L’attrice e comica Emanuela Fanelli ha scritto, nel 2013, insieme a Micol Pavoncello, Andrà tutto bene, un monologo in cui smonta gli stereotipi legati a come le donne vengono trattate, in seguito a una diagnosi di cancro al seno. L’attrice ha poi riproposto il testo, in una versione leggermente modificata, nel novembre 2023, ospite di Geppi Cucciari a Splendida Cornice su Rai 3.
Vediamo insieme il testo completo del monologo che, affronta, da varie prospettive diverse, le banalità linguistiche che ciascun malato si sente vomitare addosso ogni qual volta deve affrontare una diagnosi di cancro al seno
Andrà tutto bene!
Io non lo so perché, quando stai male le persone sentono di doverti dire qualcosa, per forza;
è una chiamata alle armi proprio, e quel qualcosa quasi sempre, è una sciocchezza:
detta in buona fede, senza dubbio. Ma tutti hanno una frase collaudata, magari, da regalarti, così.
Sì, perché tutti conoscono qualcuno che c’è passato,… “Pensa! L’amica di una amica mia
uguale a te para para, la vedessi mò sta’ un fiore sta!”
Tutti sono informati, tutti sanno!
Quello che non sanno è che se tu hai il cancro, è il primo e unico caso nella storia del mondo,
e dello storico clinico dell’amica dell’amica loro, con tutto il rispetto,
veramente non te ne può fregà de meno.
“Andrà tutto bene”, la frase più banale, più usata. Si può fare di meglio, oh!
I primi a farsi avanti sono gli uomini, che con fare sicuro, affrontano la tragedia con una sicumera tutta particolare, ostentando esperienza nel campo
Ci sono proprio varie categorie d’appartenenza a seconda del genere che si predilige.
Per esempio ci sono i medici mancati… quelli sono stupendi!
Li riconosci perché cambiano proprio il tono della voce mentre parlano;
sì perché, anche se il loro massimo avvicinamento alla scienza nella vita
è stata seguire così per caso una sera lo speciale “vene varicose” di Luciano Onder,
loro stanno là che ti parlano, cambiano tono, assumono una posa ambulatoriale e partono:
“Sì, sì, ma adesso tu da’ retta a me. Adesso facciamo una bella tac, sì fa una bella tac così la vediamo, capiamo”.
“Ma che dobbiamo capì io e te? Dall’alto di quali competenze?”
“Fai na’ bella tac la vediamo, capiamo, poi l’operazione, certo… poi, passata la degenza, la chemio, ovvio!”
Ecco a me “la chemio ovvio”, detto a questo tono qua mi manda ai matti,
perché il tono è quello delle cose banali, solite, già sentite, tipo “la chemio, ovvio”,
“sulla carbonara er pecorino”, “rosa e celeste, burino se veste”. Ovvio uguale, stesso tono.
Non da meno, però, spesso sono le donne, che ripetono gli stessi concetti, con fare accusatorio o per paura:
Facilmente confondibili con questi Grey’s Anatomy de noantri sono nel mio caso alcune donne, quelle che con lo stesso tono di chi sa mi domandano:
“E da quanto è che non facciamo una mammografia?”
Ecco, bisogna fare attenzione perché il tono è lo stesso, è vero, ma l’intento è diverso.
Sì, perché dietro la domanda di queste premurose signore, signorine,
si cela un sottotesto molto interessante, riassumibile in “Oddio, dimme che era tanto che non la facevi! Non succede a chi se controlla, vero? Oddio, moio! Dimmi che non ti ricordi quando l’hai fatta! Quando l’hai fatta, l’ultima?”
Eh, l’ho fatta l’anno scorso come te. pensa!
Però i miei preferiti sono altri, gli ottimisti… allora… loro sono meravigliosi perché non ti fanno manco finire di parlare, proprio inebriati dalla bellezza e leggerezza della tua situazione, che tu non riesci a capire, perché sei limitato, ma loro sì!
E sono lì apposta per te, proprio per travolgerti con questa ventata d’entusiasmo.“E no, adesso devo fare la chemio. mi cadranno i capelli!”
“Ma ma che te frega? ma quelli ricrescono, ci stai pure meglio tutta sbarazzina”!
“E no, dicono che il seno è meglio toglierlo tutto, perché più sicuro!”
“Ma che ma poi te lo ricostruiscono!”
Ma allora, samba, i capelli ricrescono, e il seno me lo ricostruiscono finto, sodo, gratis!” E io che stavo a piagne! Che svolta!
Ultimi, ma non meno fastidiosi, i “religiosi”, che vedono la malattia come una “prova” destinata dal Signore solo chi è in grado di affrontarla.
Però il filone che mi dà maggior soddisfazione è quello religioso, stupendo.
Una volta uno, m’ha detto: “Sai, io credo che il Signore queste cose le mandi a chi ha le spalle abbastanza larghe da sostenerle”!
Bello, bello perché poi offre pure parecchi spunti di riflessione.
Sì perché quindi se non ho capito male, c’è questo signore, lassù, che c’ha tegole da mandare… per forza, gli avanzano proprio, te le deve mandare, anche se non vorrebbe.
“Che c’avemo oggi, un cancro? Carla, Carletta, sì sì… guarda come va in giro tutta dritta tutta baldanzosa… se vediamo presto che te devo dì! Un’ischemia? Paolo? No, quello sta sotto a un treno, piagne per la fidanzata, daje altri sei mesi così magari se rifidanza pure!”
Ste spalle larghe chi ce l’ha? Qual è il criterio? Perché al Bambin Gesù di spalle larghe ne girano poche, eppure me pare che li manda pure là!
Alla fine, per chi deve affrontare la malattia, resta solo la paura dell’ignoto, in tutte le sue forme
Io le spalle larghe non ce l’ho, io ho paura. Ma non ho paura solo delle grandi tappe.
ho paura pure delle fermatine che stanno in mezzo, ho paura dell’operazione sì, ma ho paura pure della anestesia, dell’ago cannula, quel fresco che te mettono qua me fa impressione, ho paura!
Ho paura… dei prelievi, della tac, della risonanza che sta nel tubo… c’è quel rumore continuo, mi fa paura!
Ho paura della chemio, sì, ma ho paura pure di vomitare.
Io piango se capisco che sto per vomitare, da sempre, perché ho paura.
Ho paura dei capelli che cadono, che mi faranno schifo e “di rasarli prima perché è meglio”.
Ho paura.
Ho paura delle metastasi, perché il cancro dà sempre metastasi.
La metastasi è mia sorella che non dorme più, è mio padre che non mangia più.
La metastasi sono io, che il cancro non ce l’ho, ma senza la Carletta di prima io non starei qua.
E per fortuna, ma soprattutto, grazie alla ricerca, alla fine… è andato tutto bene. Grazie.