Titolo episodio: Driftmark La serie: House of the Dragon (id.) del 2022. Regia di: Miguel Sapochnik Cast: Paddy Considine, Emma D’Arcy, Matt Smith, Olivia Cooke.
Genere: fantasy, drammatico. Durata 59 minuti. Dove lo abbiamo visto: in anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: Il funerale di Lady Laena sconvolge ancora una volta gli equilibri, dando vita a nuovi conflitti e nuove alleanze.
Se c’è una cosa che distingue prepotentemente House of the Dragon dalla sua serie madre è il ritmo con cui la storia viene raccontata. Quasi volesse confermare con orgoglio l’essenzialità e la schiettezza che caratterizzava le ultime due stagioni de Il Trono di Spade, anche questo prequel preferisce andare dritto al punto, lasciando da parte tutte quelle lunghe attese ricche di tensione e di lento crescendo che immobilizzavano la narrazione. Una scelta che da un lato regala un racconto ricco di eventi, di stravolgimenti e di colpi di scena: impossibile annoiarsi, e nonostante un certo incedere costante, anche questo settimo episodio di House of the Dragon è capace di stravolgere gli equilibri che ci erano stati mostrati solo una settimana fa. Il rovescio della medaglia, però, è la sensazione di non avere la possibilità di legarsi davvero ai personaggi, le cui azioni sono spinte da motivazioni a primo impatto un po’ troppo superficiali.
Poco male, in realtà. Perché, come vedremo nella nostra recensione di House of the Dragon 1×07, questo Driftmark regala comunque un’ora di televisione avvincente e ben costruita, grazie soprattutto a una regia (l’ultima, a quanto pare, in quest’universo narrativo) di Miguel Sapochnik ricercata e preziosa.
Una trama lunga una notte
Difficile raccontare senza spoiler la trama di questo settimo episodio di House of the Dragon. Si tratta, infatti, di un episodio che risulta più attento alle modalità di racconto che agli eventi veri e propri, che pure non mancano e anzi, fanno letteralmente volare i 59 minuti che compongono la puntata. È il giorno della cerimonia funebre di Lady Laena, seconda moglie di Daemon Targaryen (Matt Smith) che nello scorso episodio ha compiuto un atto suicida. Tutti i protagonisti principali sono riuniti a Driftmark, l’isola sede della casata dei Velaryon. La cerimonia sarà l’occasione per risolvere alcune questioni da troppo tempo in sospeso. O di farne esplodere di nuove.
Partendo dalla giornata e concentrandosi sugli eventi di una notte, Driftmark segna una cesura importante nella narrazione di House of the Dragon, dando inizio a quello che si presenta come un esplosivo ultimo atto di una stagione che ha raccontato molto, ma che sembra sempre faticare a partire davvero. Questa volta, invece, impossibile pensare che la rivoluzione narrativa in atto non sia da considerare un punto di non ritorno e chissà se, dopo aver accuratamente affilato le lame, ora non sia arrivato il momento di affondarle.
La regia perfetta di Sapochnik
La notizia dell’abbandono, se non come produttore esecutivo, di Miguel Sapochnik dal mondo di House of the Dragon, annunciata qualche settimana fa, ci aveva lasciato un amaro sapore in bocca. Certo, il regista britannico, dopo ormai sette anni in cui ha incrociato le strade di Westeros, non ha più nulla da dimostrare (suoi gli episodi più memorabili della serie, a partire da Aspra Dimora sino all’indimenticabile Battaglia dei Bastardi) e comprendiamo il suo desiderio di lasciare quest’universo narrativo. Eppure non possiamo fare a meno di dispiacerci una volta di più, dopo essere arrivati ai titoli di coda di questo episodio che è l’ennesima dimostrazione di un talento registico creativo che ci mancherà molto.
