La serie: Arnold, 2023. Creata da: Lesley Chilcott, Allen Hughes. Genere: documentario, biografico. Cast: Arnold Schwarzenegger. Durata: 50 minuti ca./3 episodi. Dove l’abbiamo vista: in anteprima stampa su Netflix, in lingua originale.
Trama: Tre macro capitoli che ripercorrono la vita pubblica e privata del bodybuilder, attore ed ex Governatore della California Arnold Schwarzenegger, attraverso la sua testimonianza diretta e quella delle personalità di rilievo che hanno contribuito alla costruzione di un personaggio iconico.
Per la gioia di tutti i suoi fan (e non), è appena sbarcata su Netflix una docu-serie divisa in 3 capitoli dedicata a uno dei personaggi più iconici e influenti dello star system, e non solo, degli ultimi 30 anni. Stiamo parlando di Arnold Schwarzenegger, che ci accompagna attraverso le tappe più significative di una vita guidata da una bussola che puntava, sin da giovanissimo, verso il successo. È interessante che questa docu-bio arrivi dopo quelle dedicate a figure femminili come Pamela Anderson, Brook Shields e Anna-Nicole Smith, che hanno condiviso con Schwarzenegger gli anni di fulgida popolarità e di successo planetario, pur separati dal vetro infrangibile della differenza di genere. Andiamo quindi a scoprire qualcosa di più in questa nostra recensione di Arnold.
La trama: “I had a vision”
Tre episodi, ognuno corrispondente a un segmento di vita di Arnold Schwarzenegger. Nessuna forzatura da parte degli autori, perché quella del divo è stata effettivamente una vita che lo ha visto nascere, eccellere e ritirarsi per tre volte. Nato nel dopoguerra di 75 anni fa in un villaggio austriaco, Arnold sconta presto, insieme al fratello maggiore, gli effetti di una educazione rigida e scompensata dalla personalità di un padre che aveva prestato servizio nella seconda guerra mondiale. È all’interno di questo contesto che, già da giovanissimo, sviluppa un approccio alla vita che prevede l’individuazione di un obiettivo (quella che lui chiama “la mia visione”) cui dedicarsi con una forma di abnegazione che non prevede fluttuazioni o arresti. Spinto dall’esigenza di lasciare il villaggio di nascita, dà il via all’opera di costruzione del suo futuro partendo dal controllo e dalla fabbricazione di un corpo che diventa l’espressione più materica e immediata di una volontà ferrea e mai intaccata dal dubbio (oltre che di una genetica evidentemente predisposta).
Un corpo plasmato per eccellere in un settore, quello del culturismo, che lo conduce fino in America, il primo luogo dove, nonostante le difficoltà linguistiche, si troverà perfettamente a suo agio, integrandosi in una comunità che lo porterà alla conquista di tutto quello che di conquistabile c’è nel mondo del bodybuilding.
Da qui, la scelta di allontanarsi dal culturismo spinto da una nuova e ancor più ambiziosa visione: quella di diventare una star mondiale. Come? Sfondando nel mondo del cinema.
Come diventare il brand di se stesso
Senza alcuna preparazione attoriale, con un marcato accento europeo e una imponenza fisica impossibile da ignorare, Arnold capisce perfettamente quali sono i suoi punti di forza e, aggirando le sue lacune, esalta le sue caratteristiche facendo una incredibile operazione di brand marketing: se non può proporsi sfruttando il talento attoriale di colleghi come Dustin Hoffman e Robert De Niro, può però inventarsi un nuovo spazio che illumina le sue caratteristiche; è l’inizio di un fortunatissimo filone di action movie in cui la possenza fisica parla al posto delle sfumature espressive e vocali, in cui il personaggio di finzione si piega alla struttura del personaggio reale.
