Alda Merini, poetessa milanese nata nel 1931 e morta nel 2009, ha sofferto praticamente per tutta la vita di quello che, già nel 1947, fu diagnosticato come disturbo bipolare. A causa di questa patologia psichiatrica, Merini fu dapprima ricoverata in una clinica di Milano, la Villa Turro (nel 1947, per un mese), per poi essere internata, dal 1964 al 1972, su decisione del marito, l’imprenditore Ettore Carniti, in un noto ospedale psichiatrico del capoluogo.
La poetessa avrebbe raccontato l’atroce e disumanizzante esperienza del ricovero in un testo di prosa, L’altra verità – Diario di una diversa – scritto nel 1986, dopo il secondo matrimonio con il medico Michele Pierri (Carniti era morto nel 1983).
In particolare Merini spiega le origini del suo internamento nell’istituto Paolo Pini di Milano, legandole a una crisi psicologica debilitante, sopravvenuta in seguito a un gravissimo lutto: nel brano sono spiegate con chiarezza gli usi dell’epoca, secondo cui un uomo poteva liberamente disporre della moglie e prendere decisioni in vece sua. In quegli otto anni, Merini entrò ed uscì di continuo dalla struttura, riuscendo a dare alla luce due figlie, dati poi in affidamento ad altre famiglie, a causa della situazione particolare (La poetessa ebbe in tutto quatteo figlie, tutt’ora in vita)
Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, sempre in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figliole e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano a scuola e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose. Insomma ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire.
Il disturbo bipolare, in passato noto come sindrome maniaco – depressiva, è una condizione caratterizzata da periodi di depressione e periodi di mania o ipomania, intervallati solitamente da una fase di umore normale. Le due fasi si alternano spesso in modo più o meno regolare (prima la depressione e poi la mania o viceversa) e ciascuna di esse può durare anche per periodi di tempo molto estesi, anche se tendenzialmente, la fase maniacale ha durata minore rispetto a quella depressiva.
A seconda delle diverse combinazioni e durate delle due fasi, si possono distinguere diversi tipi di bipolarismo:
- Il disturbo bipolare di tipo I: caratterizzato dalla presenza nell’arco della vita di almeno un episodio maniacale, a prescindere dalla presenza o meno di altri episodi depressivi o ipomaniacali, che tuttavia si associano frequentemente agli episodi di mania.
- Il disturbo bipolare di tipo II: caratterizzato dalla presenza nell’arco della vita di uno o più episodi depressivi accompagnati da almeno un episodio ipomaniacale.
- Il disturbo ciclotimico (o ciclotimia): caratterizzato dall’alternanza di episodi di depressione e ipomania di lieve intensità ma con elevata frequenza, che portano a una sostanziale lunga e ininterrotta fase di malattia della durata di almeno due anni
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