Nel 1979, durante un episodio della serie di documentari The Great Liners, la BBC, televisione di stato inglese, mandò in onda la testimonianza di Frank Prentice, uno dei sopravvissuti all’affondamento del Titanic, avvenuto nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912.
Prentice, all’epoca ventitreenne, ricopriva la mansione di vicecommissario di bordo, addetto alla contabilità della nave: il racconto, che potete ascoltare integralmente qui, ricostruisce con lucidità quasi fotografica quei lunghissimi e tragici minuti, dall’impatto con un iceberg più grande del Colosseo, fino al salvataggio dei superstiti da parte del transatlantico Carpathia.
La tragedia, per il nostro protagonista, inizia quasi senza accorgersene
“Non si sentì un vero impatto. Fu più come quando si frena bruscamente in macchina. Tutto lì.
La nave si fermò. Avevamo un oblò aperto, guardai fuori e il cielo era limpido, pieno di stelle, il mare completamente calmo. Non riuscivo a spiegarmi cosa fosse successo.
Così uscii dalla cabina e decisi di andare verso prua. Raggiunsi il ponte di prua, sul lato di dritta, e lì vidi del ghiaccio. Dell’iceberg, però, nessuna traccia: era già passato oltre.
Le luci della nave si riflettevano sull’acqua, e sopra la linea di galleggiamento non si vedeva alcun danno. In realtà, la nave aveva scivolato sopra l’iceberg, e anche se aveva un doppio fondo ed era ritenuta inaffondabile, il ghiaccio l’aveva squarciata dal lato di dritta, dalla prua fino quasi a metà nave, passando attraverso entrambi i fondi, fino alla sala macchine.”
Immediatamente il giovane si mette di buona lena per dare il suo contributo e salvare quante più vite possibili
“Ci ordinarono di preparare le scialuppe. E naturalmente, l’ordine era il solito: “Donne e bambini per primi.” Calammo le scialuppe e cominciammo a riempirle.
Le prime partirono dal lato sinistro. Non erano molto piene, la gente aveva paura di calarsi. Erano circa 20 metri fino all’acqua, e molti non credevano che la nave sarebbe affondata. Così alcune scialuppe salparono mezze vuote.
Avevamo 16 scialuppe, ognuna poteva contenere 50 persone. Se le avessimo riempite tutte, avremmo potuto salvare 800 vite. Invece ne salvammo solo 500. Immagina quanti posti vuoti nei primi salvataggi…
Poi mi mandarono giù con un gruppo di uomini a cercare biscotti nel magazzino. Quando tornammo sul ponte delle scialuppe, non riuscivamo più ad avvicinarci: la gente si accalcava, cercando di salire, ma veniva respinta indietro. Ormai la nave stava già inclinando pesantemente verso sinistra e le scialuppe di dritta non si riuscivano più a calare.”

Prima di mettersi in salvo, Prentice fa un incontro che rimarrà impresso nella sua memoria, e che attraverserà la Storia, arrivando fino a noi
“Prima ancora di mettermi il giubbotto salvagente, incontrai una giovane coppia. Mi ricordo il nome di lei, la signora Clark.
Erano in viaggio di nozze, li avevamo imbarcati a Cherbourg. Lei non riusciva a sistemarsi il salvagente.
Glielo misi io e le dissi: “Meglio se sali su quella scialuppa, là a sinistra.” Ma lei non voleva: “Non voglio lasciare mio marito.” Le risposi: “È solo per precauzione. Tu vai, lui ti raggiungerà.”
Alla fine accettò e la feci salire. Poi presi il mio salvagente. A quel punto stavano salendo anche i passeggeri di terza classe, erano in 700.
Affollarono i ponti e riempirono ogni spazio. Pensai: “Ho fatto tutto quello che potevo. Ora vado sul ponte di poppa per allontanarmi dalla calca.”
La nave ormai stava affondando. All’improvviso si sollevò velocemente e si sentivano oggetti e strutture cadere e distruggersi dentro, un rumore terribile. Poi affondò e sembrò quasi risalire.”
Il momento è fatidico: chiamando a sé tutte le sue forze e abilità, Prentice si mette al sicuro, non prima di aver assistito in prima persona alla fine dell’Inaffondabile
Pensai: “È ora”. Mi tenevo a una tavola con scritto “Tenersi lontano dalle eliche” – ce n’erano due, una per lato. Più la nave s’inclinava, più mi sollevavo. Alla fine mi lanciai in acqua. Indossavo il giubbotto e caddi con un botto tremendo.
Per fortuna non colpii nulla cadendo. Attorno a me c’erano corpi ovunque. Guardai verso il Titanic: le eliche erano completamente fuori dall’acqua, anche il timone. Si vedeva persino il fondo. Poi la nave scivolò via, lentamente. Era finita. Quello fu l’ultimo momento in cui vidi il Titanic.
Non volevo morire, ma non pensavo nemmeno di avere molte speranze. Stavo congelando, piano piano, ma per miracolo mi imbattei in una scialuppa e mi tirarono a bordo. Sul fondo c’era un fuochista morto e c’erano quasi trenta centimetri d’acqua.”

In mezzo al dramma e alla disperazione, c’è però tempo e modo per un flebile spiraglio di speranza, legato a una connessione umana inattesa
“C’era anche un altro uomo, sembrava in preda al panico, come se volesse tornare lassù.
Non so cosa gli fosse preso. Lo stavano legando. Gli altri erano donne e bambini. Mi sedetti su una panca e, accanto a me, chi c’era? La signora Clark. La stessa donna che avevo aiutato a salire su una scialuppa. Mi guardò e la prima cosa che disse fu: “Hai visto mio marito?”
“No,” le dissi, “ma sono sicuro che starà bene.”
A quel punto ero in condizioni pietose, praticamente congelato.
Lei mi avvolse con un mantello, o forse una coperta o un cappotto.
Credo mi abbia salvato la vita. Non so. Ma io, forse, ho salvato la sua. Credo proprio di sì. E lei ha salvato me.”
L’arrivo della Carpathia pone fine all’incubo che però si incunea indelebile nelle menti di tutti i sopravvissuti, devastando per sempre i loro sonni: a dettare il tempo di quest’ombra opprimente, un orologio rotto, che Prentice portava con sé al momento dell’affondamento, divenuto negli anni macabro souvenir di una notte da dimenticare
“Poi, all’alba, arrivò la Carpathia. Era una nave da 7.000 tonnellate, diretta nel Mediterraneo, già carica. Ma riuscirono comunque a prenderci tutti a bordo e ci portarono a New York. Quest’orologio che ho al polso segna le due e venti. Sono caduto in acqua alle due: dopo venti minuti, si è rotto.”
“Parlare di tutto questo non mi pesa, ma ogni notte, mi stendo nel letto e torna tutto, come fosse appena successo. Un incubo dopo l’altro”
La vera storia del Titanic ha ispirato il classico di James Cameron con DiCaprio e Kate Winslet. Il film, dal canto suo, viene ricordato anche per la canzone di Celine Dion che fa parte della colonna sonora, per il gioiello chiamato Il Cuore dell’Oceano, che ha un ruolo narrativo importante, e sulla scena della porta usata come zattera nel finale, che continua a far discutere ancora oggi. A proposito, sapete che durante le riprese del Titanic la troupe finì in ospedale a causa di una zuppa di vongole con allucinogeni?