La serie: Il tatuatore di Auschwitz, 2024. Creata da: Jacquelin Perske. Cast: Jonah Hauer-King, Anna Próchniak, Jonas Nay: Stefan Baretzki, Melanie Lynskey, Harvey Keitel. Genere: Drammatico, sentimentale, storico. Durata: 50 minuti circa/6 episodi. Dove l’abbiamo visto: su NOW.
Trama: Lali Sokolov, un ebreo slovacco deportato nel campo di concentramento di Auschwitz, riceve l’ordine di tatuare i numeri di identificazione sugli avambracci dei suoi compagni detenuti.
A chi è consigliato? A chi non è facilmente impressionabile.
Ispirata al bestseller omonimo di Heather Morris, la miniserie in 6 episodi Il tatuatore di Auschwitz narra la struggente storia di Lali, un giovane ebreo slovacco deportato ad Auschwitz nel 1942. Da qui, emerge un racconto commovente di amore e sopravvivenza, con Lali che incontra Gita, un’altra prigioniera, mentre le tatua il numero identificativo sul braccio. Questo incontro diventa un faro di speranza, un’ancora di salvezza in un mare di disperazione, dimostrando come anche nelle situazioni più disperate, l’amore possa illuminare il cammino.
Tuttavia, come vedremo nella nostra recensione de Il tatuatore di Auschwitz, mentre lo show getta luce su una delle questioni più complesse e angoscianti dell’Olocausto, ovvero quella del senso di colpa e della complicità, offre una rappresentazione della sofferenza umana che sembra quasi spettacolarizzata, piuttosto che presentare in modo da stimolare una riflessione profonda su uno dei capitoli più bui della storia umana. L’opera di Jacquelin Perske si pone quindi come un’opera potente ma complessa, capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano, ma anche esposta a critiche sulla sua rappresentazione della storia.
Una storia di orrore e di speranza
2003. Nelle quiete del suo appartamento di Melbourne, l’anziano vedevo Lali Sokolov (Harvey Keitel) è seduto di fronte all’aspirante scrittrice Heather Morris (Melanie Lynskey), intento a raccontarle la sua storia. La storia di un giovane ebreo slovacco deportato nel campo di sterminio di Auschwitz II-Birkenau in Polonia, dove gli viene affidato l’atroce compito di tatuare i numeri di serie sulle braccia dei nuovi arrivati. È durante una di queste terribili sessioni che il giovane Lali (Jonah Hauer-King) incrocia lo sguardo di Gita (Anna Próchniak), una ragazza vivace e coraggiosa della quale si innamora all’istante. Grazie ai privilegi che il lavoro di Lali porta con sé e alla protezione data alla coppia dall’instabile ufficiale delle SS Stefan Baretzki (Jonas Nay), i due saranno in grado di far crescere i propri sentimenti in un contesto di morte e disperazione e, proprio grazie a quei sentimenti, a sopravvivere.
L’amor che move il sole e l’altre stelle
Il tatuatore di Auschwitz ci trasporta in un mondo di orrore e disperazione, ma anche di amore e speranza: la storia tra Lali e Gita, infatti, emerge come un raggio di luce nel buio dell’Olocausto. Non si tratta di una storia d’amore convenzionale, bensì di una testimonianza struggente della resilienza umana, del potere dell’amore nel sopravvivere anche all’indicibile. Dal momento in cui i loro sguardi si incrociano sull’ago del tatuaggio, il legame tra i due ragazzi diventa la loro ancora di salvezza, un’oasi di gioia e speranza in mezzo alla brutalità del campo di concentramento. E, nonostante la serie non esiti a mostrare anche il peso che il dolore e la sofferenza per un passato tormentato avranno sui successivi sessant’anni di matrimonio della coppia, il forte sentimento che li lega è ciò che dà a Lali la forza di andare avanti, la speranza di un futuro migliore nonostante le avversità.
La questione del senso di colpa
La serie getta luce su una delle questioni più complesse e angoscianti dell’Olocausto: il senso di colpa e la questione della complicità. Il protagonista Lali, infatti, si trova in una posizione ambigua all’interno del campo di concentramento, essendo il tatuatore incaricato di marchiare i prigionieri appena arrivati, ruolo che gli conferisce alcuni privilegi e un trattamento relativamente migliore rispetto agli altri detenuti. Tuttavia, nonostante i vantaggi, Lali è angosciato dal senso di colpa e dalla dissonanza cognitiva che deriva dalla sua posizione. Nelle interviste con Heather, l’uomo rivela una brutale verità dietro quella sua mansione apparentemente privilegiata, mostrando il tormento che lo ha perseguitato per anni e mettendo in atto deboli tentativi di giustificare le proprie azioni.
Sebbene Lali cerchi di bilanciare la sua posizione con atti di generosità e compassione verso i suoi compagni, la serie mette in evidenza l’incoerenza e l’ingiustizia del sistema all’interno del campo; nonostante le sue buone intenzioni, infatti, il protagonista è costretto a confrontarsi con il fatto che il modo in cui viene trattato è in netto contrasto con la brutalità e la violenza inflitte agli altri prigionieri. Questa divergenza evidenzia la complessità morale e psicologica delle persone coinvolte nell’Olocausto e solleva interrogativi su come ognuno di noi reagirebbe se si trovasse in situazioni così estreme: accetteremmo (anche in minima parte) di collaborare o resteremmo fedeli ai nostri valori a costo della vita?
Tanto dolore per nulla
Il tatuatore di Auschwitz offre uno sguardo crudo e brutale sulla vita nel campo di concentramento durante l’Olocausto. Tuttavia, la presenza di una storia d’amore melodrammatica tra i protagonisti, Lali e Gita, tende a infondere una sorta di romanticismo artificiale nella narrazione: mentre la brutalità e l’orrore dei campi di concentramento sono resi in maniera anche troppo vivida, infatti, l’inserimento di momenti sentimentali può sembrare fuori luogo e riduttivo rispetto alla gravità degli eventi che avvengono sullo sfondo. Ancor di più se la rappresentazione della sofferenza umana sembra quasi essere spettacolarizzata, piuttosto che presentata in modo da stimolare una riflessione profonda su uno dei capitoli più bui della storia umana.
La serie spinge anche a una riflessione su come dovremmo rappresentare l’Olocausto nei media. Se da un lato film come La zona d’interesse di Jonathan Glazer cercano di penetrare nel cuore della malvagità umana attraverso una lente più sottile e introspettiva, Il tatuatore di Auschwitz sembra concentrarsi principalmente sull’orrore viscerale e sulla brutalità evidente. Ma, mentre la violenza e la crudeltà dei nazisti sono descritte nei minimi dettagli, manca invece una narrazione profonda che offra una comprensione più completa delle complessità storiche e umane di quel periodo. Questa mancanza di contesto e riflessione critica potrebbe portare la serie a rischiare di ridurre l’Olocausto a uno spettacolo di sofferenza senza una vera profondità emotiva o intellettuale.
La recensione in breve
Il tatuatore di Auschwitz è una testimonianza struggente della resilienza umana e getta luce su una delle questioni più complesse e angoscianti dell'Olocausto, ovvero quella del senso di colpa e della complicità. Tuttavia, offre una rappresentazione della sofferenza umana che sembra quasi essere spettacolarizzata, piuttosto che presentata in modo da stimolare una riflessione profonda su uno dei capitoli più bui della storia umana.
Pro
- Una testimonianza struggente della resilienza umana
- Esplora la complessa questione del senso di colpa e della complicità
Contro
- Tende a spettacolarizzare il dolore e la sofferenza
- Voto CinemaSerieTV