La serie: Rapina al Banco Central, 2024. Regia: Daniel Calparsoro. Cast: Miguel Herran, Marìa Pedraza, Hovik Keuchkerian, Gerard Torres, Juan José Ballesta, Claudio Villarrubia. Genere: Drammatico, storico. Durata: 50 minuti circa/5 episodi. Dove l’abbiamo visto: su Netflix.
Trama: Spagna, 1981: quando alcuni uomini armati assaltano una banca prendendo centinaia di ostaggi, una reporter cerca di battere le autorità nella ricerca del vero motivo della rapina.
A chi è consigliato? Agli appassionati di heist movie e delle narrazioni avvincenti, come quella proposta dall’iconica serie La casa di carta.
Sono passati tre mesi dal tentato colpo di Stato al Congresso dei Deputati quando undici uomini incappucciati entrano nella sede della Banca Centrale di Barcellona. I rapinatori prendono più di 200 ostaggi nella banca e minacciano di ucciderli se il governo non accetterà di liberare il colonnello Tejero e altri tre responsabili del 23F.
La premessa di questa storia vera è il punto di partenza di Rapina al Banco Central, la nuova serie anni ’80 di Daniel Calparsoro, con la sceneggiatura di Patxi Amezcua. Chi sono davvero questi rapinatori, militanti di estrema destra o ladri per antonomasia? La storia di questa rapina, che è diventata una sfida alla democrazia spagnola, è ora sulla piattaforma streaming, in pieno stile “La casa di carta”.
Di cosa parla Rapina al Banco Central?

Il 1981 fu un anno piuttosto turbolento per la Spagna, che dovette affrontare gli attentati dell’ETA, la crisi economica, l’epidemia di eroina e le tensioni in ambito militare, che si conclusero con il tentativo di colpo di Stato del 23F da parte del tenente colonnello Antonio Tejero e dei suoi seguaci. In mezzo a questa destabilizzazione c’erano i quinquis, quei giovani di bassa estrazione sociale la cui vita era segnata da emarginazione, povertà e disoccupazione. Uno di questi era José Juan Martínez Gómez, noto anche come El Rubio o Número 1, interpretato con personalità e freschezza da Miguel Herrán: è il capobanda dell’assalto alla Banca Centrale in Plaza Catalunya a Barcellona, e non è una guardia civile solidale con il generale Tejero, come pensano inizialmente le autorità, ma chiede il suo rilascio solo per guadagnare tempo e una via di fuga.
Rapina al Banco Central introduce anche la storia fittizia della giornalista Maider Garmendia (María Pedraza), figlia di un editore ucciso in un attentato, che vuole seguire alla professione del padre e andare a fondo della rapina. È accompagnata da Berni (Hovik Keuchkerian), un fotografo veterano (e ubriacone) che ha perso la figlia mesi prima.
Sebbene le loro storie non siano basate su eventi reali, forniscono l’emozione e il dramma necessari per approfondire le sfumature dei protagonisti e l’atmosfera tesa dell’epoca. Attraverso una trama di intensi scontri tra i rapinatori e il governo, la serie esplora i temi della moralità e le contraddizioni umane dei suoi personaggi. Al posto di semplificare i predoni come cattivi e i politici come eroi, mostra infatti la complessità di entrambe le parti: questa ambiguità, insieme a scene di grande tensione, riesce a coinvolgere lo spettatore e a fargli mettere in discussione le decisioni di tutte le parti coinvolte.
Una ricostruzione ad effetto

In quel minuscolo spazio che esiste tra ciò che è “ufficialmente” noto e ciò che non lo è, è cresciuto rapidamente il sospetto di una cospirazione riguardante alcune carte relative al 23F, secondo cui il furto sarebbe stato orchestrato da Emilio Alonso Manglano, allora capo del CESID , per recuperare le carte, presumibilmente nascoste nella cassaforte della banca. Una teoria mai provata ma su cui si basa Rapina al Banco Central, con l’intenzione di aggiungere un livello di commento storico e politico alla serie, allontanandola completamente dal puro esercizio di genere rapina che ci aspetteremmo dal regista.
Se c’è una cosa che non si può negare a Rapina al Banco Central è la sua estetica anni Ottanta, scelta con cura ed enfatizzata fin dal primo momento: una produzione di alto livello con scenografie di grande effetto, costumi, acconciature e trucco all’altezza, e una direzione della fotografia con un’attenta scelta cromatica di tutto il girato ci fanno immergere fin dall’inizio nell’anno 1981 e in tutto ciò che lo circondava, senza dimenticare la colonna sonora di Carlos Jean, a cui si aggiungono successi anni Ottanta come Super Superman, di Miguel Bosé, o Rumore, di Raffaella Carrà.
È inevitabile confrontare la serie con la recente La casa di carta, con la quale condivide diversi elementi: il conteggio delle ore della rapina scritto sullo schermo (in questo caso, battuto a macchina per immergerci nel mondo giornalistico dell’epoca), l’esposizione della vita personale e del passato dei rapinatori, l’uso di una musica dolce nei momenti di tensione e la ripropozione di alcuni dei membri più amati della serie sono alcuni di questi.
La declinazione di heist movie firmata da Calparsoro

Calparsoro sa infatti che ogni generazione ha avuto il suo “heist movie”, e così li prende un po’ tutti (da Dog Day Afternoon ad Argo) senza perdere il controllo della storia o la credibilità. I personaggi sono stereotipati, alcune delle interpretazioni principali sono sottotono e i dialoghi possono cadere nello stentato, ma la storia prosegue sicura oltre l’ovvio, sostenuta da un grande cast di attori. In questo senso, Rapina al Banco Central finisce per essere una miniserie dal ritmo incalzante, chiara nelle sue intenzioni, anche se alla fine non può fare a meno di ricorrere a certi flashback per sostenere uno dei personaggi principali.
Nel corso dei cinque episodi, Calparsoro ricrea la Barcellona dei primi anni Ottanta, un’epoca in cui il ricordo del colpo di Stato era ancora fresco e le tensioni politiche più che latenti. La sua regia mantiene costante la tensione, soprattutto nelle scene all’interno della banca, dove la minaccia della violenza accresce il senso di pericolo ma, come dicevamo, è soprattutto l’ambientazione a delinearsi come uno dei suoi maggiori punti a favore. Le scenografie, i costumi e la fotografia catturano fedelmente l’atmosfera della Barcellona del 1981, trasportando lo spettatore in un periodo cruciale della storia recente della Spagna. La tensione è amplificata dalla ricostruzione dettagliata delle scene della banca e della città, accompagnata da una tavolozza di colori opachi che evoca l’incertezza dell’epoca.
La recensione in breve
Sulla scia de La Casa di Carta, ma con l'aggiunta di una base di fondo storica, Rapina al Banco Central propone agli spettatori Netflix esattamente il tipo di intrattenimento che si aspettano da prodotti del genere.
Pro
- Sfrutta al meglio gli elementi del thriller e dell'heist movie
- L'equilibrio narrativo tra le due parti della storia, rapinatori e governo
Contro
- Alcuni personaggi sono davvero caricaturali
- Il ritmo un po' calante in alcuni episodi
- Voto CinemaSerieTv