Il recente revival dell’horror d’autore ha ormai rivoluzionato le coordinate del genere. Il cinema di spavento del secondo millennio sembra aver trovato la propria dimensione nelle mani di registi, per così dire, “sofisticati”: ecco allora che l’horror non è più intrattenimento pop-corn, ma prodotto “elevato”, pensato per il pubblico più impegnato e non (solo) per le masse. Un genere nuovo, costruito sulla personalità e sulla singolarità di alcuni nomi promettenti – Eggers e Aster su tutti.
Quello di Mike Flanagan, invece, è un ambito a parte. Pochi, fra i nuovi autori, sono riusciti a creare uno stilema così riconoscibile come quello del regista americano. La sua è un’opera in costante dialogo con sé stessa, pervasa da una tensione fra “vero” e “fantastico” che coinvolge direttamente la realtà umana dei protagonisti. È questo che contraddistingue il suo approccio filmico: la riscoperta delle radici drammatiche del genere – senza le pretese dei colleghi più stilosi. L’opera di Flanagan, nella sua ricchezza tematica e contenutistica, è la dimostrazione che l’horror ha la stessa dignità emotiva del miglior strappalacrime. Parlare di cinema umanista, in questo caso, sembra corretto.
In vista dell’uscita della sua nuova serie The Midnight Club, su Netflix da venerdì 7 ottobre, cogliamo l’occasione per rivalutare le produzioni dell’autore, e contestualizzarle nell’ottica della sua impressionante filmografia. Ecco quindi una lista di tutti i film e le serie di Mike Flanagan, dal peggiore al migliore.
10. Somnia (2016)
Disperso nel limbo distributivo dopo il fallimento della sua casa di produzione, Somnia è l’unico vero passo falso della carriera di Flanagan. Il film racconta la storia di Mark e Jessie, una coppia devastata dalla morte del figlioletto. Per rimediare a questa terribile perdita, i due decidono di adottare Cody, un orfano dal carattere dolce e dal passato difficile, afflitto da terribili incubi. Ben presto, però, i coniugi si renderanno conto che i sogni del bambino sono più reali di quanto possa sembrare.
La metafora del film è chiara: il mostro che tormenta Cody è un trauma luttuoso e irrisolto, lasciato a vagare libero nel subconscio del bambino. Una prospettiva intrigante ma già vista (Babadook, decisamente meglio costruito), per un film troppo esplicito, ripetitivo e programmatico nel suo intento umanizzante. La ridondanza della trama e la rigidità degli attori principali non aiutano: pur con qualche sprazzo di colore, Somnia è senza dubbio il lavoro più sbiadito del regista. Resta in ogni caso un prodotto indicativo del suo approccio cinematografico, e a suo modo un precursore delle produzioni che seguiranno.
9. Absentia (2011)
Sembra un po’ sleale mettere al penultimo posto Absentia, il primo lungometraggio di Flanagan. Prodotto con un budget irrisorio (raccolto tramite crowd-funding su Kickstarter), il film risente sicuramente della povertà di mezzi con cui è stato realizzato – specie a confronto con le produzioni più recenti. Come opera prima, però, Absentia è decisamente promettente: pur con un budget risicato, Flanagan mette in chiaro sin da subito la sua prospettiva sui canoni del genere, lavorando sul non visto e sfruttando a pieno l’atmosfera per sopperire ai limiti tecnici. Un horror suburbano d’atmosfera, da riscoprire.