Perché, più che grazie ai virtuosismi, Sapochnik riesce a raccontare perfettamente un’aria tesa attraverso gli sguardi dei personaggi che si scambiano, dipingendo inquadrature quasi nero su nero, desaturando i pochi colori presenti. È una notte, quella raccontata in quest’episodio, che corrisponde alla nera anima dei personaggi, al male che si è ormai insinuato e che sta divorando tutto il loro mondo. Una rappresentazione così piena di fiducia nelle immagini e che risulta così potente tanto da poter sacrificare i dialoghi, perché non c’è parola che possa sostituire ciò che già viene mostrato. I primi dieci minuti sono un piccolo gioiello televisivo, al rovescio di quelli che aprivano l’episodio precedente (sempre diretto dallo stesso regista). Se lì il piano sequenza immergeva lo spettatore in una situazione dolorosa e assurda, qui la formalità della messa in scena ingabbia i personaggi. Con i loro comportamenti, il loro orgoglio e la loro sete di potere.
Un cast che si scalda
Non solo regia e scrittura. In un episodio in cui al centro ci sono dinamiche relazionali e un cambio di status quo il peso del racconto in gran parte lo porta anche il cast. Dopo sette episodi possiamo dire che in House of the Dragon gli attori in scena non deludono, risultando sempre convincenti e in parte, lontani dal rischio di trasformarsi in stereotipi in costume. Colpisce come le giovani attrici e i giovani attori, che danno vita alla generazione successiva di Targaryen, siano già riusciti a caratterizzarsi al meglio, ognuno con la propria personalità e senza cedere a una recitazione pesante.
Non avevamo dubbi sul talento di Emma D’Arcy e Olivia Cooke e, dopo la presentazione dello scorso episodio, in Driftmark le due hanno la possibilità di alzare la posta in palio, dando vita al primo vero conflitto della stagione. Rhaenyra e Alicent sono ormai donne, i loro volti più spigolosi e duri racchiudono rabbia e desiderio, conseguenza di un mondo maschile che le ha plasmate. In questo si giustifica per la prima volta la staffetta tra le due attrici e le precedenti Milly Alcock ed Emily Carey.
Fuoco e acqua
Targaryen e Velaryon. La casa del fuoco e quella dell’acqua. Nel matrimonio (combinato e di facciata, ovviamente) tra Rhaenyra (Emma D’Arcy) e Laenor si ritrova il conflitto della serie stessa. È la stessa Rhaenyra, in un dialogo con lo zio Daemon, a notare le differenze tra le fiamme che imprigionano e il mare che permette vie di fuga. House of the Dragon con questi due elementi ha dato vita a un matrimonio conflittuale, tra la voglia di staccarsi dalla serie madre per poter costruire una narrazione propria e la necessità di rivolgersi a un pubblico di appassionati che aveva amato Il Trono di Spade delle prime stagioni. Il racconto, però, di partenza è sin troppo intimo e ridimensionato rispetto alla portata epica della serie precedente. Il risultato è un’opera che cerca di replicarne gli aspetti più memorabili, senza però riuscire a costruire una dimensione narrativa innovativa e più efficace.
A questo proposito basterebbe ascoltare la colonna sonora di Ramin Djawadi, sin troppo derivativa del suo lavoro precedente, e che – a differenza della fotografia, con quella ricercatezza di luce naturale che affresca l’immaginario mondo di Westeros e lo caratterizza – impedisce alla serie di costruirsi una vera e propria identità separata. Che in una storia di conflitto tra generazioni, con figli che tentano di rompere le leggi dei padri, sarebbe opportuno. La sensazione che permane (e che speriamo venga dimenticata con gli ultimi tre episodi) è che House of the Dragon sia sul dorso di un drago pesante, che spicca il volo. E che ha bisogno di dominare prima di potersi godere la vista e la brezza addosso.
La recensione in breve
Il settimo episodio di House of the Dragon (1x07) regala un'ora di televisione in cui spicca la regia di Miguel Sapochnik, capace di raccontare i numerosi eventi e le tensioni dai personaggi con le immagini notturne. Il cast funziona a dovere e la curiosità per gli ultimi episodi è tanta, ma la serie ora ha anche bisogno di spiccare il volo e costruirsi un'identità più precisa invece di replicare le dinamiche e lo stile de Il Trono di Spade.
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