Grazie a una spiccata capacità di fare squadra (affinata nel corso della sua carriera sportiva), a una indubbia dose di fortuna e a una ferma risoluzione che non contempla il fallimento, diventa una icona planetaria. Se c’è uno scotto da pagare, riguarda la rinuncia a una sfera emotiva che potrebbe destabilizzare un percorso che va avanti a ritmo di passo marziale, in una narrazione di se stesso in cui “forza”, “duro lavoro”, “competitività”, “fiducia incrollabile” sono le spinte motrici.
Non chiamatemi self-made man
Se stupisce il successo così sfolgorante in un campo, quello del cinema, con cui ha dovuto cimentarsi partendo da zero, il percorso che l’ha portato a diventare 38° Governatore della California (carica che ha coperto per due mandati consecutivi) appare ancora più sorprendente. Soprattutto se, come racconta lo stesso Schwarzenegger, una volta eletto, sedutosi alla sua scrivania, la prima domanda che si è fatto è stata “Quindi adesso che dovrei fare? Aspetto che mi portino carte da firmare o proposte di legge?“.
Anche qui lo schema si ripete: Schwarzenegger non cerca di vendere altri se non se stesso, rimane fedele al suo personaggio e lo sfrutta per guadagnare credibilità, approvazione e simpatia anche in campo politico. A poco sono valsi i tentativi di screditarlo di fronte all’opinione pubblica, quando è stata rivelata l’esistenza di un figlio tenuto nascosto e avuto anni prima con una governante (avvenimento, questo, che se non gli ha precluso l’ascesa politica, ha però determinato la fine del suo matrimonio con Maria Shriver Kennedy), oltre che le svariate accuse di molestie arrivate da una ventina di donne.
A conti fatti, quella che ci viene raccontata da uno Schwarzenegger sornione che gigioneggia totalmente a suo agio di fronte alla camera, è una vita di cui tiene salde le redini anche della narrazione, che si mantiene su un livello divertito e divertente, a tratti più incisivo quando si tratta di condividere il suo approccio alla vita, a tratti molto trattenuto quando si entra nel campo da gioco delle emozioni. Onesto, invece, quando si tratta di distribuire i meriti del suo successo: “Non chiamatemi self-made man”, precisa l’attore. Non sarebbe arrivato sulle vette in tre differenti ambiti se al suo successo non avessero contribuito in modo determinante un numero di persone, più o meno influenti, che hanno creduto, supportato e investito nella sua realizzazione.
Un confronto inevitabile fra docu-serie
È inevitabile, a pochi giorni o mesi di distanza dall’uscita di altre docu-serie dedicate a iconiche figure femminili che hanno goduto di una ondata travolgente di successo, un confronto sulla diversità di genere nell’abitare il mondo dello star system in epoca precedente al #MeToo. Il racconto di Anderson, Smith e Shields è non solo attraversato, ma plasmato dalle violenze di genere di cui sono state vittime. In tutti e tre i casi le problematicità dovute al loro essere donne vengono rivendicate e messe al centro della narrazione.
È un divario enorme, quello che emerge fra protagoniste femminili e maschili dello star system. Laddove Schwarzenegger può permettersi di relegare a striscia marginale gli “sbagli/offese” perpetrati nei confronti delle donne incontrate nel corso della sua carriera, Anderson, Brook e Shields, in quanto vittime, sono portatrici di un vissuto traumatico impossibile da oscurare. Lo sanno bene Anderson e Shields, che dedicano buona parte della narrazione alla condivisione degli episodi, e forse lo saprebbe anche Smith, di cui purtroppo non ci è dato sentire la voce.
La recensione in breve
Una miniserie in cui ripercorriamo la vita eccezionale di Arnold Schwarzenegger, dagli iniziali successi come culturista al governatorato californiano, passando per la fama mondiale raggiunta grazie ai suoi film. Una narrazione (arricchita dalle testimonianze di nomi illustri) che Schwarzenegger porta avanti con disinvoltura e restando perfettamente in linea col suo personaggio.
-
Voto CinemaSerieTV