Il caso di Alessia Pifferi, la donna di Milano a processo con l’accusa di aver abbandonato a casa da sola la figlia Diana, 18 mesi, lasciandola morire di stenti, nel 2022, ha scosso l’opinione pubblica, come al solito divisa tra chi la condanna aspramente e chi ritiene che Pifferi non fosse in grado di occuparsi di una neonata, a causa di acclarate problematiche psicologiche. Questa polarizzazione delle opinioni si riflette anche nei diversi profili psicologici di Alessia Pifferi, presentate dalle parti in sede processuale. Ricordiamo che il processo Pifferi sarà mandato in onda stasera con il programma Un giorno in pretura.
Come riporta il Corriere della Sera, il perito incaricato dai pm, il dottor Elvezio Pirfo, aveva definito Pifferi ‘in grado di intendere e volere’, ritenendo la donna non affetta da alcuna patologia mentale. Nella relazione, tuttavia, il clinico ravvisava nella donna la presenza di sintomi riconducibili all’alessitimia, uno stato d’animo che impedisce l’empatia con il mondo esterno. Da notare come non si tratti di un vero e proprio disturbo mentale, riconosciuto dal DSM, bensì semplicemente di un’alterazione emotiva. In particolare, aggiunge Pirfo, i tratti di personalità di Pifferi che avevano fatto pensare a molti a un eventuale ritardo cognitivo, ovvero quelli di dipendenza e ricerca dell’accudimento non rappresentano automaticamente i sintomi di un vero e proprio disturbo mentale.
“La dipendenza non configura automaticamente il disturbo. Se si vanno a leggere tutti gli altri criteri, mancano. La necessità dell’accudimento, la necessità del dover essere protetta, credo che sia indiscutibile nella relazione soggettiva. Ma che questo automaticamente configuri quella condizione che noi chiamiamo disturbo, non è corretto. Il termine alessitimia invece descrive una condizione psicologica che è come se ci facesse vivere dietro a un vetro. Guardiamo ma siamo schermati. Questo non configura di per sé una malattia.
La mancanza di empatia assieme al tratto della dipendenza vanno utilizzati come elementi che hanno influito sul comportamento di Pifferi nella vicenda e devono essere tenuti presenti nella catena umana che si crea nelle decisioni per comprendere il soggetto”
Queste risultanze, esposte da Pirfo in aula il 15 marzo scorso, sono state puntualmente confutate da Marco Garbarino, consulente della difesa, la cui perizia, condotta in collaborazione con alcuni psicologi del carcere di S. Vittore a Milano, dove Pifferi ha scontato la custodia cautelare, confermava il grave ritardo cognitivo della donna (alcuni test somministrati avrebbero rilevato un Qi di 40). Come riporta Il Giorno, secondo i consulenti della difesa, Alessia Pifferi sarebbe affetta da un ritardo tale da impedirle di comprendere la reale portata delle proprie azioni.
“La signora comprende le domande, ma dobbiamo valutare anche quella che è la qualità delle risposte. La qualità è da disco rotto. Guardando alla vita della signora Pifferi, come si fa a dire che non ci sia stata una compromissione del suo funzionamento in tutte le aree? Ha un funzionamento assolutamente menomato e lo ha sempre avuto, fin da quando andava a scuola. La personalità, la funzionalità della signora Pifferi, come è stata descritta da me e dal perito, dal mio punto di vista non è così dissimile. La differenza è che io inserisco questo funzionamento in un disturbo dello sviluppo intellettivo che spiega come è la signora e giustifica quelli che sono stati i suoi comportamenti. Pirfo descrive le modalità di funzionamento ma non le attribuisce a un disturbo”
Due opinioni, divergenti e non destinate ad incontrarsi, che si riflettono anche oltre le mura del Palazzo di Giustizia, come dicevamo, dando il là a schieramenti mnolto netti. A puro titolo d’esempio prendiamo un esponente di ciascun versante. Da un lato il professor Claudio Mencacci, già presidente della Società Italiana di Psichiatra, ha affermato, ad Agenzia Dire:
“Pifferi ha bisogno di raccontare bugie e la continua ricerca di sensazioni, il ‘sensation seeking’. Possono essere persone che a loro volta hanno storie molto amare alle spalle, ma in questo caso non lo sappiamo. Lei è una madre capace di intendere e di volere, perché sapeva le potenziali conseguenze delle sue azioni”.
Secondo il professore, insomma, Pifferi, anche al momento del delitto, era perfettamente in grado di intendere e volere, seppur affetta da problematiche emotive importanti, che potrebbero configurare tratti di personalità antisociale
Dal punto di vista di un clinico Alessia Pifferi potrebbe corrispondere al profilo di una madre con i tratti calloso anemozionali: completa mancanza di senso di colpa, empatia e superficialità emotiva. Aspetti che poi potremmo considerare più avanti appartenenti a una personalità antisociale
D’altro canto, Roberta Bruzzone, nota psichiatra forense, ha così analizzato il caso, ospite di Milo Infante su Rai 2, ritenendo Pifferi del tutto incapace di gestire fenomeni complessi.
La valutazione del QI è standardizzata, e fatta dal carcere. Il soggetto ha sviluppato delle strategie d’adattamento coerenti con le risorse limitate che ha. mente con la capacità di uno con 40 di QI. Il fatto che utilizzi la seduttività per trovare qualcuno da cui dipendere e da cui farsi mantenere è coerente. Un quoziente intellettivo di quel tipo permette solo di sopravvivere, non di elaborare concetti più complessi, che pure per noi sono basilari. Poi va valutata la personalità; un soggetto con un aspetto cognitivo così scarso avrà una personalità distorta, che andrà valutata. Ha competenze talmente deficitarie… non era neanche in grado di procurarsi i clienti! Si prostituiva per 40 euro, ma che strategia è? Stiamo applicando delle categorie valide per noi, ma non per lei. Le sue strategie sono completamente disfunzionali”