Absentia narra di Tricia, una donna incinta che, dopo sette anni dalla scomparsa del marito, è pronta a dichiararlo morto (“in absentia”, per l’appunto). Con l’aiuto di sua sorella Callie, una ex tossicodipendente, la novella vedova ha deciso di ricominciare da capo. Presto, però, strani eventi e allucinazioni cominciano a perseguitarle: le due donne si rendono conto che la scomparsa di Daniel potrebbe essere legata a un misterioso tunnel vicino a casa di Tricia. E la natura di quel luogo è molto più spaventosa di quanto si possano immaginare…
8. Doctor Sleep (2019)
Doctor Sleep ha un gigantesco, insormontabile problema a monte: Shining di Stanley Kubrick. Non dovrebbe essere così sulla carta. Il romanzo di Stephen King da cui Doctor Sleep è tratto, seguito diretto del romanzo originale (sempre di King), sembrava decisamente in linea con la poetica di Flanagan: è la storia un Danny Torrance in versione adulta (Ewan McGregor), della sua “luccicanza” e del trauma che si trascina appresso dopo gli eventi dell’Overlook Hotel. Ma non è l’unico a dover fare i conti con la propria specialità: quando conosce Abra, una ragazzina dalle facoltà simili alle sue, Danny scopre l’esistenza di un gruppo di persone diaboliche, intenzionate a uccidere chiunque possieda quel potere.
Doveva essere l’incastro perfetto per Flanagan. Lo è fino a quando, nell’ultimo atto, Doctor Sleep si trova costretto ad affrontare Shining versione Kubrick. Il celeberrimo regista, in effetti, aveva a suo modo storpiato il romanzo di King, facendone un film subliminale, labirintico, mitologico, lontano dagli psicologismi del libro. Nel momento in cui il Doctor Sleep di Flanagan, kinghiano al 100 %, fa riferimento diretto all’iconografia del capolavoro di Kubrick, si crea un cortocircuito fra due visioni completamente opposte e inconciliabili, e il film finisce per spezzarsi. Una sfida persa in partenza, probabilmente, combattuta però con coerenza e personalità: nelle prime due ore, Doctor Sleep è un Flanagan in piena forma.
7. The Haunting Of Bly Manor (2020)
I seguiti sono sempre una faccenda delicata. Dopo The Haunting Of Hill House, Flanagan si è trovato a dover fare l’impossibile, tentando di replicare il successo della sua prima serie Netflix. Lo ha fatto puntando sull’antologia (una storia diversa per stagione), e optando per un adattamento di Giro di vite, celeberrima ghost story di Henry James. La storia della governante e dei due bambini perseguitati dagli spettri viene però spogliata da ogni valenza psicanalitica: in linea con la sua visione drammaturgica, Flanagan fa di questo nuovo Giro di vite una fantasmagorica love story.
Il regista americano è qui in veste di creator: scrive e dirige solo il primo episodio, affidando le altre puntate a un folto gruppo di registi. Forse è per questo che, nel complesso, Bly Manor risulta più zoppicante e spezzettata della serie precedente. O forse è la novella di James che si presta poco alla struttura seriale. Fatto sta che, rispetto al crescendo angoscioso di Hill House, Bly Manor risulta meno organico e incisivo. Siamo comunque davanti a un prodotto confezionato con cura, coerente con l’ideale narrativo del suo creatore. Flanagan, d’altronde, è un autore singolare, vicino come pochi al cuore (spezzato) dei suoi personaggi. Pur con qualche forzatura, Bly Manor resta dunque fedele all’umanità dei protagonisti. E, nel finale, riesce anche a strappare qualche lacrima.
6. Il terrore del silenzio (2016)
Maddie è una scrittrice sordomuta, vive isolata nella sua casa in mezzo al bosco. Ha da poco pubblicato un libro (il cui titolo è… Midnight Mass!), e sta incominciando a lavorare al suo prossimo progetto. Una sera, però, uno sconosciuto si presenta alla sua porta: è un omicida mascherato, armato di balestra. Per Maddie comincia una battaglia sanguinosa, nella quale dovrà servirsi delle proprie, limitate capacità percettive per riuscire a sopravvivere.
Sembra un canovaccio canonico, e per certi versi lo è. Quello che dovrebbe essere il film più tradizionale di Flanagan si rivela però un godibilissimo esercizio di costruzione della suspense. Il merito, oltre che del regista, è anche di sua moglie Kate Siegel, che qui interpreta la protagonista. È lei a dare l’acqua della vita a questo film angoscioso, tutto costruito sulla tensione spaziale e sensoriale, imperniato sulla lotta fisica fra Maddie e l’assassino e su quella psicologica tra Maddie e sé stessa. Il terrore nel silenzio, insomma, è l’esempio di una premessa semplice ma risolta brillantemente sullo schermo. Intrattenimento gustoso e intelligente.
