La serie: La casa di carta: Corea 2, 2022. Creata da: Kim Hong-sun e Ryu Yong-jae. Cast: Yoo Ji-tae, Park Hae-soo, Jeon Jong-seo, Kim Ji-hoon, Jang Yoon-ju, Yunjin Kim, Lee Hyun-woo, Lee Joo-bin, Ko Myung-tae, Yoon Mi-seon, Lee Si-woo. Genere: Azione, drammatico, thriller. Durata: 70 minuti ca./6 episodi. Dove l’abbiamo visto: in anteprima stampa, su Netflix.
Trama: Prosegue il racconto delle adrenaliniche avventure della banda di ladri capitanata dal Professore, fra colpi di scena, tradimenti e combattimenti ad alta tensione, il tutto ambientato in un orizzonte distopico in cui le due Coree sono state riunite, inaugurando una collaborazione politica e militare dietro la quale si nascondono obiettivi economici da parte di una classe dirigente indifferente alle diseguaglianze sociali.
Debutta su Netflix la seconda tranche di episodi (per un totale di dodici) del remake coreano di una delle serie simbolo della piattaforma, La casa di carta. Sei nuovi episodi diretti da Kim Hong-sun e scritti da Ryu Yong-jae, che vedono l’ideatore del format originale Alex Pina nel ruolo di produttore esecutivo. Dopo il successo del primo capitolo, torniamo quindi a seguire le vicende ambientate in una futura Corea riunificata sotto il vessillo di una moneta unica. Ritroviamo quindi il celebre gruppo di selezionati ladri intento a portare a termine il piano architettato dal loro leader, il Professore (Yoo Ji-tae). Andiamo quindi a scoprire insieme come è stato gestito il prosieguo del racconto nella nostra recensione di La casa di carta: Corea 2.
La trama: dove eravamo rimasti
Facciamo un piccolo e riassuntivo passo indietro: nonostante l’interessante innesco distopico e gli elementi che ne esaltano l’unicità culturale, la trama dei primi episodi è un déjà vu che poco si discosta dall’originale spagnolo, a partire dai nomi dei e dalle cifre caratteristiche dei personaggi principali (qui forse meno esasperate, rispetto a quelle dei cugini europei). Avevamo lasciato l’ispettrice capo Woo-jin (interpretata da Yunjin Kimu, volto noto anche a noi occidentali per il ruolo di Sun in Lost) che proponeva al Professore di introdursi all’interno della Zecca con una telecamera in grado di verificare l’effettiva incolumità degli ostaggi. Una volta uscita, si ritrova in tasca un pezzo di una banconota bruciata, infilata di nascosto dalla studentessa (nonché figlia dell’ambasciatore americano) Ann Kim.
Da qui in poi, l’ispettrice inizierà a nutrire i primi (dei molti) dubbi circa le reali intenzioni del gruppo di ladri mascherati. Non è quindi una “semplice” rapina, quella che vogliono portare a termine: stanno infatti stampando nuove banconote, e per farlo cercano di guadagnare il tempo necessario. Nel frattempo, dall’interno, il gruppo dei rapinatori realizza che uno dei suoi membri è un traditore. La coesione del gruppo, così scrupolosamente preparata dal Professore (è la fiducia nel gruppo e nel suo leader il requisito sul quale costruisce l’intero piano) comincia quindi a sfaldarsi, in un gioco di accuse e di sospetti reciproci che mettono a rischio il buon esito dell’operazione. In questo clima di tensione, è il carismatico personaggio di Berlino (Park Hae-soo, già noto per il ruolo nell’altrettanto fortunata serie coreana Squid Game) a sprigionare tutte le sue tonalità ambigue, calamitando su di sé gran parte della potenza drammaturgica della narrazione. È intorno al suo personaggio che sono costruiti i flashback più rilevanti, quelli che sciolgono i nodi di trama più significativi e che costituiscono lo scheletro delle reali motivazioni che muovono le fila di una storia che, nonostante il vestito da heist movie e le trovate (estremamente ben costruite) da serie d’azione, è una storia “politica”.
È questa la superficie sommersa che emerge episodio dopo episodio: via via si fa sempre più evidente il movente politico e simbolico del piano del Professore e della sua brigata. Un revenge movie che lega motivazioni personali a rivendicazioni ideologiche, in cui Berlino e il Professore rappresentano i due poli attorno a cui si annoda il filo della narrazione. Il legame fraterno che li unisce (ripreso dalla serie d’origine) viene qui modellato in funzione del contesto coreano in cui nasce: i due fratellini sono stati separati durante il tentativo di fuga verso il sud della famiglia. Berlino è rimasto al nord e ha vissuto in un campo di prigionia dalle condizioni aberranti, il Professore è invece riuscito a raggiungere il confine del sud insieme al padre. Questa è la storia di una duplice riunione; quella della penisola coreana e quella di due fratelli che progettano vendetta.
Il capitalismo, sogno e incubo della Corea unificata
Il capitalismo è una fregatura, una stortura, una forma di libertà mascherata che va a inasprire le diseguaglianze sociali. È questo il manifesto ideologico sopra il quale, al netto delle (inesauribili) differenze culturali, si innesca la narrazione de La casa di carta originale e del suo remake coreano. Non sono i soldi il motore primo che muove l’azione, bensì la feroce volontà di smascherare la vera agenda che si nasconde dietro l’operazione di unificazione delle due Coree. Ai vertici del potere, siede un gruppo di uomini che non ha alcun interesse nel progresso sociale e nel livellamento delle disparità economiche del suo popolo. Cambia il vestito, ma la sostanza resta inalterata. Il piano del Professore (e di Berlino) mira ad aprire gli occhi dell’opinione pubblica, parzialmente inebriata dagli effluvi del cambiamento, mostrando come gli orrori della Corea del Nord si ripropongano nonostante l’abolizione delle limitazioni geografiche.
È quindi il tema politico e ideologico, più delle dinamiche relazionali fra i protagonisti (più sfumate e meno dichiarate rispetto all’originale), a costituire il materiale più denso e ricco della serie. E se è vero che le relazioni (amorose e amicali) che necessariamente vengono a instaurarsi fra i vari personaggi sono presenti e pressoché ricalcate dalla serie spagnola, è altresì vero che qui si infiltra un ulteriore e distintivo elemento: quello del sospetto e della persistente diffidenza fra cittadini del nord e del sud.
Un remake davvero necessario?
Se la domanda è questa, probabilmente la risposta è no, perché la categoria della necessità intesa in senso stretto tende a escludere più che a ospitare. Ha quindi forse più senso domandarsi quali siano gli aspetti più interessanti di una iniziativa di questo genere. Al di là della resa contenutistica, vale la pena soffermarsi sull’operazione che sta alla base del progetto, e che vede l’industria audiovisiva coreana sempre più prossima e intrecciata alla nostra. Scavalcando le ovvie contaminazioni, il divario culturale resta insopprimibile, e ci pone al centro di un interessante gioco dinamico di prossimità/alterità che, come spettatori, non possiamo mai essere messi nelle condizioni di colmare completamente.
La recensione in breve
Alla luce degli ultimi sei episodi de La casa di carta: Corea, possiamo tirare le somme di quella che è stata l'operazione di remake dell'originale serie spagnola. Se da un lato le premesse ricalcano in modo quasi pedissequo il format spagnolo, col procedere della narrazione la componente politica e ideologica si intensifica, assumendo una sua identità più marcata e una impronta culturale più distintiva.
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Voto CinemaSerieTV