Titolo episodio: I ratti del cimitero La serie: Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities (id.) del 2022. Regia di: Vincenzo Natali Cast: David Hewlett
Genere: horror Durata 38 minuti. Dove lo abbiamo visto: in anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: Sommerso dai debiti, un ladro di tombe cerca di recuperare denti d’oro dai cadaveri. Una notte, però, per raggiungere un tesoro inestimabile dovrà scivolare lungo una tana di ratti.
Seconda storia per la prima giornata di uscita di Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities. Secondo racconto che si lega tematicamente (e solo per questo motivo) al precedente creando un dittico dal titolo Spazzini. Premesse simili nel soggetto, ma diversa l’ambientazione, il protagonista e – ovviamente – lo svolgimento della storia. Il che crea una nota positiva non solo per la serie, ma anche per lo spettatore stesso. Infatti, come avevamo raccontato nella nostra recensione del primo episodio Lotto 36, il Cabinet of Curiosities non era iniziato in maniera esplosiva, bloccandosi in una formula poco originale seppur dotata di un certo fascino.
Con la regia ispirata di Vincenzo Natali, regista di Cube – Il cubo e Splice, assistiamo invece a un racconto più centrato e funzionante, di cui vi parleremo nella recensione del secondo episodio di Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities, dal titolo I ratti del cimitero, una storia gotica e piena di orrore come se fosse uscita da un angolo nascosto del cassetto di Edgar Allan Poe.
La trama: storia di ratti
Masson (un David Hewlett da one man show) è un uomo dalla parlantina facile, a prima vista furbo e scaltro, ma anche sfortunato. È sommerso dai debiti e, per ripagarli, è costretto a razziare il cimitero di Salem, aprendo le tombe e sperando di trovare denti d’oro, nelle bocche dei cadaveri, da poter rivendere. Gli affari, però, da un po’ di tempo non stanno andando come previsto: una colonia di ratti sta divorando i corpi all’interno delle tombe, lasciando solo che resti al povero, ma cattivo Masson. L’occasione propizia non tarda ad arrivare: un esponente di una famiglia aristocratica viene sepolto con oggetti di grande valore e Masson farà di tutto per prenderne possesso. Anche a costo di scivolare dentro la tana dei suoi odiati ratti del cimitero.
Ladri e mostri. La trama de I ratti del cimitero porta sullo schermo un orrore su più livelli: quello umano, rappresentato da Masson, e quello mostruoso, rappresentato dai ratti. Ruoli pronti a scambiarsi per dare vita a un percorso di inabissamento del protagonista, ratto tra i ratti, pronto a strisciare e abbandonare sempre più ciò che lo lega alla superficie terrestre. Una discesa agli inferi che lo cambierà per sempre.
Un bell’esempio di orrore
I ratti del cimitero, a differenza dell’episodio precedente, riesce a regalare più di qualche momento di tensione, con una storia lineare e semplice, ma che regala parecchie soddisfazioni (comprese alcune sorprese che complicheranno ancora di più la vita di Masson). Complice anche la durata esigua (meno di 40 minuti) si ha la sensazione di un episodio che non perde tempo e fila dritto al dunque, ben consapevole di saper come spaventare lo spettatore “alla vecchia maniera”. Mettendo da parte jumpscare e tutti gli ingredienti a cui siamo abituati nell’horror contemporaneo, I ratti del cimitero preferisce costruire una tensione continua, valorizzando sin da subito l’atmosfera in cui il protagonista è immerso.
Proprio l’ambientazione che richiama la sporcizia e l’oscurità della Londra vittoriana, con le sue strade bagnate di pioggia, le luci soffuse e i muri ammuffiti, contribuisce nel migliore dei modi a farci credere a ciò a cui stiamo assistendo (una storia del genere, ambientata nel presente, non avrebbe mai funzionato), creando una dimensione quasi letteraria, da impolverata storia di paura. A questo si aggiunge una fotografia curata, che con un uso sapiente dei colori, dona all’episodio un look riuscito. Funziona a dovere anche l’amalgama tra effetti pratici e digitali, riuscendo a non interrompere mai la sospensione dell’incredulità da parte dello spettatore. Niente appare fuori posto.
Questione di stile
Il genere horror, lo sappiamo, è un genere che lascerebbe carta bianca ai realizzatori. Lo stile di regia risulta, quindi, essenziale per la riuscita della tensione, della paura e dell’inaspettato che si deve raccontare. Vincenzo Natali, in questi 38 minuti, si diverte molto, trovando soluzioni che non possono che intrattenere a dovere sia lo spettatore più casuale che l’appassionato del genere. Con primi piani ravvicinati, distorti, o un semplice gioco di ombre (seguendo la mitologica regola che l’orrore fa più paura quando è solo accennato), Natali regala ritmo e personalità a un episodio che, soprattutto se visto in continuità con il precedente, non brilla particolarmente nel finale. Più che l’arrivo, però, è importante il viaggio. E quella di Masson è un’avventura che coinvolge e riesce a trascinare lo spettatore con lui, giù nelle profondità misteriose del cimitero. Tanto da ricordarci che non è importante cosa si racconta, ma come lo si fa.
La recensione in breve
Il secondo episodio di Guillermo del Toro's Cabinet of Curiosities, dal titolo I ratti del cimitero, diverte e intrattiene con una storia d'orrore vecchio stampo, dove il protagonista interpretato da David Hewlett funziona a dovere, reggendo tutta la storia su di sé. La trama non racconta nulla di particolarmente originale, ma la regia e lo stile di Vincenzo Natali sono capaci di creare la giusta atmosfera, portando a casa il risultato. Una storia di mezzanotte che funziona e che regala più di qualche brivido di piacere.
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