La morte di Raul Gardini, a causa di un suicidio, con un colpo di pistola alla tempia, il 23 luglio del 1993, fu una dele pagine più oscure del periodo di Tangentopoli. Il nome dell’imprenditore italiano, leader nel settore dell’agroalimentare e successivamente della chimica era finito ormai da tempo al centro delle indagini sui finanziamenti illeciti ai partiti politici. In particolare, il nome di Gardini era indissolubilmente legato all’indagine sulla cosiddetta “tangente Enimont”, definita anche “la madre di tutte le tangenti”.
La mattina del 23 luglio Gardini era atteso in procura a Milano, per essere interrogato dal Pubblico Ministero Antonio Di Pietro, responsabile delle indagini. Il corpo senza vita dell’imprenditore fu rinvenuto, alle 8.30 del mattino, nella sua camera di Palazzo Belgioioso, riverso sul letto. Accanto, la pistola calibro 9 Walther PPK da cui era partito il colpo. Di seguito ricostruiamo tutta la storia che portò Gardini al suicidio
Raul Gardini nasce a Ravenna nel 1933, e dopo aver abbandonato gli studi di agraria, inizia la sua carriera negli anni ’50, entrando nell’orbita del gruppo industriale fondato da Serafino Ferruzzi, leader nell’importazione di cereali e derivati. Dopo la morte del patriarca, avvenuta nel dicembre 1979 a causa di un incidente aereo, gli eredi affidano la gestione operativa del gruppo proprio a Gardini, che nel 1957 aveva sposato Idina, una delle figlie di Ferruzzi. L’imprenditore, allora, decide per una sferzata, ed espande in breve tempo gli interessi del gruppo, acquistando alcune importanti realtà industriali nel campo dello zucchero e della soia, come l’Eridania, la francese Beghin Say e in parte dell’americana CPC. Ma il sogno dichiarato di Gardini è uno solo: unire l’agricoltura alla chimica, attraverso l’innovativo progetto della cosiddetta “benzina verde”, dove l’etanolo sostituisca il piombo come propellente. Le risorse della Ferruzzi, però, sono insufficienti per l’attuazione del progetto, ostacolato anche ideologicamente dai grandi nomi della chimica italiana.

Allora Gardini mette gli occhi sulla Montedison, uno dei più grandi poli industriali del Paese, con interessi sparsi e variegati, dalla chimica all’energia, passando per l’editoria e non solo. Lacerata da insanabili contrasti interni tra i soci, l’azienda è gestita da un’abile capitano di industria, Mario Schimberni che, vista la mala parata, decide di avvicinare Gardini per una possibile acquisizione delle quote di maggioranza. Nell’autunno 1986, con un colpo di mano improvviso, Gardini fa suo il 10% delle azioni della Montedison; gli basteranno pochi mesi per giungere alla quota di maggioranza, nel 1987, in seguito a una spesa complessiva di circa 2.000 miliardi di lire; nell’estate dello stesso anno, Gardini diventa gestore unico della Montedison, esautorando Schimberni e inserendo nel CDA figure come la scienziata Rita Levi Montalcini.
Da sola, però, la Montedison non ha futuro; perché l’Italia diventi vera protagonista nel campo della chimica è necessaria la creazione di un unico polo industriale, che unisca la parte privata, rappresentata dalla Montedison, a quella pubblica, l’Eni; l’Ente Nazionale Idrocarburi è in grave crisi e vede tutto sommato di buon occhio la joint venture con Gardini; a sostegno dell’operazione, l’imprenditore stringe un accordo con i vertici della politica per un piano ragionato di sgravi fiscali da applicare alla nuova società; il Presidente del Consiglio De Mita accetta e così, il 15 dicembre 1988 nasce l’Enimont; il capitale sociale è per l’80% equamente diviso tra i due contraenti. Il restante 20%, invece, viene messo a disposizione sul mercato azionario. La vita del neonato colosso industriale si rivela sin da subito irta di difficoltà; nell’autunno 1989 il decreto legge di applicazione degli sgravi fiscali viene clamorosamente bocciato in Parlamento e Gardini, indispettito anche dalle briglie burocratiche che limitano l’operatività dell’azienda, decide per il colpo di mano, acquistando personalmente le quote che gli permettono di diventare socio di maggioranza di Enimont. A sancire la svolta, il 24 febbraio 1990, il discorso in cui Gardini declama, al cospetto del consiglio d’amministrazione: “Da oggi la chimica italiana sono io”.

