elegante con terrificanti fuori campo sonori o particolari su parti del corpo esanimi.
Tra un blockbuster e l’altro però Miike non si rifiuta di mettere mano a progetti più “piccoli” sempre trattati con la mano dell’esteta, ed ecco arrivare il prison movie omosessuale Big Bang Love, Juvenile A (2006) oppure l’ansiogeno Sun Scarred, per passare al folle e vampiresco Yakuza Apocalypse del 2015.
Come abbiamo visto in questo profilo, Miike è un regista dalle mille risorse pronto a dirigere qualsiasi cosa ed infatti prossimamente dovremmo vederlo su Disney+ con la miniserie Connect: un thriller orrorifico, ambientato e girato in Corea del Sud.