Titolo episodio: I sogni nella casa stregata La serie: Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities (id.) del 2022. Regia di: Catherine Hardwicke Cast: Rupert Grint, Ismael Cruz Cordova, DJ Qualls.
Genere: horror Durata 63 minuti. Dove lo abbiamo visto: in anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: Incapace di elaborare la morte della sorella, Walter cercherà in tutti i modi di raggiungere il suo fantasma, senza fermarsi di fronte a nulla e arrivando a sperimentare soluzioni impreviste.
Il secondo della terza coppia di episodi di Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities dedicata alle opere di Lovecraft s’intitola I sogni nella casa stregata, come l’omonimo racconto dello scrittore scritto nel 1932 e appartenente al cosiddetto Ciclo di Cthulhu. È un’informazione che ci sentiamo di dare sin da subito e che farebbe felici tutti gli appassionati del genere, dato che non se ne ha mai abbastanza di vedere sullo schermo trasposizioni di storie che hanno a che fare con gli Antichi, il libro dei morti Necronomicon e tutta la mitologia di incubi creata dall’autore di Providence.
Questa recensione del sesto episodio di Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities è destinata però a regalarvi un dispiacere: I sogni nella casa stregata, diretto dalla regista di Twilight e Cappuccetto rosso sangue Catherine Hardwicke, spoglierà la storia di (quasi) tutti i riferimenti legati al ciclo di Cthulhu, puntando tutto su una storia di fantasmi, streghe e lutti mai elaborati, banalizzando tutto il contesto onirico attraverso una messa in scena che rinuncia all’originalità. Seconda parte di un dittico che avrebbe dovuto stimolare gli spettatori (anche in riferimento a quanto lo stesso del Toro stia inseguendo un suo progetto del cuore proprio partendo da un romanzo breve di Lovecraft, quelle Montagne della Follia che sembrano sempre più lontane), I sogni nella casa stregata non convince pienamente.
La trama tra morte, fantasmi e streghe
Walter Gilman (interpretato da un ritrovato Rupert Grint, il Ron Weasley della saga di Harry Potter, che qui però cede a qualche esagerazione di troppo) non si dà pace. Ancora shockato dalla morte della sorella, quando erano entrambi bambini, ha passato la vita a inseguire potenziali medium che potessero connettersi con l’aldilà, così da poterla contattare e riportare in vita, come le aveva promesso anni prima. Nel frattempo, ha gettato tutto il suo talento e il suo destino di bravo pianista, lasciandosi andare piano piano. L’occasione di recuperare la sorella avviene quasi per caso, quando la sua storia e quella di una pittrice s’incroceranno, nel mezzo di strane soluzioni oppiacee. Proprio perdendosi nei deliri delle “pozioni magiche”, Walter scoprirà che il fantasma della sorella è vivo e tangibile, perso in una foresta. L’esistenza di una casa stregata, appartenente a una megera dai grandi e terribili poteri, lo spingerà a tentare il tutto e per tutto per raggiungere il suo ambito obiettivo. Ma la notte è oscura e terribile tra le mura di quella casa diroccata.
È una storia che, anziché puntare sul lato onirico e delirante, come ci si aspetterebbe da un racconto tratto da Lovecraft, scrittore degli incubi e dell’anormalità indescrivibile, sprigiona un romanticismo gotico, dove l’orrore diventa un semplice ingrediente per venire a patti con sé stessi e i propri sentimenti. Non che questo debba essere considerato come un difetto (anzi, a suo modo, è un’interpretazione che regala una visione che è propria della regista nei confronti del racconto originale): I sogni nella casa stregata funziona nella sua prima metà, proprio grazie a un racconto chiaro nello sviluppo e coerente con la messa in scena, e poco importa se risulta più o meno fedele alla fonte letteraria.
L’orrore al tempo di Netflix
È curioso come, una volta superata la metà dei racconti che il Cabinet ci propone, l’operazione antologica della serie presentata da Guillermo del Toro continui a mostrare meno creatività del previsto, relegandosi molto spesso a canoni e formule dell’horror più mainstream e generalista, quasi la visione del regista potesse essere interscambiabile a favore della ricerca di un pubblico il più ampio ed eterogeneo possibile. Questo sesto episodio corrisponde perfettamente a quell’horror che sa come creare le atmosfere giuste, ha cura nella scenografia, addirittura è capace di dare vita a una creatura, la strega Keziah, spaventosa grazie al trucco prostetico (e quindi materico, tangibile, vero), ma fallisce nel trovare non solo un equilibrio narrativo, ma anche una coerenza nella messa in scena.
È un orrore che diventa via via sempre più vuoto e superficiale, dove la paura del “non visto” viene lasciata da parte per portare tutto sotto l’occhio della macchina da presa, togliendo fascino e mistero alla narrazione stessa. Una perdita di fiducia che non colpisce solo il pubblico, che sembra costantemente bisognoso della spiegazione, dell’esplicazione e dell’assenza di tutto ciò che è ambiguo (e di conseguenza creativo), ma anche i filmmaker stessi, che cadono malamente sull’utilizzo di una CGI che spezza la sospensione dell’incredulità (il mezzo uomo/mezzo topo Brown Jenkin è veramente un fallimento). Più il racconto procede, più si rimane incollati alla superficie più scontata e meno intrigante della vicenda. A quel punto anche la fotografia basata in gran parte sul teal and orange più che un’idea di visione prende la voce di un filtro digitale che tutto anestetizza.
La recensione in breve
Il sesto episodio di Guillermo del Toro's Cabinet of Curiosities, I sogni della casa stregata, procede spegnendosi sempre più. Non bastano le scenografie curate, un ottimo trucco prostetico e un'atmosfera spesso vincente per supportare un Rupert Grint esagerato e una storia poco originale. Una storia horror che insegue i dettami e le formule digitali, incapace di scegliersi un pubblico vero, cercando di accontentare tutti e sacrificando una visione d'autore.
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