Le pressioni della politica si fanno insostenibili, e la neonata società si spacca in due: da un lato Gardini e la Montedison, dall’altro Gabriele Cagliari, da pochi mesi succeduto a Franco Reviglio alla presidenza dell’Eni: a sostenere Cagliari, un triumvirato formato da Bettino Craxi, Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani, ovvero tre fra le più importanti personalità del potere italiano dell’epoca. Messo alle strette, Gardini riceve dagli avversari una proposta – ultimatum, passata alla storia come “il patto del cowboy”; comprare le quote Eni, al prezzo stabilito dal venditore, oppure cedere le proprie allo Stato, sancendo così la fine della chimica privata in Italia. Gardini, sulle prime, è deciso a comprare, ma Cagliari, con la connivenza del giudice Diego Curtò, fa congelare tutte le azioni Enimont, per mettere Gardini fuori gioco. Senza più possibilità di manovra, l’imprenditore vende tutto all’Eni per 2800 miliardi; la delusione è talmente forte da spingere Gardini a dimettersi dalla Ferruzzi e a lasciare l’Italia per la Francia. Gardini, nell’estate del 1991, verrà completamente liquidato dall’azienda, per una somma pari a 505 milioni di lire.
Nel frattempo, le indagini dei magistrati milanesi relativi alle tangenti ricevute dai partiti politici italiani, a scopo di finanziamento occulto, arrivano fino a Giuseppe Garofano, amministratore delegato della Ferruzzi, al quale viene contestato un versamento di 250 milioni alla Democrazia Cristiana; ulteriori accertamenti dimostreranno che Gardini, su consiglio del dirigente Sergio Cusani, avrebbe fatto avere a diversi esponenti politici, una somma attorno ai 150 miliardi per ratificare il patto del cowboy e agevolare così l’uscita di Gardini stesso da Enimont; i soldi sarebbero stati versati dallo stesso Cusani su conti svizzeri offshore. Il 26 febbraio 1993 Raul Gardini riceve il primo avviso di garanzia; dopo l’arresto di Cagliari per corruzione, tre settimane dopo, e il simultaneo commissariamento della Montedison per sopraggiunti debiti, l’imprenditore si sente accerchiato, e il 13 luglio organizza un incontro privato con Garofano per definire una linea di difesa comune. Poco prima dell’incontro, però, il manager viene arrestato in Svizzera. il 20 luglio Cagliari, detenuto a San Vittore, si toglie la vita infilando la testa in un sacchetto di plastica.

L’ordine di arresto per Raul Gardini viene emesso il pomeriggio del 22 luglio; il pm Di Pietro concede a Gardini di rinviare il fermo al mattino successivo. In una telefonata all’amico Vanni Balestrazzi, Gardini confida tutta la sua angoscia: “Sono qui, appeso a un filo”. La mattina del 23 luglio, Raul Gardini, dopo aver fatto colazione e aver scritto un semplice biglietto di ringraziamento alla sua famiglia, si uccide con un colpo di pistola alla tempia. Così il giornalista Enrico Deaglio, nel suo volume Patria, 1978 – 2010 ricorda i convulsi avvenimenti: “Il condottiero sconfitto si alza presto la mattina nella sua casa di piazza Belgioioso nel centro di Milano. Da mesi sta trattando, tramite il suo avvocato Luca Mucci, con il pubblico ministero Antonio Di Pietro. È disposto a parlare, ma senza manette. È disposto a farsi filmare mentre entra a Palazzo di giustizia, ma chiede garanzie che gli sarà evitata la notte a San Vittore. Viene stabilito un accordo di massima: Gardini si presenta spontaneamente alle 8.30 del 23 luglio. Di Pietro gli chiederà dell’Enimont, di Panzavolta e Greganti e delle tangenti pagate al Pci. La notte prima, i carabinieri che controllano piazza Belgioioso avvertono Di Pietro che Gardini è tornato a casa. Chiedono se devono arrestarlo. Di Pietro risponde di no.

Alle otto di mattina Gardini telefona all’avvocato: «Ci metto un quarto d’ora di più». Mucci avverte Di Pietro: «Saremo lì alle nove meno un quarto».
Gardini ha dormito poco. Ha fatto la doccia, ha letto i giornali, ha mangiato la colazione preparata dal maggiordomo. Dopo le 9, il maggiordomo sente uno sparo. Entra e trova Gardini in vestaglia sul letto, con un buco nella tempia, sparato dalla pistola Walther Ppk che tiene nel cassetto. Di Pietro arriva immediatamente, la pistola è sul comodino. Il maggiordomo afferma che l’ha spostata lui per soccorrere Gardini. Sempre sul comodino c’è un biglietto: «Grazie!», ma si scopre che è riferito a un regalo del Natale precedente.
Fuori, le campane a morto dalla chiesa di San Babila: si seppellisce Gabriele Cagliari. Gardini non ha fatto in tempo a sentire i fischi che accompagnano la bara. Vengono arrestati Carlo Sama e Sergio Cusani, finanziere di riferimento per i pagamenti ai politici. A 14 anni dalla morte del suo fondatore, Serafino Ferruzzi, il patrimonio familiare più importante d’Italia si è polverizzato.”