5. Ouija – L’origine del male (2016)
Caso più unico che raro di un prequel migliore dell’originale, Ouija – L’origine del male è un film dichiaratamente vecchio stile. La premessa, invero un po’ scontata, dà a Flanagan la possibilità di sperimentare sul canone dell’horror retrò, rimodernando l’impianto abusatissimo della “haunted house” fino a renderlo patinato, scintillante e funzionalissimo. Ci sono già tutti i trademark dei suoi lavori migliori: personaggi credibili, attori ben diretti, scene di spavento giocate magistralmente sull’attesa, un nucleo emozionale forte e coinvolgente.
Chi ha visto il primo film (Ouija, 2014) sa già cosa aspettarsi. Questo prequel racconta la nascita della maledizione della famiglia Zander: la madre, Alice, è una medium che aiuta (e inganna) i suoi clienti grazie all’aiuto delle figlie Lina e Doris. Un giorno, però, Doris utilizza la tavola ouija di Alice per entrare in contatto col padre, morto da poco. Lo spirito con cui entra in contatto, all’apparenza amichevole, si rivela essere un’entità maligna, determinata a prendere possesso dell’anima di Doris. Nulla di particolarmente rivoluzionario, insomma, ma il gioco è condotto con maestria e sapienza, e i cliché del genere vengono trasfigurati in una forma che è classica e fresca al tempo stesso. Godibilissimo.
4. Oculus (2013)
Tratta da un precedente corto del regista, la storia di Oculus ruota attorno a un gigantesco specchio dall’aura diabolica. Il suo incanto malefico sarebbe in grado di influenzare la percezione delle persone, spingendole a compiere gesti folli. I protagonisti Tim e Kaylie, fratello e sorella, ne hanno avuto la prova: quando erano piccoli, la loro famiglia è stata vittima dell’influsso di quell’oggetto maledetto. Anni dopo, Kaylie vuole pareggiare i conti. Rintraccia lo specchio e lo riporta nella sua vecchia casa, intenzionata distruggerlo con l’aiuto di Tim. Mentre i fratelli affrontano il loro incubo peggiore, l’abitazione si trasforma in una trappola spaventosa: presente e passato collidono in un labirinto dove ogni ricordo terrificante e ogni trauma represso è in agguato.
Con la sua struttura binaria e disorientante, Oculus è un gioiellino di costruzione narrativa. Flanagan, che setta già qui il suo discorso sull’elaborazione del trauma, gioca con la distorsione del tempo e dello spazio: trasforma quindi la storia dei due fratelli in un diabolico meccanismo manipolatorio, dove realtà e illusione si intrecciano fino a diventare inestricabili. Rimane il dubbio sulla natura virtuosistica del film, che resta per alcuni un semplice esercizio stilistico. L’originalità della messa in scena e la carica emotiva del racconto, però, non possono lasciare indifferenti. Un must per i fan di Flanagan.
3. Il gioco di Gerald (2017)
Il primo adattamento kinghiano di Flanagan, e uno dei suoi film più riusciti. Come Il terrore del silenzio, Il gioco di Gerald è un altro spaventoso divertissement ambientato in una singola location. I confini del set sono ancora più stretti: Jessie, la protagonista del film, è ammanettata a un letto. La donna aveva deciso di sperimentare qualche gioco spinto assieme al marito Gerlad. Ma l’uomo, colto da un malore improvviso, è caduto a terra morto, e Jessie è rimasta da sola con le manette addosso.
Un’altra lotta per la sopravvivenza, dunque, orchestrata nei limiti di uno spazio ristrettissimo – da cui emerge la bravura di Flanagan nella gestione economica degli elementi narrativi a disposizione. Ma Il gioco di Gerald è più di un semplice survival, e l’orrore concretissimo della premessa si stempera ben presto nei toni angosciosi dello psycho-thriller: la camera da letto della protagonista diviene un luogo della mente, un’arena ristretta e terrificante dove Jessie si trova faccia a faccia con i propri mostri, finti e veri (chi ha visto il film sa di cosa parliamo). Quello di Flanagan è un kammerspiel corporeo e mentale, che sfrutta meravigliosamente le proprie ambientazioni per rafforzare l’impianto psicologico del romanzo di King e portarlo in vita sullo schermo. Se non fosse per gli ultimi dieci minuti, didascalici e poco utili, sarebbe un horror di prim’ordine.
