Il fisico J. Robert Oppenheimer è morto a causa di un tumore alla gola, il 18 febbraio del 1967, a 62 anni d’età; il responsabile del Progetto Manhattan, che portò alla creazione della prima bomba atomica, accanito fumatore, vide un declino progressivo e inarrestabile delle proprie condizioni di salute, fino all’inevitabile conclusione. Dopo la cerimonia funebre, svoltasi il 25 febbraio a Princeton, al cospetto di amici e colleghi, le ceneri di Oppenheimer furono sparse al largo di Hawksnest Bay, presso l’isola di St. John, nel Mar dei Caraibi, dove il fisico era solito trascorrere i periodi di vacanza.
La progressione della malattia di Robert Oppenheimer si era rivelata subdola e rapida; nell’autunno del 1965, dopo un checkup medico di routine, Oppenheimer scriveva: “Amici, vi seppellirò tutti, dal primo all’ultimo”, da qualche tempo, però, l’uomo lamentava un costante mal di gola, e la sua tosse da fumatore era andata sempre più peggiorando. La situazione non sembrava potersi risolvere da sola, e per questo, Oppenheimer si sottopose, nel febbraio 1966, ad ulteriori accertamenti che portarono a una diagnosi di cancro alla gola.
Un intervento chirurgico alla laringe, dopo nemmeno un mese, non portò alcun beneficio, e il fisico fu sottoposto a cicli di radioterapia al cobalto, un trattamento allora in voga per la cura del cancro, presso il rinomato centro Sloan – Kettering di New York. A giugno, seppur fiaccato dalla malattia, Oppenheimer presenziò alla cerimonia di conferimento di una laurea honoris causa, da parte dell’università di Princeton. In quel periodo, anche il nuoto nelle tiepide acque dei Caraibi era diventata ardua impresa per l’uomo, la cui condizione generale sembrò tuttavia migliorare nelle settimane a venire.
Dopo un controllo nella seconda settimana di luglio, infatti, i medici non trovarono più traccia di cancro nella gola del paziente; al ritorno a St. John, Oppenheimer si intratteneva in lunghe passeggiate con amici o sconosciuti. Nonostante fosse costretto, suo malgrado, a una dieta liquida, integrata con proteine in polvere, a settembre, di ritorno a Princeton, Robert sembrava aver riacquisito un certo grado di forza, nonostante il persistere del dolore alla gola; dopo una visita a Berkeley, la sensazione si fece però sempre più fastidiosa; interrogati, i medici ascrivevano questo disagio a un effetto collaterale del trattamento radioterapico.
Il 3 ottobre 1966 l’ennesimo controllo rivelò che la malattia si era ormai diffusa lungo tutto il palato, fino ad arrivare alla base della lingua; il tumore era inoperabile, e a Oppenheimer furono prescritti altri cicli intensivi di radioterapia: “Irradiare nuovamente di radiazioni una gola già ulcerata non è il massimo. Per ora, la cosa è sopportabile, ma non ho idea del futuro”, scriverà ad un amico.
Agli inizi del nuovo anno, precisamente il 6 gennaio 1967, il medico comunicò a Oppenheimer che la radioterapia si stava rivelando inefficace; quella stessa sera, nel corso di una cena formale, Robert e la moglie Kitty informarono gli amici più stretti riguardo agli ultimi sviluppi e all’aggravarsi della situazione; nella seconda settimana di febbraio, Oppenheimer scriveva ad un amico; “Sento che la fine è vicina… non odo praticamente più nulla, e non riesco a parlare bene,”. I medici avevano convinto lo scienziato a sottoporsi a un trattamento di chemioterapia, senza che la cosa portasse risultati.
Ormai non più in grado di lasciare la propria abitazione, Robert Oppenheimer accettava, e anzi incoraggiava le visite degli amici. Tra questi, Louis Fischer, giornalista e biografo, autore di volumi su Gandhi e Lenin; lo scrittore ricorda così l’incontro del 16 febbraio; “Avevo suonato il campanello e non rispondeva nessuno; faccio per andarmene, ma a un certo punto vedo Robert che mi saluta da una finestra al piano di sopra; il suo udito, ormai era così malmesso che non aveva nemmeno sentito suonare alla porta; e quando parlava, farfugliava in modo terribile, in modo da farmi capire una parola su cinque; io credo che in quel momento avesse capito di non starci più con la testa. Credo proprio volesse morire“.

Robert Oppenheimer morì nel sonno alle 10.40 del mattino del 18 febbraio; la moglie Kitty avrebbe ricordato con cruda franchezza quegli ultimi momenti: “La sua è stata una morte miserevole… era regredito allo stadio infantile, poi alla fine sembrava addirittura un neonato… non riusciva a fare altro che versi; io avrei dovuto entrare in quella stanza, ma non ce l’ho fatta, non ce l’ho fatta“: