Titolo episodio: The Rogue Prince La serie: House of the Dragon (id.) del 2022. Regia di: Greg Yaitanes Cast: Paddy Considine, Milly Alcock, Matt Smith, Emily Carey.
Genere: fantasy, drammatico durata 66 minuti. Dove lo abbiamo visto: anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: Una minaccia da parte delle Città Libere mette a repentaglio la stabilità del regno. Re Viserys deve compiere una scelta complicata per mantenere la pace. Nuove alleanze prendono forma, mentre tra i Targaryen avvengono le prime fratture.
Ammettiamolo: il ritorno nelle terre di Westeros ci ha fatto vibrare stomaco e cuore, inutile negarlo. Nel bene e nel male, la serie HBO che ci ha accompagnato per otto lunghe stagioni ha contribuito a costruire un immaginario talmente persuasivo da non poterlo abbandonare facilmente. Ed è così che solo una settimana fa si ritornava ad Approdo del Re con l’impazienza e la curiosità di chi non è ancora pronto a lasciarsi alle spalle quel mondo. Un ritorno che ci aveva convinto, ma che sembrava vivere un po’ troppo di luce riflessa della serie madre.
Con il suo secondo episodio, House of the Dragon mostra finalmente una sua propria identità, mantenendo sì un legame con gli elementi vincenti de Il Trono di Spade, ma traslandoli nella propria narrativa e attraverso il proprio stile. Il risultato è duplice, perché non solo The Rogue Prince, questo il titolo dell’episodio, sembra far decollare una storia rimasta un po’ troppo nascosta nella première, ma fa percepire in misura maggiore la peculiarità di questo racconto. Infatti, come vedremo nella nostra recensione del secondo episodio di House of the Dragon, la serie prequel de Il Trono di Spade creata da Ryan Condal e George R. R. Martin, riesce nell’impresa non solo di evitare ogni paragone col passato, ma anche di dimostrarsi -se possibile- ancora più contemporanea.
Trama di trame
L’inizio è scioccante e indimenticabile: il corpo di un soldato ferito a morte, steso sulla sabbia, mentre viene divorato dai granchi. Siamo di nuovo a Westeros, siamo di nuovo intrisi di quella brutalità un po’ primordiale che aveva fatto la fortuna (e il fascino) di Game of Thrones. Un inizio che fa subito sobbalzare lo spettatore a causa della sua violenza grafica: non capita tutti i giorni di vedere un granchio spezzare la carne di un uomo con le sue piccole e tenaci chele. Proprio questa prima scabrosa immagine mette in risalto la trama dell’episodio (e, crediamo, dell’intera stagione). Il corpo non è più quello di un soldato, ma di un re e il suo regno. E a scarnarlo piano piano non è un crostaceo ma le persone intorno a lui, anche della sua stessa famiglia.
The Rogue Prince, titolo che pone l’accento sul personaggio di Daemon Targaryen interpretato da Matt Smith, mette in scena personaggi che iniziano una partita a scacchi. L’obiettivo è sempre lo stesso: mangiare il re e acquisirne il potere. Un re che, dopo gli eventi dello scorso episodio, si vede indebolito: le Città Libere stanno attaccando la flotta di Lord Corlys che chiede vendetta, il fratello Daemon, confinato a Roccia del Drago, aspira al Trono e provoca Rhaenyra, mentre il Concilio Ristretto, coi componenti in disaccordo, non sembra più parlare con una voce sola. Inoltre, Viserys è costretto a compiere scelte controvoglia, per il bene del regno. Senza una moglie e un vero e proprio erede biologico, Viserys dovrà sposare un’altra donna, ma la scelta avrà delle conseguenze.
Una dimensione intima
Se poco più sopra abbiamo parlato di “partita a scacchi” non l’abbiamo fatto a caso: House of the Dragon ha tutta l’aria di un gioco di troni riflessivo e più machiavellico, dove i pericoli non si trovano al di fuori del palazzo di corte, ma al proprio interno. Più limitato nelle ambientazioni, la serie di Condal e Martin sfrutta appieno le mura di Approdo del Re per trovare la propria unicità narrativa. È proprio tra quelle mura che dovrebbero simboleggiare una certezza assoluta, la fortezza del regnante, l’immagine del potere, che i Sette Regni vedono la propria integrità danneggiarsi. Distante dall’essere un racconto che si dipana attraverso diverse storyline, House of the Dragon si focalizza su una famiglia, quella dei Targaryen, indagandone e rappresentandone una dimensione intima che dona nuovo significato e profondità all’opera.
Merito di una fotografia soffusa e curata, che porta il prequel ad assomigliarsi stilisticamente, dal punto di vista visivo, alla serie madre (le scene sono illuminate da quella che sembra costantemente luce naturale, che sia del sole o delle candele nelle stanze), ma che muta lo sguardo dello spettatore rispetto al canone. Le mosse sulla scacchiera non sono eventi bigger than us, ma azioni umane che tendono a ferire in maniera individuale i personaggi. È questa la carta vincente della serie. Laddove Il Trono di Spade portava in scena una Storia più grande, dove le tragedie appartenevano quasi al compiersi di un destino superiore, qui percepiamo in misura maggiore la cattiveria e l’arguzia, la malvagità e l’intelligenza. Ogni passo verso il potere, ogni decisione e ogni scelta si ripercuotono nei sentimenti dei personaggi, dando vita a quelli che hanno il sapore di tradimenti personali. D’altronde, per spezzare un regno bisogna prima spezzare le persone.
Tutto verso l’interno
Intimità, a volte, fa rima con chiusura verso l’esterno. Non sorprende, quindi, la scelta di chiudere i personaggi dentro quello che viene definito “l’ordine delle cose”. Il re deve avere una moglie, Rhaenyra non può pretendere il trono, Lord Corlys non può prendere decisioni in autonomia, Rhaenys non potrà mai essere regina… C’è un senso di chiusura, non solo nella rappresentazione delle leggi del mondo patriarcale e maschilista che viene raccontato, ma anche dei luoghi e degli ambienti in cui si muovono i personaggi. Se all’interno della Fortezza Rossa le mura sembrano circondare i personaggi che vivono all’interno, ascoltando i loro segreti, partecipando alle loro confessioni, separandoli dal mondo esterno, la stessa cosa avviene fuori dalle mura. Che siano siepi, alberi, precipizi nascosti dalla nebbia, le figure umane sono circondate e ingabbiate dalla natura, impossibilitate a guardare la linea dell’orizzonte. La rinuncia di uno sguardo che si volgerebbe al futuro e al cambiamento.
Eppure il cambiamento è nell’aria. Si percepisce nel momento in cui, sempre nelle scene iniziali, passiamo dal corpo dilaniato dai granchi a un bicchiere che si riempie di vino. Siamo in una riunione del Concilio Ristretto e Rhaenyra, nonostante sia l’erede designata dal padre, è la serva che riempie le brocche ai Lord. In quel gesto così naturale eppure così stanco, così attento ma deciso, il vino sembra tramutarsi in sangue. Lo stesso che ribolle nelle vene dei Targaryen e lo stesso che ribolle nelle vene di Rhaenyra. Lo stesso sangue che scorrerà. E se questa volta il tutto sembra essere posticipato (e che gran coppia di attori Matt Smith e Milly Alcock), nell’aria inizia a sentirsi un caldo odore di ferro. La chela è penetrata nella carne.
La recensione in breve
Il secondo episodio di House of the Dragon mostra le piacevoli e interessanti differenze con la serie madre costruendosi una sua propria identità. Con una dimensione più intima e machiavellica e un ottimo gusto registico e visivo, la serie inizia a muovere i personaggi verso il loro destino, con un episodio che porta avanti la trama e inizia a fratturare gli equilibri narrativi. Matt Smith e Milly Alcock rubano la scena.
- Voto CinemaSerieTv