2. The Haunting Of Hill House (2018)
The Haunting Of Hill House è il vero punto di non ritorno nella carriera di Flanagan. Se fino a quel punto il regista si era dimostrato spigliato e competente, persino coraggioso nel suo approccio al genere, Hill House ha cristallizzato in maniera definitiva la sua prospettiva cinematografica (e seriale), facendone un Autore a tutti gli effetti. Raccontando la storia della spaventosa Hill House, la magione infestata dove la famiglia Crane vive nel terrore per alcuni mesi, Flanagan ha fatto l’impossibile: è riuscito a trasformare una semplice ghost story in un quadro di incredibile potenza emozionale, che rilegge gli stilemi classici in una chiave familiare e flirta col melò senza mai eccedere nel sentimentalismo. L’orrore finisce per trasfigurarsi, e reclama le sue radici di monito universale, aperto a tutti perché legato a timori condivisibili da chiunque.
Hill House, soprattutto, è uno splendido adattamento letterario: nel tradurre in forma seriale il capolavoro di Shirley Jackson, Flanagan ha trovato una chiave di lettura che gli permette di giocare col racconto originale restando fedele alla sua visione d’autore. Trasforma così la serie in un vero e proprio psicodramma, dove i fantasmi sono prima di tutto le ombre di un passato irrisolto, e dove la casa infestata rappresenta un mostro traumatico da affrontare, sviscerare, accettare. Una proiezione di portata esistenziale, dove la paura nasce nel personaggio, e non nell’universo che lo contiene. Hill House, in questo senso, è un concentrato mirabile di tutto il cinema di Flanagan: l’orrore e il dramma, il reale e il soprannaturale, l’umano e lo spirituale. Una prospettiva di genere totalizzante, spiazzante, orgogliosamente emozionante. Imprescindibile.
1. Midnight Mass (2021)
Qualcosa di terribile è all’opera a Crockett Island. Un dubbio silenzioso, che si insinua nelle coscienze degli abitanti dell’isola. Quando il protagonista Riley vi torna, reduce da un terribile incidente che gli grava sulla coscienza, trova ad accoglierlo una comunità in fermento: il rientro di padre Paul, il parroco locale, sembra aver scosso la fede i suoi compaesani. Soprattutto perché il prete è in grado di compiere dei veri e propri miracoli: la presenza dell’uomo è divenuta in questo modo il simbolo di una rinascita spirituale, l’occasione per tutti di sconfiggere il dolore e la paura. Loro non lo sanno, ma padre Paul ha portato con sé qualcosa di ben più spaventoso di un nuovo messaggio di speranza: per Crockett Island è l’inizio di una lunghissima notte.
C’è il respiro di un romanzo corale in Midnight Mass, che è l’opera di Flanagan più debitrice alla letteratura di King – Le notti di Salem soprattutto. Alla sua terza produzione seriale, il regista sfrutta la struttura a episodi per costruire un racconto ancora più espanso di quelli precedenti: il discorso esistenziale sulla fragilità umana, che è la chiave dell’opera di Flanagan, raggiunge qui il suo apice. Da questa storia di miracoli ha tratto un’acuta riflessione sulla natura della fede, messa in scena col tono grave di una lunga omelia.
Un formato libero e impegnativo, che fa onore alla visione di un autore dallo sguardo oramai chiaro, intransigente, coinvolto fino in fondo nell’universo che racconta. Con Midnight Mass, al picco della sua partecipazione emozionale, il regista americano ha realizzato il suo lavoro più ambizioso, romanzesco, commovente. Meno preciso di Hill House, forse, ma ancora più aperto e universale. Un affresco umano indimenticabile, e la consacrazione di Flanagan nell’Olimpo dei nuovi maestri del genere.